Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 22028 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 22028 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 13/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME nato a Palermo il 28/11/1938
avverso l’ordinanza emessa il 3/1/2025 dal Tribunale di Palermo
Visti gli atti, l’ordinanza impugnata e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo di dichiarare l’inammissibilità del ricorso; udito l’Avv. NOME COGNOME difensore del ricorrente, che ha concluso chiedendo di accogliere il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 3 gennaio 2025, il Tribunale di Palermo ha confermato il provvedimento emesso il 5 dicembre 2024 dalla Corte di appello della stessa città, che ha respinto l’istanza di scarcerazione di Settimo Mineo per decorrenza dei termini massimi di custodia cautelare ex art. 303, comma 4, cod. proc. pen.
Avverso l’ordinanza del Tribunale ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, che ha dedotto violazione di legge, per essere decorso il termine massimo di custodia cautelare.
Premesso che l’imputato è ristretto in custodia cautelare in carcere ininterrottamente dal primo dicembre 2018, allorquando è stato eseguito nei suoi confronti il decreto di fermo del Pubblico ministero per il delitto di direzione d associazione mafiosa e per vari reati di estorsione, consumati e tentati, aggravati dall’art. 416-bis cod. pen., il ricorrente ha dedotto che sarebbe decorso il termine massimo pari ad anni sei, come disposto dall’art. 303, comma 4, lett. c), cod. proc. pen., in ragione della sanzione edittale dei reati per cui si procede, superiore nel massimo a 20 anni di reclusione. L’errore del Tribunale sarebbe evidente, in quanto non avrebbe considerato la sentenza della Corte costituzionale n. 299 del 2005, che consente di recuperare, ai fini dei termini massimi di fase determinati dall’art. 304, comma 6, cod. proc. pen., i periodi di custodia cautelare sofferti in fasi o gradi diversi dalla fase o dal grado in cui procedimento è regredito. Tale conclusione sarebbe avvalorata da precedenti decisioni della Corte di appello, quale quella assunta nel procedimento n. 4311/2018 nei confronti di NOME COGNOME a cui erano stati contestati i reati di cui agli artt. 416-bis, commi 1, 2, 3 e 4, cod. pen. e 71 D.Igs n. 159/2011.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Questa Corte ha già avuto modo di affermare che, in tema di durata della custodia cautelare, a seguito della parziale declaratoria di incostituzionalità dell’art. 303, comma 2, cod. proc. pen., operata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 299 del 22 luglio 2005, quando ha luogo il regresso del procedimento a seguito di annullamento con rinvio da parte della Corte di cassazione, ai fini del computo dei termini massimi di fase determinati dall’art. 304, comma 6, cod. proc. pen., si deve tenere conto anche del periodo di custodia cautelare sofferto durante la pendenza del procedimento in cassazione. Tuttavia, nel caso in cui sia stata pronunciata doppia sentenza conforme sulla responsabilità, non annullata sul punto in sede di legittimità, sono applicabili soltanto i termini di durata complessiva della custodia cautelare previsti dagli artt. GLYPH 303, GLYPH comma GLYPH 4, GLYPH e GLYPH 304, GLYPH comma GLYPH 6, GLYPH cod. GLYPH proc. GLYPH pen. (Sez. 1, n. 7785 del 24/01/2008, COGNOME Rv. 239235 – 01; conforme: Sez. 6, n. 1735 del 7/11/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 274941 – 01)
Nel caso in esame, il Tribunale ha evidenziato che si verte in tema di doppia conforme pronuncia sulla colpevolezza, di guisa che il termine di fase della custodia cautelare è quello massimo di cui all’art. 303, comma 4, cod. proc. pen. e, segnatamente, quello sub capo c) della medesima disposizione (anni 6), alla luce della pena prevista per il più grave reato di cui al capo a), ossia oltre 20 anni di reclusione.
La regressione del procedimento a seguito dell’annullamento della sentenza di appello, disposto da questa Corte in relazione alle modalità di calcolo dell’aumento di cui all’art. 81 cpv. cod. pen., ha comportato la nuova decorrenza del termine di fase, a norma dell’art. 303, comma 2, cod. proc. pen., con divieto, tuttavia, di superamento del c.d. termine massimo dei massimi, ossia il tetto di cui al comma 6 dell’art. 404 cod. proc. pen. (doppio del termine di fase ovvero termine di cui all’art. 303, comma 4, cod. proc. pen., aumentato della metà) come da sentenza della Corte costituzionale n. 299/2005.
Nel caso in esame, quindi, essendo stata pronunciata doppia sentenza conforme sulla responsabilità, non annullata sul punto in sede di legittimità, sono applicabili soltanto i termini di custodia di durata complessiva della custodia cautelare, previsti dagli artt. 303, comma 4, e 304, comma 6, cod. proc. pen., e, poiché il termine di fase coincide con quello massimo (anni 6) in ragione della pena per il più grave reato di cui all’art. 416-bis, commi secondo e quarto, cod. pen., su detto termine opera l’aumento della metà (ulteriori tre anni), quale tetto massimo ex comma 6 dell’art. 304 cod proc. pen. per effetto della regressione del procedimento.
Alla luce di quanto precede va rilevato, dunque, che correttamente il Tribunale ha ritenuto che il termine di fase non fosse ancora scaduto, anche per effetto della sommatoria sul termine di sei anni delle sospensioni, cumulabili fino alla concorrenza di ulteriori tre anni (la metà del termine di anni 6) e ricorrenti nella fattispecie per effetto delle plurime ordinanze di sospensione, citate dalla Corte di appello.
Va aggiunto, infine, che il Tribunale ha anche evidenziato le ragioni per cui non giovava al ricorrente il richiamo delle ordinanze pronunciate nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME. In particolare, con riguardo ad NOME COGNOME, si era trattato non di una ordinanza collegiale in tema di calcolo dei termini di custodia, ma di un mero ordine provvisorio di scarcerazione, emesso dal Presidente del Collegio in esito alla pronuncia della sentenza nel procedimento 4311/18. Quanto all’ordinanza allegata all’atto di appello nel diverso procedimento a carico di NOME COGNOME essa non teneva conto dell’incidenza della regressione, a seguito della sentenza di annullamento con
rinvio della Suprema Corte, ai fini del calcolo del termine di fase, a mente del comma 2 dell’art. 303 cod. proc. pen.: disposizione non richiamata nell’ordinanza
citata.
5. In definitiva, il ricorso è inammissibile e ciò comporta, ai sensi dell’art.
616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché – non sussistendo ragioni di esonero (Corte cost., 13 giugno
2000 n. 186) – della somma di euro tremila, equitativamente determinata, in favore della Cassa delle Ammende a titolo di sanzione pecuniaria.
6. La Cancelleria è onerata degli adempimenti di cui all’art. 94, comma
I- ter,
disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 13/5/2025.