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Custodia cautelare chat criptate: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un indagato contro un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti e aggravata dal metodo mafioso. Il caso verteva sull’utilizzabilità dei dati da chat criptate ottenuti tramite ordine europeo di indagine e sulla distinzione tra un semplice acquirente di droga e un partecipe stabile dell’organizzazione. La Corte ha confermato la validità delle prove digitali, ritenendole sufficienti, insieme ad altre risultanze, a configurare i gravi indizi di colpevolezza per il reato associativo, e ha ritenuto sussistenti le esigenze cautelari nonostante il tempo trascorso e l’incensuratezza dell’indagato.

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Pubblicato il 9 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Custodia Cautelare e Chat Criptate: La Cassazione Valida l’Uso delle Prove Digitali

In un’era dominata dalla comunicazione digitale, le aule di giustizia si confrontano sempre più spesso con la sfida di valutare prove provenienti da piattaforme crittografate. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato proprio questo tema, confermando un’ordinanza di custodia cautelare per chat criptate e definendo i contorni della partecipazione ad associazioni a delinquere. La decisione offre importanti chiarimenti sull’utilizzabilità di tali dati e sui criteri per distinguere un acquirente occasionale da un membro effettivo di un sodalizio criminale.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine da un’ordinanza del GIP che disponeva la custodia cautelare in carcere per un individuo, accusato di far parte di un’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, aggravata dal metodo mafioso. La decisione si basava, in larga parte, su informazioni ottenute da un sistema di comunicazione criptato, acquisite tramite un ordine europeo di indagine.

L’indagato, tramite il suo difensore, ha impugnato il provvedimento dinanzi al Tribunale del Riesame, che ha però confermato la misura. Successivamente, è stato proposto ricorso per Cassazione, articolato su due motivi principali:

1. Inutilizzabilità delle prove digitali: La difesa sosteneva che i dati delle chat criptate non potessero essere utilizzati, lamentando la violazione di norme procedurali nazionali ed europee. In particolare, si contestava l’impossibilità di verificare l’algoritmo di decifrazione e le modalità di selezione dei messaggi, con una conseguente lesione del diritto di difesa.
2. Insufficienza degli indizi e mancanza di esigenze cautelari: Secondo il ricorrente, gli elementi raccolti dimostravano al più un ruolo di acquirente e non di partecipe dell’associazione. Inoltre, si evidenziava il notevole lasso di tempo trascorso dai fatti e lo stato di incensuratezza dell’indagato, elementi che avrebbero dovuto far venir meno le esigenze cautelari.

La questione della custodia cautelare per chat criptate

La Corte di Cassazione ha respinto integralmente il ricorso, fornendo una motivazione dettagliata su tutti i punti sollevati. Per quanto riguarda l’utilizzabilità dei dati delle chat criptate, i giudici hanno ribadito l’orientamento consolidato delle Sezioni Unite. Hanno chiarito che le prove acquisite all’estero tramite un ordine europeo di indagine sono pienamente utilizzabili, a meno che la difesa non fornisca prove concrete di una violazione dei diritti fondamentali.

Nel caso specifico, la Corte ha sottolineato come l’apparato accusatorio non si fondasse esclusivamente sui messaggi digitali, ma su una “perfetta coerenza” tra questi e le fonti di prova tradizionali, come le intercettazioni telefoniche, i dati GPS sui veicoli e i sequestri. Questa convergenza ha reso del tutto inspiegabile l’ipotesi di errori nel processo di decriptazione, rafforzando la validità del quadro indiziario.

Dalla Compravendita alla Partecipazione Stabile

Un altro punto cruciale della sentenza riguarda la qualificazione della condotta dell’indagato. La difesa tentava di ricondurre i rapporti con il sodalizio a un mero “rapporto sinallagmatico contrattuale”, ovvero una serie di singole compravendite di droga. La Cassazione, tuttavia, ha avallato la lettura del Tribunale del Riesame, secondo cui gli elementi raccolti delineavano un quadro ben diverso.

Sono stati valorizzati elementi quali:
* La frequenza dei contatti e delle forniture.
* Gli incontri diretti con i vertici dell’organizzazione.
* Il pagamento di una percentuale sul prezzo ricavato per la droga, indicativo di un interesse comune e non di una semplice transazione.
* Un rapporto di fiducia consolidato, che permetteva di differire i pagamenti e sollevava l’acquirente dal controllo sulla qualità della merce.

Questi fattori, nel loro complesso, dimostravano il superamento della soglia del rapporto acquirente-venditore e l’adesione stabile dell’indagato al programma criminoso dell’associazione, garantendo un canale affidabile per lo smaltimento di ingenti quantitativi di stupefacenti.

Le Motivazioni

La Corte ha fondato la sua decisione su diversi pilastri giuridici. In primo luogo, ha riaffermato che, in sede di legittimità, il suo compito non è rivalutare nel merito le prove, ma verificare la logicità e la coerenza della motivazione del provvedimento impugnato. Nel caso di specie, la motivazione del Tribunale del Riesame è stata ritenuta lineare ed esaustiva.

In secondo luogo, è stato ribadito che l’onere di allegare e dimostrare la nullità o l’inutilizzabilità di un atto processuale grava sulla parte che la eccepisce. Le censure della difesa sono state giudicate generiche perché non hanno indicato elementi specifici a sostegno della tesi dell’inutilizzabilità dei messaggi, limitandosi a riproporre questioni di principio già risolte dalla giurisprudenza di vertice.

Infine, riguardo alle esigenze cautelari, la Corte ha ritenuto logica la prevalenza assegnata alla presunzione di pericolosità legata ai reati associativi di stampo mafioso. Il tempo trascorso e l’incensuratezza sono stati considerati recessivi di fronte alla gravità dei fatti, alla professionalità dimostrata e all’inserimento in un contesto criminale organizzato, dal quale non erano emersi segnali di dissociazione.

Le Conclusioni

Questa sentenza consolida ulteriormente l’orientamento della giurisprudenza sull’uso delle prove digitali provenienti da sistemi di comunicazione criptati, confermandone la piena legittimità quando supportate da riscontri esterni. La decisione traccia inoltre una linea netta tra il ruolo di mero acquirente e quello di partecipe di un’associazione criminale, evidenziando come la stabilità, la fiducia e la funzionalità del rapporto siano elementi chiave per configurare l’appartenenza al sodalizio. Infine, riafferma la rigidità dei criteri di valutazione delle esigenze cautelari in contesti di criminalità organizzata, dove la pericolosità sociale è presunta e difficile da superare.

I dati provenienti da chat criptate come Sky-Ecc sono utilizzabili in un processo penale?
Sì, secondo la sentenza, i dati acquisiti tramite un ordine europeo di indagine da sistemi di comunicazione criptati sono utilizzabili. L’onere di dimostrare una violazione dei diritti fondamentali che ne causi l’inutilizzabilità spetta alla difesa, che deve fornire allegazioni specifiche. La loro validità è rafforzata quando le informazioni sono coerenti con altre fonti di prova, come GPS e intercettazioni tradizionali.

Acquistare droga da un’associazione criminale significa automaticamente farne parte?
No, non automaticamente. La sentenza chiarisce che per configurare la partecipazione all’associazione non è sufficiente un semplice rapporto di compravendita. È necessario che il rapporto superi la soglia del singolo scambio e diventi stabile e durevole, dimostrando l’adesione dell’acquirente al programma criminoso. Elementi come la frequenza dei contatti, i rapporti diretti con i vertici e le modalità di pagamento possono rivelare tale inserimento.

Il tempo trascorso dai fatti e l’assenza di precedenti penali possono annullare la necessità della custodia in carcere?
Nel caso specifico, no. La Corte ha ritenuto che, in presenza di gravi reati associativi legati alla criminalità organizzata, la presunzione di pericolosità sociale è molto forte. Il decorso del tempo e lo stato di incensuratezza sono stati considerati elementi non sufficienti a superare tale presunzione, data la gravità dei fatti, la professionalità criminale dimostrata e l’inserimento in contesti mafiosi, in assenza di segnali di allontanamento da tale ambiente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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