Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 15999 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 15999 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 07/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a SAN VITO DEI NORMANNI il 14/11/1971
avverso l’ordinanza del 11/10/2024 del TRIBUNALE di LECCE
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME sentite le conclusioni del PG NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso e dell’avv.to NOME COGNOME difensore di COGNOME, che ha insistito per l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza depositata il 16/9/2024, il GIP del Tribunale di Lecce ha disposto nei confronti di COGNOME NOME l’applicazione della misura della custodia cautelare in carcere per i delitti di cui agli artt. 74 d.P.R. 309/90 e 416 bis.1 cod pen. (capo b) e 81, 110 cod. pen. e 73 d.P.R. 309/90 commi 1 e 1bis (capi b14 e b15).
Con l’ordinanza impugnata il Tribunale di Lecce ha respinto la richiesta di riesame avanzata nell’interesse di COGNOME condannando il medesimo al pagamento delle spese.
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso per Cassazione l’indagato, a mezzo del difensore di fiducia, che con il primo motivo denuncia la violazione di legge sostanziale e processuale “stabilita anche a pena di inutilizzabilità” e il deficit motivazione lamentando la violazione degli artt. 270 cod. proc. pen., 14 par. 1 direttiva 2014/41/UE, 8 d. Igs. 51/2018, 6, 47 e 52 par. 1 CEDU, 24 e 111 Cost., 73 e 74 d.P.R. 309/90.
Il motivo, in primo luogo, contesta l’utilizzabilità dei dati informatici relativi comunicazioni intercorse sulla rete criptata Sky-Ecc acquisiti mediante l’ordine europeo di indagine per le ragioni di seguito sintetizzate:
non era certo che l’attività d’intercettazione in territorio francese che aveva permesso l’acquisizione dei dati fosse stata disposta per investigare su reati che rientravano fra quelli di cui all’art. 266 cod. proc. pen.;
erano rimasti ignoti: gli elementi che avevano permesso di associare “i codici IMEI con i codici identificativi e con i pin e gli username”; l’algoritmo di decifratu e il software di selezione; “le modalità con cui il rappresentante della pubblica accusa è pervenuto alla nnessaggistica versata in atti”; gli elementi integranti i presupposti della “necessità” e della “proporzione” delle attività d’indagine nonché “le modalità di gestione dei dati”. Si era, quindi, in presenza di “informazioni ed elementi di prova”, in relazione ai quali gli indagati non erano stati in grado d svolgere efficacemente le loro osservazioni, la cui utilizzazione violava l’art. 14 par. 7 della direttiva 2014/41/UE;
si faceva discendere l’esito del giudizio da un “trattamento automatizzato” non regolato da una normativa che preveda garanzie adeguate per i diritti e le libertà dell’interessato, siccome previsto dall’art. 8 d.lgs. 51/2018;
l’utilizzazione dei dati violava i principi sanciti dalla Grande camera della Corte EDU nel caso NOME COGNOME c. Turchia e dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea nella decisione n. 171/2024 del 4/10/2024 c-548/21.
2.1 Venendo, poi, agli elementi integranti il requisito dei gravi indizi, il ricor contesta, in primo luogo, che il coinvolgimento di COGNOME nei reati fine contestati potesse giustificare la configurazione, a suo carico, anche del reato associativo, per di più aggravato ai sensi dell’art. 416 bis.1 cod. pen., e ciò in quanto:
COGNOME secondo la stessa prospettazione accusatoria, dal dicembre 2020 al febbraio 2021, si era rifornito solo sette volte dal gruppo RAGIONE_SOCIALE acquistando, ogni volta, quantitativi “risicati” di droga;
nessun collaboratore di giustizia aveva fatto riferimento a COGNOME
i contatti di COGNOME con i vertici dell’associazione non potevano “qualificarsi come stabili e frequenti, risultando due soli incontri con Soleti;
nessun sequestro di droga era stato effettuato a carico di COGNOME;
il pagamento del “punto” sulla droga spacciata non giustificava la configurazione dell’aggravante di cui all’art. 416 bis.1 cod. pen., posto che COGNOME non si sarebbe potuto sottrarre al pagamento.
2.2. Con il secondo motivo si denuncia la violazione degli artt. 274 e 275 comma 3 cod. proc. pen. e il deficit di motivazione.
Si lamenta che il Tribunale non aveva considerato:
il considerevole lasso temporale intercorso “tra la commissione dei presunti episodi illeciti e l’esecuzione della misura cautelare ( più di tre anni e mezzo)”;
lo stato d’incensuratezza di COGNOME che non ha mai subito alcuna restrizione della libertà personale per cui del tutto ingiustificato risulta il giudizio negat sulla sua personalità formulato nell’ordinanza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso va rigettato risultando articolato in motivi a tratti inammissibil comunque infondati.
Le eccezioni sollevate in relazione all’utilizzabilità delle conversazioni acquisite tramite gli ordini europei di indagine risultano o ignorare del tutto le risposte date ai corrispondenti motivi di gravame dal Tribunale oppure riproporre temi che le pronunce delle Sezioni unite in tema di acquisizione all’estero di messaggistica su sistemi criptati ( n. 23755 del 29/2/2024, Gjuzi e n. 23756 del 29/2/2024, COGNOME), richiamate nell’ordinanza impugnata, hanno esaminato giungendo a conclusione opposte rispetto a quelle del ricorrente.
Alla combinazione dei codici Imei con i codici identificativi dei soggetti che si erano avvalsi dell’applicazione Sky-Ecc il Tribunale dedica tre pagine dell’ordinanza che richiamano i dati trasmessi dall’autorità giudiziaria francese e li confrontano con quelli forniti dai servizi di osservazione, dalle intercettazioni ambientali telefoniche, dai sequestri e dai tracciati degli spostamenti rilevati dai GPS installat sulle vetture in uso ad alcuni degli indagati per sottolineare la “perfetta coerenza” delle informazioni derivanti dalle differenti fonti di prova. E, in effetti, la dell’ordinanza relativa ai gravi indizi di colpevolezza in relazione ai reati fine rile la piena convergenza delle informazioni acquisite dalla polizia giudiziaria e quelle ricavabili dalle comunicazioni della messaggistica Sky-Ecc: alle pag. 22 e dell’ordinanza si ricostruisce la cessione di un quantitativo di cocaina da NOME COGNOME e il pagamento del corrispettivo effettuato da quest’ultimo nelle ma Soleti utilizzando il tracciato degli spostamenti trasmesso dal GPS installat furgone in uso a Preste, le intercettazioni telefoniche, il messaggio, inviat piattaforma criptata, con cui COGNOME comunicò a Clemente, alle ore 13,23 4/12/2020, il buon esito dell’operazione “San Vito” e il messaggio dell’applicaz
WhatsApp rinvenuto sul telefono sequestrato a Preste, con cui COGNOME, alle 14,10 del 4/12/2020, aveva comunicato a Preste che aveva versato il corrispettivo dovuto per la droga che poco prima questi gli aveva consegnato a Soleti. La convergenza delle differenti fonti di prova si rileva anche in relazione alle altr cessioni ricostruite dal Tribunale e risulta del tutto inspiegabile ipotizzando error nel procedimento di decriptazione dei messaggi e nell’ individuazione degli utenti della piattaforma interessati.
L’apparato argomentativo esposto nell’ordinanza è però ignorato dal ricorrente che si limita a riproporre il tema dell’abbinamento dei codici IMEI agli username senza però individuare concrete ragioni di criticità in ordine i risultati c l’ordinanza impugnata perviene.
Viene ancora individuata una lesione del diritto di difesa, che avrebbe impedito di assolvere l’onere di allegazione imposto dalle Sezioni unite, nella impossibilità per i difensori di disporre dell’algoritmo che aveva permesso di decriptare le chat e del software che aveva selezionato i messaggi significativi associandoli agli identificati degli utilizzatori sull’assunto che tali programmi eran indispensabili per esercitare un controllo effettivo sulle operazioni di estrazione e selezione dei messaggi.
Tali doglianze, tuttavia, non risultano ignorate dal Tribunale che le ha superate richiamando i principi enunciati nelle predette pronunce delle Sezioni unite nonché nella decisione della Corte di giustizia UE intervenuta nella causa C-670/22 del 30/4/2024.
Militano a sfavore degli argomenti difensivi anche considerazione di ordine tecnico, già valorizzate in due sentenze di questa Corte (Sez. 1, n. 6364 del 13/10/2022 dep. 2023, COGNOME e Sez. 1, n. 6363 del 13/10/2022 (dep. 2023), COGNOME), che le Sezioni Unite ripropongono osservando che “l’impossibilità per la difesa di accedere all’algoritmo, utilizzato nell’ambito di un sistema d comunicazioni per criptare il testo delle stesse, non determina una violazione dei diritti fondamentali di difesa, dovendo escludersi, salvo specifiche allegazioni di segno contrario, il pericolo di alterazione dei dati in quanto il contenuto di ciascun messaggio è inscindibilmente abbinato alla sua chiave di cifratura, e l’utilizzo di una chiave errata non ha alcuna possibilità di decriptarlo anche solo parzialmente” (Sez. U, n. 23756 del 29/02/2024, Rv. 286589 – 05).
Inconferente risulta poi il richiamo fatto dal ricorrente all’art. 8 d.l 51/2018, non potendo il complesso processo valutativo che ha determinato la custodia cautelare in carcere equiparato al trattamento automatizzato dei dati definito dall’art. 8 appena richiamato e dall’art. 22 del RE n. 679 del 2016.
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Non maggiore rilevanza assume la decisione della Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo nella causa NOME COGNOME c. Turchia risultando la pronuncia fondata sikatto che all’imputato era stato negato il diritto a conoscere il testo e gli interlocutori dei messaggi scambiati attraverso il sistema criptato d messaggistica telefonica Bylock.
Non perténente risulta anche la sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea n. 171/2024 relativa al sequestro di un telefono cellulare e ai successivi tentativi di analizzarne il contenuto effettuati dalla polizia giudiziaria senza che v fosse stato l’intervento di un pubblico ministero o di un giudice.
Dall’ordinanza del riesame si rileva che i telefoni utilizzati da COGNOME RAGIONE_SOCIALE COGNOME per comunicare attraverso il sistema criptato Sky-Ecc vennero sottoposti a sequestro il 25/2/2021 e il 13/4/2021 si procedette a un accertamento tecnico alla presenza dei difensori.
La censura incentrata sul titolo di reato per il quale l’autorità francese aveva disposto l’attività d’intercettazione e la sua riconducibilità al novero dei delitti cui all’art. 266 cod. proc. pen. confligge poi con i principi enunciati dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 23755 che, al paragrafo 7.5 del considerato in diritto, ha precisato che, ai fini dell’utilizzabilità degli atti acquisiti mediante O. dall’autorità giudiziaria italiana, “è necessario garantire il rispetto dei di fondamentali previsti dalla Costituzione e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, e, tra questi, del diritto di difesa e della garanzia di un giusto processo, ma non anche l’osservanza, da parte dello Stato di esecuzione, di tutte le disposizioni previste dall’ordinamento giuridico italiano in tema di formazione ed acquisizione di tali atti”. Ancora, la censura difensiva non tiene minimamente conto di quanto precisato nella medesima sentenza al punto successivo, dove viene ribadito, riferendolo all’attività d’indagine che aveva permesso l’acquisizione dei dati in territorio estero, il principio secondo cui “nel caso in cui una par deduca il verificarsi di cause di nullità o inutilizzabilità collegate ad atti rinvenibili nel fascicolo processuale (perché appartenenti ad altro procedimento o anche – qualora si proceda con le forme del dibattimento – al fascicolo del pubblico ministero), al generale onere di precisa indicazione che incombe su chi solleva l’eccezione si accompagna l’ulteriore onere di formale produzione delle risultanze documentali – positive o negative – addotte a fondamento del vizio processuale (così Sez. U, n. 39061 del 16/07/2009, De brio, Rv. 244329 – 01, e, in termini analoghi, Sez. U, n. 45189 del 17/11/2004, COGNOME, Rv. 229245 – 01; tra le tante successive conformi, cfr. Sez. 5, 23015 del 19/04/2023, COGNOME, Rv. 284519 01, e Sez. 6, n. 18187 del 14/12/2017, dep. 2018, Nunziato, Rv. 273007 – 01)”.
In ogni caso, sia l’ordinanza impugnata sia la sentenza delle Sezioni unite n. 23755 danno atto che “l’acquisizione dei dati relativi alle comunicazioni intercorse attraverso il sistema criptato Sky-Ecc venne disposto dall’autorità giudiziaria estera in relazione ad indagini concernenti il narcotraffico”.
Ma vi è di più. Il ricorso censura lo sforzo argomentativo profuso dal Tribunale per dimostrare l’esistenza dell’associazione rilevando che “in sede di impugnazione cautelare ex art. 309 c.p.p.” non era stata contestata né la sussistenza dell’associazione mafiosa né di quella dedita al traffico di sostanze stupefacente.
Se, però, per la configurazione dei reati associativi, la rilevanza e decisività dei dati trasmessi dall’autorità estera è evidente, a differente conclusione, come già anticipato, si perviene in ordine alle condotte ascritte a COGNOME risultando la loro ricostruzione fondata su una pluralità di fonti di prova.
E’ necessario, quindi, ricordare l’onere di allegazione che grava sulla parte che eccepisca la inutilizzabilità probatoria di un atto processuale.
E’ stato precisato, in tema di intercettazioni telefoniche, che è necessario, a pena di inammissibilità del motivo, che il ricorrente indichi quali siano l conversazioni intercettate che sarebbero inutilizzabili e chiarisca l’incidenza degli atti specificamente affetti dal vizio sul complessivo compendio probatorio già valutato, sì da potersene inferire la decisività ai fini del provvedimento impugnato. (Sez. U., n. 23868 del 23/04/2009, COGNOME, Rv. 243416; nello stesso senso, Sez. U, n. 39061 del 16/07/2009, COGNOME Rv. 244328; Sez. 4, n. 46478 del 21/09/2018, COGNOME, non massimata).
A ciò consegue che nei casi in cui con il ricorso per Cassazione si lamenti l’inutilizzabilità o la nullità di una prova dalla quale siano stati desunti elementi carico, il motivo di ricorso deve illustrare, a pena di inammissibilità per aspecificità l’incidenza dell’eventuale eliminazione del predetto elemento ai fini della cosiddetta “prova di resistenza”, essendo in ogni caso necessario valutare se le residue risultanze, nonostante l’espunzione di quella inutilizzabile, risultino sufficienti a giustificare l’identico convincimento; gli elementi di prova acquisi illegittimamente diventano infatti irrilevanti ed ininfluenti se, nonostante la lo espunzione, le residue risultanze risultino sufficienti a giustificare l’identi convincimento (Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv. 269218; Sez. 6, n. 18764 del 05/02/2014, COGNOME, Rv. 259452; Sez. 3, n. 3207 del 2/10/2014, dep. 2015, Rv. 262011; Sez. 3, n. 39603 del 03/10/2024, Izzo, Rv. 287024 – 02).
Il motivo è, quindi, generico, non avendo dimostrato l’indagato la decisività dei messaggi che si assume inutilizzabili nel ragionamento probatorio contestato.
9. Venendo quindi al ragionamento probatorio dal quale è stato desunto il ruolo di partecipe dell’associazione di COGNOME, non contestando il ricorso l’apprezzamento giudiziale del quadro indiziario relativo alla sussistenza della consorteria e al coinvolgimento di COGNOME nelle cessioni di cui ai capi b14 e b15, il Tribunale ha, a tale fine, valorizzato: le chat relative ai reati fine contestati; la frequenza contatti di COGNOME con COGNOME e gli incontri con COGNOME, “boss del sodalizio criminale di stampo mafioso”; il pagamento di una percentuale sul prezzo ricavato per la cessione di droga non fornita dall’associazione.
In punto di gravità indiziaria, l’ordinanza sviluppa, quindi, una motivazione lineare e coerente che trova adeguata giustificazione nell’analitica ed esaustiva valutazione degli elementi di indagine richiamati, che palesano la partecipazione di COGNOME all’associazione in qualità di stabile acquirente, e nel consolidato orientamento di questa Corte per cui integra la condotta di partecipazione ad un’associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti la costante disponibilità ad acquistare le sostanze di cui il sodalizio fa traffico, tale determinare un durevole, ancorché non esclusivo rapporto, qualora la volontà dei contraenti abbia superato la soglia del rapporto sinallagmatico contrattuale, trasformandosi nell’adesione dell’acquirente al programma criminoso, desumibile dalle modalità dall’approvvigionamento continuativo della sostanza dal gruppo, dal contenuto economico delle transazioni, dalla rilevanza obiettiva che l’acquirente riveste per il sodalizio criminale. Non sono, invero, di ostacolo alla costituzione del vincolo associativo e alla realizzazione del fine comune la diversità degli scopi personali, né la diversità dell’utile, né il contrasto tra gli interessi economici ch singoli partecipi si propongono di ottenere dallo svolgimento dell’intera attività criminale (Sez. 6, n. 47576 del 3/12/2024, COGNOME; Sez. 2, n. 51714 del 23/11/2023, COGNOME, Rv. 285646 – 01; Sez. 4, n. 19272 del 12/06/2020, COGNOME, Rv. 279249 – 01; conf. Sez. 6, n. 41612 del 19/06/2013, COGNOME, Rv. 257798 – 01). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
A tale apparato argomentativo il ricorso oppone una lettura alternativa delle circostanze esaminate dai giudici del merito al fine di ridimensionare i rapporti fra COGNOME, da una parte, e NOME, COGNOME e COGNOME, dall’altra, in modo da ricondurli al rapporto sinallagmatico contrattuale inter partes senza alcun coinvolgimento del primo nell’attuazione dei programmi criminosi dell’organizzazione cui gli altri erano elementi di spicco.
Le censure difensive, tuttavia, travalicano l’ambito del sindacato riservato a questa Corte sul provvedimento impugnato, risultando finalizzate ad ottenere una diversa valutazione delle circostanze già esaminate dal giudice del merito, senza individuare profili di manifesta illogicità della motivazione in relazione al significa dimostrativo in essa assegnato agli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze
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probatorie ( Sez. U., n. 11 del 22/3/2000, COGNOME, R.v. 215828; Sez. 5, n. 17185 del 21/3/2024, Palermo).
Conseguentemente, allorquando sia denunciato con il ricorso per cassazione il vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte Suprema spetta solo il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato e di controllare la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai princip di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie (Sez. 4, n. 19751 del 17/4/2024, COGNOME, Rv. 286527; Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, COGNOME, Rv. 276976 – 01; Sez. 4, n. 26992 del 29/5/2013, Rv. 255460; conf. Sez. 4, n. 37878 del 6/7/2007, COGNOME e altri, Rv. 237475).
Sono, quindi, inammissibili le censure che, pur investendo formalmente la motivazione, proponendo una differente lettura delle vicende indagate o dello spessore degli indizi mirano a ottenere una riconsiderazione delle caratteristiche del fatto o di quelle soggettive dell’indagato in relazione all’apprezzamento delle stesse che sia stato operato ai fini della valutazione delle esigenze cautelari e delle misure ritenute adeguate ( Sez. 4, n. 19751/24; Sez. 1, n. 7445 del 20/11/2020, Lolli).
In altri termini, è consentito in questa sede esclusivamente verificare se le argomentazioni spese sono congrue rispetto al fine giustificativo del provvedimento impugnato. Se, cioè, in quest’ultimo, siano o meno presenti due requisiti, l’uno di carattere positivo e l’altro negativo, e cioè l’esposizione de ragioni giuridicamente significative su cui si fonda e l’assenza di illogicità evidenti risultanti, cioè, prima facie dal testo del provvedimento impugnato (Sez. 4, n. 19751/24).
Con la doverosa precisazione che, quanto alla nozione di «gravi indizi di colpevolezza», la stessa non è omologa a quella che qualifica lo scenario indiziario idoneo a fondare il giudizio di colpevolezza finale (Sez. 4, n. 53369 del 09/11/2016, COGNOME, Rv. 268683; Sez. 4, n. 38466 del 12/07/2013, COGNOME, Rv. 257576). Al fine dell’adozione della misura, infatti, è sufficiente l’emersione di qualunque elemento probatorio idoneo a fondare un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità dell’indagato in ordine ai reati addebitati. I det indizi, pertanto, non devono essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti, pe il giudizio di merito, dall’art. 192 cod. pen. proc., comma 2 (per questa ragione l’art. 273 cod. proc. pen., comma 1-bis richiama l’art. 192 cod. proc. pen., commi 3 e 4, ma non il comma 2 del medesimo articolo, il quale, oltre alla gravità, richiede la precisione e concordanza degli indizi) (Sez. 4, n. 6660 del 24/01/2017, COGNOME,
Rv. 269179 – 01; conformi, ex multis: Sez. 2, n. 8948 del 10/11/2022, dep. 2023, Pino, Rv. 284262 – 01; Sez. 2, n. 48276 del 24/11/2022, COGNOME, Rv. 284299 – 02).
10. Per completezza va anche osservato che le censure difensive sono espressione dì una valutazione frammentaria e strumentale del quadro indiziario.
Il motivo in valutazione omette di considerare una serie di elementi atti a comprovare la stabilità del rapporto di fornitura dello stupefacente garantito dall’associazione, concretizzatosi nei mesi cui si riferiscono le attività d’indagine in una pluralità di cessioni, talvolta a distanza di pochi giorni, per quantitativi cocaina significativi, che rivelano, da una parte, l’allarmante capacità di COGNOME e dei suoi sodali di disporre di ingenti quantitativi di cocaina e, specularmente, la vasta rete di contatti che permetteva a COGNOME di immetterli velocemente sul mercato, e, dall’altra, proiettano le singole operazioni, per il contenuto economico delle transazioni, valutabile in migliaia di euro, e il carattere ripetitivo de acquisiti, in una dimensione più ampia che delinea una struttura stabile, volta a facilitare l’attività illecita della consorteria facente capo a Soleti, garantendo al medesima la disponibilità di un canale affidabile per lo smaltimento di consistenti quantitativi di cocaina.
E difatti, già l’intercettazione del 27/10/2020, la più risalente fra quell richiamate nel provvedimento impugnato, rivela l’esistenza di un rapporto consolidato che permetteva l’utilizzo di un codice linguistico che non poteva che aver trovato causa nella sedimentazione esperienziale di contatti pregressi la cui coltivazione non può che essere spiegato con il comune interesse per un qualcosa che doveva essere evocato solo in maniera allusiva.
Condivisibile, ancora, risulta la rilevanza che l’ordinanza assegna alla reciproca fiducia esistente fra cedente e cessionario, chiaramente discendente dalla stabilità del rapporto, che sollevava COGNOME dal controllo della qualità e quantità della droga acquistata e consentiva al sodalizio di differire il pagamento della fornitura.
Non meno significativi risultano ì contatti di COGNOME con il capo dell’associazione. La chat del 4/12/2020, ad esempio, rivela che la fornitura di droga era stata saldata da COGNOME consegnando il denaro direttamente a Soleti, circostanza questa che dimostra la piena consapevolezza, da parte dell’indagato, della sussistenza della compagine associativa e delle sue dinamiche operative e, conseguentemente, del contributo che forniva, mediante l’approvvigionamento continuativo della sostanza dal gruppo, all’attuazione del fine comune di trarre profitto dal commercio della droga.
11. Le considerazioni innanzi esposte dimostrano l’infondatezza delle doglianze difensive relative alla configurazione dell’aggravante dell’agevolazione mafiosa,
desunta dal Tribunale dal consolidato rapporto di affari di COGNOME con COGNOME e COGNOME, dal fatto che l’associazione preposta al traffico di stupefacenti era l’articolazione di un clan di stampo mafioso in grado di esercitare, con la capacità intimidatoria che conferiva agli affiliati e con la violenza, un ferreo controllo d territorio, nel cui ambito non consentiva agli spacciatori esterni all’organizzazione di operare se non preventivamente autorizzati e imponeva a quelli autorizzati il versamento di una percentuale dei profitti per ogni grammo di stupefacente ceduto non fornito dall’associazione ad esso collegata.
Ma, ancor prima, l’ammissibilità della censura relativa all’aggravante trova ostacolo nel principio giurisprudenziale secondo cui in tema di procedimento cautelare, sussiste l’interesse concreto e attuale dell’indagato alla proposizione del riesame o del ricorso per cassazione quando l’impugnazione sia volta ad ottenere l’esclusione di un’aggravante ovvero una diversa qualificazione giuridica del fatto, nel solo caso in cui ciò incida sull'”an” o sul “quomodo” della misura( Sez. 2, n. 17366 del 21/12/2022 (dep. 2023 ), COGNOME, Rv. 284489 – 01; Sez. 3, n. 20891 del 18/06/2020, COGNOME, Rv. 279508; Sez. 6, n. 5213 del 11/12/2018, COGNOME, Rv. 275028; Sez. 6, n. 50980 del 21/11/2013, Fabricino, Rv. 258502 – 01).
Incidenza in ordine alla quale il ricorso non fornisce alcun dato e che il reato associativo fondante la misura, per il quale opera la presunzione di cui all’art. 275 comma 3 cod. proc. pen., rende di non immediata constatazione.
Infondato risulta anche il motivo volto a contestare la sussistenza della concretezza e attualità delle esigenze cautelari e la necessità della custodia in carcere.
Il Tribunale, innanzitutto, richiama, ribadendone la validità in chiave prognostica, la motivazione in tema di esigenze cautelari del provvedimento genetico, che aveva fondato la pericolosità del ricorrente non soltanto sull’operatività dell’associazione in tempi prossimi alla data di adozione della misura e sul consolidamento del sodalizio mafioso nel contesto territoriale, dove ormai aveva affermato la propria egemonia, ma anche sul rischio di commissione, da parte degli indagati, di reati costituenti espressione della medesima professionalità e del medesimo grado di inserimento nei circuiti criminali che avevano consentito i redditizi traffici dell’associazione, così recependo il consolidato orientamento di legittimità formatosi in materia (Sez. 3, n. 16357 del 12/01/2021, COGNOME, Rv. 281293 – 01; conf. Sez. 4, n. 3966 del 12/01/2021, COGNOME, Rv. 280243 – 01).
E difatti l’ordinanza del GIP sottolinea:
la prossimità temporale dei fatti per cui era stata disposta la cautela, risultando l’operatività dell’associazione documentata dalle indagini sino al gennaio 2022;
il collegamento fra l’associazione dedita al traffico di stupefacenti con una consorteria di stampo mafioso che “con il passare degli anni aveva consolidato la propria egemonia”;
la pericolosità degli indagati nei cui confronti era stata disposta la custodia in carcere, anche estranei all’associazione, che, per la “ripetitività e frequenza dei reati fine”, del “notevole lasso temporale nel quale erano stati commessi” e dell’attualità dei fatti reato, avevano dimostrato di poter contare su canali di approvvigionamento e reti di smaltimento in grado di movimentare chili di cocaina in tempi assai contenuti.
Tale motivazione è integrata dal Tribunale richiamando, da una parte, la doppia presunzione relativa di cui all’art 275 cod. proc. pen., in relazione alla quale viene rilevato che non è stato “acquisito alcun elemento istruttorio in grado di far ragionevolmente ritenere che COGNOME abbia rescisso il suo legame con l’organizzazione criminosa”, valutando non significativo il tempo trascorso fra i fatti emersi dalle indagini e la data del provvedimento custodiale, e, dall’altra, soffermandosi sull’inidoneità degli arresti domiciliari a costituire un impedimento alla prosecuzione dell’attività delittuosa e ad assicurare il controllo dell’indagato, attesa la sua proclività a delinquere e la contiguità con ambienti mafiosi.
Si è, quindi, in presenza di un’argomentazione articolata, che valorizza, ai fini della pericolosità sociale, dell’attualità delle esigenze cautelari e dell’adeguatezza della misura carceraria, non soltanto la presunzione iuris tantum discendente dal reato associativo, per escludere che sussistano elementi che ne consentano il superamento, ma anche, attraverso il richiamo all’ordinanza genetica, le allarmanti modalità del fatto e la negativa personalità di COGNOME, avendo l’indagato, per garantirsi un canale affidabile di approvvigionamento di droga in grado di alimentare un’attività di spaccio comportante, tramite una rete di contatti rimasta del tutto ignota, lo smercio settimanale di decine di grammi di cocaina, aderito a un patto associativo con gli elementi di spicco della consorteria di stampo mafioso che controllava il territorio, incurante del rischio di delazioni o delle ritorsioni eventuali errori avrebbero potuto scatenare.
La tenuta logica di una tale argomentazione resiste alle censure difensive incentrate sul tempo trascorso fra l’ultimo dei reati fine attribuiti all’indagato l’applicazione della misura e sullo stato di incensuratezza, risultando non manifestamente illogica la prevalenza assegnata dal Tribunale, al fine di escludere il superamento delle presunzioni di cui all’art. 275 comma 3 cod. proc. pen., alla determinazione a delinquere, alla professionalità dell’attività di spaccio, alla inserzione in contesti criminali organizzati e all’assenza di segnali di dissociazione o allontanamento.
Il decorso del tempo, infatti, ha un significato neutro, positivo o negativo, a seconda di come il soggetto destinatario della cautela interpreti e viva tale decorso
potendo argomentarsi che, ad onta di un cospicuo intervallo cronologico, persistente adesione al contesto criminogenetico di origine o agli interessi c
supportano accresca le esigenze cautelari, giacché l’indole trasgressiva si è ri inossidabile al trascorrere del tempo oppure, per converso, è possibile affer
che il decorso del tempo, se colorato di significati positivi, ha reso epifani progressivo volgere alla socialità virtuosa del soggetto.
La dimensione temporale è, quindi, in sé considerata, un dato non decisivo p cui legittimamene il Tribunale della cautela, in consonanza con l’ordina
genetica, l’ha valutata recessiva rispetto agli indici di pericolosità
preponderanti.
13. All’infondatezza del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen.
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processu
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, d att. cod. proc. pen.
Così deciso il 7/2/2025.