Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 26949 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 26949 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 20/06/2024
5 E AITE4/2A7
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a SIDERNO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 13/02/2024 del TRIB. LIBERTA di CATANZARO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette/se COGNOME e le conclusioni del PG NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con ordinanza del 13 Febbraio 2024, il Tribunale di Catanzaro, ai sensi dell’articolo 309 cod. proc. pen., ha confermato il provvedimento emesso dal G.i.p. presso il Tribunale di Vibo Valentia, con cui era stata imposta la misura cautelare della custodia in carcere a carico di NOME NOME per il delitto di cu all’articolo 73, comma 1, d.P.R. 309/90.
Il predetto era stato arrestato in flagranza di reato in data 23 gennaio 2024, arresto convalidato dal giudice per le indagini preliminari, che contestualmente emetteva ordinanza di applicazione della misura cautelare della custodia in carcere, per avere l’indagato illecitamente detenuto al fine di cessione e vendita a terzi, sostanza stupefacente del tipo cocaina, suddivisa in quattro buste, del peso complessivo di 1.879,7 grammi lordi. Lo stupefacente era occultato all’interno del portabagagli della vettura condotta dall’indagato.
Il Tribunale del riesame ha ritenuto corretta la qualificazione giuridica del fatto, sussistenti i gravi indizi di colpevolezza in ord al reato contestato all’indagato e ricorrenti le esigenze cautelar collegate al pericolo di reiterazione di reati dello stesso tipo di que per cui si procede, evincibili dal contesto in cui era stato effettuato ritrovamento della droga e dalle specifiche modalità e circostanze del fatto, indicative di un’attività delittuosa di tipo non occasionale
La COGNOME disponibilità COGNOME di COGNOME un COGNOME considerevole COGNOME quantitativo COGNOME di stupefacente, alla stregua di quanto argomentato in motivazione, era reputata indicativa della gestione di una rete di acquirenticonsumatori di rilevanti dimensioni e dell’inserimento del prevenuto in ambienti malavitosi dediti al traffico di stupefacent l’occultamento della sostanza all’interno di un pannello nel portabagagli della vettura presa a nolo era considerato indice di professionalità nell’agire.
Avverso l’ordinanza di cui sopra ha proposto ricorso per Cassazione l’indagato, articolando un motivo unico di ricorso, nel quale deduce quanto segue.
Violazione di legge per erronea applicazione dell’art. 275, comma 3 e comma 3-bis, cod. proc. pen.; 292, comma 2, lettera cbis) cod. proc. pen. e 125, comma 3, cod. proc. pen.; carenza e
illogicità della motivazione in punto di valutazione di adeguatezza della misura e con riferimento all’esame delle doglianze difensive contenute nella memoria prodotta innanzi al giudice del riesame.
Il Tribunale, lamenta la difesa, ha confermato la decisione del primo giudice giustificando la scelta della misura di massimo rigore al fine di assicurare il “drastico allontanamento dell’indagato dal circuito di spaccio in cui è attualmente inserito e dai fattori causa dei suoi illeciti comportamenti” ed al fine di impedire la ricaduta nel reato. L’inadeguatezza di ogni altra misura viene invece individuata nella personalità allarmante del ricorrente attese le modalità della condotta.
La motivazione sarebbe solo apparente e, quindi, mancante, perché fondata su mere asserzioni che ribadiscono il pericolo di reiterazione nel reato, senza offrire alcun contributo chiarificator circa l’adeguatezza della sola misura di massimo rigore.
Gli elementi indiziari riversati in atti non corroborano convincimento circa l’adeguatezza della misura massimamente afflittiva, che viene invece giustificata sulla base di sempli presunzioni.
Sarebbe quindi violato l’obbligo di motivazione e la corretta applicazione dell’articolo 275 cod. proc. pen.
La giustificazione addotta dal Tribunale del riesame, basata unicamente sulla personalità allarmante dell’indagato, è completamente avulsa da un collegamento logico con la possibile reiterazione del reato, anche perché ignara degli obblighi solitamente imposti con la misura degli arresti domiciliari e dei controlli quotidiani delle Forze dell’ordine. Allo stesso tempo la motivazione denota un’erronea applicazione del terzo comma dell’articolo 275 cod. proc. pen. laddove non spiega l’inadeguatezza della misura degli arresti domiciliari se non con una motivazione meramente assertiva, che non consente un giusto vaglio sull’iter logico seguito per rendere plausibile tale affermazione. Si rammenta come la perquisizione domiciliare abbia dato esito negativo; il rinvenimento di materiale analogo a quello utilizzato per il confezionamento della sostanza sequestrata rappresenta un dato generico e inidoneo a valorizzare l’incapacità di autocontrollo del ricorrente.
La motivazione risulta ancora più illogica ove confrontata con l’ordinanza genetica. A pagina 6 dell’ordinanza genetica, il Giudice
della cautela ritiene che altre misure non possano avere efficacia dissuasiva in quanto l’odierno ricorrente può, anche per interposta persona, continuare a mantenere contatti criminosi con l’ambiente in cui è maturato il delitto. Anche a voler prescindere dalla contraddittorietà della motivazione non può tacersi « invece dell’apparenza della stessa, perché fondata su asserzioni prive di qualsiasi elemento concreto a sostegno. Il G.i.p. ed il Tribunale del riesame finiscono per utilizzare surrettiziamente regole di giudizio che riguardano altre tipologie di reato, ossia quelle indicate dall’art 275, comma 3, cod. proc. pen., fondate su presunzioni relative di sussistenza delle esigenze cautelari per le quali non occorre alcun particolare rigore motivazionale al fine di escludere la capacità dell’indagato di autocontrollarsi.
I procedimenti per reati come quello addebitato al NOME sono sottratti al regime speciale delle presunzioni e seguono le regole cautelari ordinarie. L’inidoneità della misura degli arrest domiciliari, anche eventualmente con controllo a distanza, deve essere fondata su specifiche ragioni, dalle quali inferirsi, in modo rigoroso, l’inadeguatezza di ogni altra misura.
Le censure formulate sul punto dalla difesa sono rimaste sostanzialmente inevase nel provvedimento impugNOME. Esse miravano ad evidenziare la mancanza di elementi che consentano di ritenere l’inserimento dell’indagato in un circuito criminale pi ampio; la personalità dell’indagato, incensurato, denota una prognosi negativa in ordine al pericolo di reiterazione nel reato; le circostanze esaminate in motivazione sono frutto di travisamento.
Il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, con requisitoria scritta, ha concluso per la declaratoria d’inammissibilità del ricorso.
La difesa ha presentato conclusioni scritte, riportandosi ai motivi di ricorso ed insistendo nel richiedere il loro accoglimento.
3. Il ricorso è inammissibile.
Il Tribunale del riesame ha fatto corretta applicazione dei criteri valutativi indicati dalla giurisprudenza di questa Corte in tem di esigenze cautelari e scelta della misura, allineandosi ai predetti superiori principi ed evidenziando le seguenti circostanze.
L’apprezzabile quantitativo di sostanza rinvenuta nella disponibilità del ricorrente, dato indicativo di uno stabile inseriment dell’indagato nel circuito criminale dedito al traffico illecit
sostanze stupefacenti.
Le specifiche modalità di occultamento della sostanza, nascosta in un panello smontabile all’interno del cofano della vettura.
Il ritrovamento nell’abitazione dell’indagato di materiale atto al confezionamento in dosi della sostanza (macchinetta per il sottovuoto e sacchetti termosaldati dello stesso tipo di quelli contenenti lo stupefacente caduto in sequestro).
L’impossibilità di riqualificare il reato nell’ipotesi di all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990 alla luce del considerevole quantitativo rinvenuto (grammi 1879 lordi di cocaina), sintomatico di una strutturata attività di spaccio, per mezzi, modalità e capacità di soddisfacimento di una più che apprezzabile platea di acquirenti.
L’ordinanza impugnata, pertanto, contiene plurime indicazioni sulle modalità della condotta criminosa, sulla personalità dell’indagato e sul presumibile collegamento con la criminalità del settore, che lasciano logicamente desumere l’esistenza di un effettivo rischio di reiterazione del reato.
A fronte di tale apparato motivazionale, puntuale, coerente e non manifestamente illogico, il ricorrente oppone censure sfornite di spunti critici effettivi, sostanzialmente limitandosi a prospettare una diversa valutazione dei medesimi elementi di fatto già considerati negativamente dal Tribunale.
Quanto alla scelta della misura, va premesso che, in tema di misure cautelari personali, l’inadeguatezza degli arresti domiciliari in relazione alle esigenze di prevenzione di cui all’art. 274, lett. c) co proc. pen. può essere ritenuta quando, alla stregua di un giudizio prognostico fondato su elementi specifici inerenti al fatto, all motivazioni di esso ed alla personalità dell’indagato, sia possibile prevedere che lo stesso si sottrarrà all’osservanza dell’obbligo di non allontanarsi dal domicilio (Sez. 6, n. 53026 del 06/11/2017, Crupi, Rv. 271686). L’adeguatezza della misura in concreto applicata, pertanto, va valutata anche con riferimento alla prognosi di spontaneo adempimento da parte dell’indagato (Sez. 6, n. 53026 del 06/11/2017, Crupi, Rv. 271686; Sez. 3, n. 5121 del 04/12/2013, dep. 2014, Alija, Rv. 258832) ed assume particolare rilievo il dato della sua pericolosità (Sez. 6, n. 2852 del 02/10/1998, COGNOME, Rv. 211755).
L’inadeguatezza degli arresti donniciliari, in relazione alle esigenze di prevenzione di cui all’art. 274, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., può, quindi, essere ritenuta quando elementi specifici in relazione alla personalità del soggetto inducano a ritenere che quest’ultimo possa essere propenso a violare le prescrizioni della cautela impostagli.
Tale valutazione va eseguita soppesando, nella loro globalità, sia gli elementi inerenti alla gravità ed alle circostanze del fatto sia quelli inerenti alla personalità del prevenuto nel senso che la concessione degli arresti domiciliari è preclusa nella misura in cui sulla base di dati fattuali concreti, anche desumibili da massime di esperienza, e dunque non meramente astratti o congetturali – sia possibile ritenere che l’imputato si sottragga all’osservanza delle prescrizioni attraverso il mancato assolvimento degli obblighi connessi all’esecuzione della misura cautelare domestica.
Con specifico riferimento ai criteri di scelta delle misure coercitive custodiali, l’inadeguatezza degli arresti domiciliari, relazione alle esigenze di prevenzione di cui all’art. 274, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., può essere ritenuta sia quando elementi specifici in relazione alla personalità del soggetto inducano a ritenere che quest’ultimo possa essere propenso a disubbidire all’ordine di non allontanarsi dal domicilio, sia quando la gravità del fatto, le motivazioni di esso e la pericolosità dell’indagat depongano nel medesimo senso, ossia per la propensione all’inosservanza delle prescrizioni.
Nella fattispecie che occupa, il Tribunale del riesame ha sottolineato l’impossibilità di formulare una prognosi di spontaneo adeguamento alle prescrizioni della gradata misura custodiale, ponendo in evidenza l’inidoneità degli arresti domiciliari a garantire il continuo monitoraggio delle relazioni del prevenuto, richiesto dalla necessità di recidere i suoi attuali contatti con gli ambienti crimina dediti al commercio degli stupefacenti. Ha poi evidenziato come il ritrovamento nell’abitazione del prevenuto del materiale di confezionamento dello stupefacente fosse indicativo del fatto che egli fosse dedito anche in ambiente domestico all’attività illecita d cui si tratta.
Le puntuali argomentazioni svolte dal giudice del merito per sottolineare, da un lato, la solidità e la gravità del quadro indiziar in relazione ad un fatto dotato di rilevante offensività e, dall’altro pericolo concreto e attuale di recidivanza e l’esclusiva adeguatezza
della custodia in carcere per fronteggiare lo stesso, non sono sindacabili in sede di controllo di legittimità del provvedimento impugNOME, non essendo consentito alla Corte di Cassazione lo scrutinio fattuale della decisione impugnata, laddove correttamente e logicamente motivata.
Rispetto all’indicato percorso argomentativo, le doglianze del ricorrente consistono in rilievi in fatto, reiterativi delle temat affrontate correttamente dai giudici di merito ed eccentriche (rilievo riguardante l’asserito ricorso a presunzioni nello sviluppo del ragionamento dei giudici della cautela).
All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa d’inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000). Si dispongono gli adempimenti di cui all’art. 94 co. 1-ter disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
In Roma, così deciso il 20 giugno 2024
Il Presidente Il Consigliere estensore