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Custodia cautelare chat criptate: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un indagato contro un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per reati di associazione mafiosa e narcotraffico. La decisione si basava in gran parte su prove derivanti da un sistema di comunicazione criptato. La Corte ha confermato la piena utilizzabilità di tali dati, acquisiti tramite ordine europeo di indagine, e ha ritenuto sufficienti i gravi indizi di colpevolezza e le esigenze cautelari, respingendo le argomentazioni della difesa sulla presunta violazione del diritto di difesa e sulla cessazione della pericolosità sociale. Questa sentenza consolida l’orientamento giurisprudenziale sull’uso delle chat criptate come prova nei procedimenti penali.

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Pubblicato il 20 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Custodia Cautelare e Chat Criptate: La Cassazione Conferma la Linea Dura

La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, si è pronunciata su un caso di grande attualità, relativo all’applicazione della custodia cautelare basata su chat criptate. La decisione consolida un orientamento ormai chiaro sull’utilizzabilità dei dati ottenuti da sistemi di comunicazione cifrati, come quelli di un noto servizio estero, e ribadisce i rigorosi criteri per valutare la pericolosità sociale in materia di criminalità organizzata.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine da un’ordinanza del GIP del Tribunale di Lecce, che disponeva la custodia cautelare in carcere per un individuo accusato di reati gravissimi: associazione di tipo mafioso (art. 416 bis.1 c.p.) e associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti (art. 74 d.P.R. 309/90). L’ordinanza era stata confermata anche dal Tribunale del Riesame, che aveva respinto la richiesta di revoca della misura avanzata dalla difesa.

La difesa dell’indagato ha quindi proposto ricorso per Cassazione, sollevando diverse questioni di legittimità.

I Motivi del Ricorso: Tra Utilizzabilità delle Prove e Valutazione degli Indizi

I motivi di ricorso presentati dalla difesa si concentravano su due aspetti principali:

La Questione della Prova da Chat Criptate

La difesa contestava l’utilizzabilità dei dati informatici acquisiti tramite un ordine europeo di indagine da un sistema di comunicazione criptato. Secondo il ricorrente, l’acquisizione era avvenuta in violazione di diverse norme procedurali e dei diritti della difesa. In particolare, si lamentava l’impossibilità di conoscere l’algoritmo di decifrazione e il software di selezione dei messaggi, elementi che, a dire della difesa, impedivano un efficace contraddittorio.

L’Insussistenza dei Gravi Indizi e delle Esigenze Cautelari

In secondo luogo, il ricorso metteva in discussione la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza. La difesa sosteneva che la partecipazione dell’indagato all’associazione criminale era stata desunta in modo illogico dal suo coinvolgimento in singoli episodi di spaccio. Inoltre, si contestava la valutazione delle esigenze cautelari, evidenziando il notevole lasso di tempo trascorso dai fatti (oltre tre anni e mezzo) e il percorso di reinserimento sociale intrapreso dall’indagato, ammesso ai servizi sociali in un altro procedimento.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso, ritenendolo in parte inammissibile e in parte infondato. La sentenza offre chiarimenti cruciali su come la giurisprudenza interpreta l’uso delle nuove tecnologie nelle indagini penali.

Utilizzabilità dei Dati da Chat Criptate

Sul punto più controverso, la Corte ha ribadito i principi già espressi dalle Sezioni Unite. I dati acquisiti all’estero tramite un ordine europeo di indagine sono pienamente utilizzabili, purché siano rispettati i diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’UE. Non è invece richiesta l’osservanza di tutte le singole disposizioni procedurali previste dalla legge italiana per le attività di indagine svolte sul territorio nazionale.

La Cassazione ha inoltre respinto la doglianza relativa all’impossibilità di accedere all’algoritmo di decifrazione, citando precedenti secondo cui tale impossibilità non costituisce una violazione dei diritti di difesa. Il contenuto di un messaggio, infatti, è inscindibilmente legato alla sua chiave di cifratura, e l’uso di una chiave errata non consentirebbe alcuna decriptazione, neanche parziale, escludendo così il rischio di alterazione dei dati.

La Valutazione dei Gravi Indizi e della custodia cautelare chat criptate

La Corte ha ritenuto che il Tribunale del Riesame avesse fornito una motivazione logica e coerente sulla sussistenza dei gravi indizi. I giudici di merito avevano correttamente evidenziato la “perfetta coerenza” tra le informazioni derivanti dalle chat criptate e le risultanze delle indagini tradizionali (intercettazioni, sequestri, servizi di osservazione). Il ricorso, secondo la Cassazione, si limitava a proporre una lettura alternativa degli indizi, un’operazione non consentita in sede di legittimità.

Per quanto riguarda la partecipazione all’associazione, la Corte ha valorizzato la stabilità del rapporto di fornitura di droga, la fiducia tra i sodali, la frequenza dei contatti e la conoscenza approfondita delle dinamiche interne del clan da parte dell’indagato. Questi elementi, nel loro insieme, delineavano un quadro ben più grave della semplice commissione di singoli reati.

Conferma delle Esigenze Cautelari

Infine, la Corte ha confermato la valutazione sulla pericolosità sociale dell’indagato. Il lungo tempo trascorso dai fatti è stato ritenuto insufficiente a superare la presunzione di pericolosità legata ai reati associativi. Il Tribunale aveva correttamente considerato la gravità dei precedenti penali, la stabilità dei legami con l’ambiente del narcotraffico e l’assenza di elementi concreti che indicassero una reale “rescissione del rapporto con l’associazione criminosa”. Il percorso di affidamento ai servizi sociali, concesso quando i fatti in esame non erano ancora noti, è stato giudicato irrilevante.

Le Conclusioni

La sentenza in esame rappresenta un’importante conferma dell’orientamento della giurisprudenza italiana sull’uso delle prove digitali. Viene sancito il principio secondo cui i dati provenienti da sistemi di comunicazione criptati, se acquisiti nel rispetto delle regole di cooperazione giudiziaria europea e dei diritti fondamentali, costituiscono una fonte di prova pienamente legittima. La decisione sottolinea inoltre che, in materia di criminalità organizzata, la valutazione della pericolosità sociale ai fini della custodia cautelare deve essere particolarmente rigorosa, e il solo decorso del tempo non è sufficiente a dimostrare il venir meno delle esigenze cautelari senza concreti e inequivocabili segnali di distacco dal contesto criminale.

I dati provenienti da chat criptate di un servizio estero sono utilizzabili in un processo penale italiano?
Sì. La Corte di Cassazione, richiamando le Sezioni Unite, ha stabilito che i dati acquisiti tramite un ordine europeo di indagine sono utilizzabili, a condizione che sia garantito il rispetto dei diritti fondamentali previsti dalla Costituzione e dalla normativa europea. Non è necessaria la piena osservanza di tutte le norme procedurali italiane previste per le acquisizioni sul territorio nazionale.

La difesa ha diritto di accedere all’algoritmo di decifrazione delle chat per poterlo contestare?
No. Secondo la sentenza, l’impossibilità per la difesa di accedere all’algoritmo di decriptazione non determina una violazione dei diritti fondamentali di difesa. La Corte ritiene che il contenuto di un messaggio sia inscindibilmente legato alla sua chiave di cifratura, escludendo il pericolo di alterazione dei dati.

È sufficiente un lungo periodo di tempo senza commettere reati per ottenere la revoca della custodia cautelare per reati associativi?
No. Per reati come l’associazione mafiosa o finalizzata al traffico di stupefacenti, esiste una presunzione di pericolosità. La Corte ha chiarito che il solo trascorrere del tempo, anche se rilevante, non è sufficiente a vincere tale presunzione se non è accompagnato da elementi concreti che dimostrino un effettivo e definitivo allontanamento dell’indagato dal contesto criminale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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