Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 19319 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 1 Num. 19319 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 20/02/2025
PRIMA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME
– Relatore –
SENTENZA
Sul ricorso proposto da: NOME NOME nato a Castelvetrano il 29/01/1959 avverso l’ordinanza del 13/11/2024 del Tribunale di Palermo udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME COGNOME
lette le conclusioni del Sost. Proc. Gen. NOME COGNOME per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Palermo, Sezione per il riesame, con ordinanza del 13 novembre 2024, ha accolto l’appello proposto dal Procuratore generale della Corte di appello di Palermo avverso l’ordinanza con la quale la Corte di Appello di Palermo, nel dispositivo della sentenza pronunciata all’esito di annullamento con rinvio in ordine alla ritenuta sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 416-bis, comma sesto, cod. pen., ha dichiarato inefficace per decorrenza dei termini massimi la misura della custodia cautelare in carcere applicata e ha pertanto disposto il ripristino della stessa nei confronti di NOME COGNOME imputato e condannato alla pena di anni undici e mesi due di reclusione in relazione al reato di cui all’art. 416-bis, commi secondo e quarto, cod. pen.
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso l’indagato che, a mezzo del difensore, in due distinti ma complementari motivi ha dedotto la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione agli artt. 303, comma 1, lett. c) n. 3, 303, comma 4, lett. c, e 304, comma 2, cod. proc. pen. Nei due motivi la difesa rileva che il Tribunale del riesame sarebbe incorso in errore in quanto avrebbe erroneamente individuato il termine massimo di custodia cautelare in anni 9 laddove, invece, non avrebbe dovuto essere computata l’aggravante di cui al comma sesto dell’art. 416-bis cod. pen., che Ł stata esclusa dal giudice di merito. A fronte di tale esclusione, quindi, si sarebbe dovuto considerare come interamente decorso il termine di fase, quello che, cioŁ, doveva intercorre tra la pronuncia della sentenza di primo grado e l’emissione della sentenza di appello, previsto per il caso di specie dall’art. 303, comma 1, lett. c) n. 3, cod. proc. pen., in anni uno e mesi sei, che può essere aumentato al limite di sei mesi e quindi sino ad anni due. A ben vedere d’altro canto, la motivazione
del Tribunale, che fa riferimento al contenuto della diversa e distinta ordinanza che ha adottato i provvedimenti previsti ex art. 307 cod. proc. pen., sarebbe manifestamente illogica in quanto l’ordinanza impugnata era soltanto quella contenuta nel dispositivo della sentenza e non quella successivamente adottata a seguito dell’istanza del Procuratore generale.
In data 4 febbraio 2025 sono pervenute le conclusioni scritte con le quali il Sost. Proc. Gen. NOME COGNOME chiede che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso Ł infondato.
In due distinti ma nella sostanza complementari motivi la difesa deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione agli artt. 303, comma 1, lett. c) n. 3, 303, comma 4, lett. c, e 304, comma 2, cod. proc. pen.
Le doglianze sono infondate.
Le censure della difesa prendono le mosse dalla ritenuta applicazione al caso di specie dell’art. 303, comma 4, lett. b), cod. proc. pen. piuttosto che della lettera c) e della mancata considerazione dell’intervenuto spirare del termine di fase di cui all’art. 303, comma 1, lett. c) n. 3, cod. proc. pen.
I presupposti da cui prende le mosse la difesa, come correttamente evidenziato nel provvedimento impugnato, sono errati.
2.1. Nel caso in esame, che si riferisce a un giudizio di rinvio, si applica l’art. 303, comma 2, cod. proc. pen. per cui i termini di fase di cui al comma 1 della medesima norma decorrono di nuovo dalla data del provvedimento che ha disposto ‘il regresso o il rinvio’.
2.2. In termini generali, d’altro canto, la conclusione cui Ł pervenuto il Tribunale del riesame Ł corretta quanto all’applicazione del termine massimo di cui all’art. 303, comma 4, lett. c), cod. proc. pen. piuttosto che all’ipotesi di cui alla lettera b) dello stesso articolo.
Nel caso di specie, infatti, la Corte di cassazione ha annullato la sentenza pronunciata dalla Corte di appello di Palermo solo in relazione alla sussistenza o meno dell’aggravante di cui all’art. 416-bis, comma sesto, cod. pen. per cui, in quella stessa data, come evidenziato nel provvedimento impugnato, Ł divenuta irrevocabile la condanna per il reato di cui all’art. 416-bis, comma secondo, cod. pen. aggravato ai sensi del comma quarto della stessa norma, per il quale, considerato che la pena massima Ł anni ventisei, l’art. 303, comma 4, lett. c), cod. proc. pen. prevede che il termine massimo complessivo della custodia sia di anni sei, aumentabili sino a nove nel caso in cui ci siano sospensioni.
Ragione questa, in conclusione, per cui, computate le sospensioni pari ad anni due, mesi tre i giorni sedici, come correttamente indicato nel provvedimento impugnato, il termine massimo non era decorso e l’ordinanza della Corte di appello in data 14 ottobre 2024, accolto sul punto l’appello del pubblico ministero, Ł stata coerentemente annullata. Ciò senza che possa assumere alcun rilievo il successivo e solo conseguenziale provvedimento che ha disposto ex art. 307, comma 1-bis, cod. proc. pen. l’applicazione cumulativa delle misure del divieto di espatrio e dell’obbligo di dimora con il connesso divieto di uscire dall’abitazione in ora notturna e serale.
Il rigetto del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28 reg. esec. cod. proc. pen.
Così deciso il 20/02/2025.
Il Presidente NOME COGNOME