Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 10436 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 10436 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 19/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOMECOGNOME nato a Caserta il 29/11/1987
avverso l’ordinanza del 21/10/2024 del Tribunale di Napoli visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo di dichiarare l’inammissibilità del ricorso; udito per il ricorrente l’avv. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
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RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 21 ottobre 2024 il Tribunale di Napoli ha rigettato la richiesta di riesame presentata da NOME COGNOME nei confronti dell’ordinanza del 1 ottobre 2024 del Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale, con la quale gli era stata applicata la misura cautelare della custodia in carcere in relazione al reato associativo di cui all’art. 74 d.P.R. 309/90 di cui al capo a) e due contestazioni di reati fine ex art. 73 d.P.R. 309/90 di cui ai capi 39) e 40)
Avverso tale ordinanza l’indagato ha proposto ricorso per cassazione, mediante l’Avvocato NOME COGNOME che lo ha affidato a due motivi.
2.1. Con il primo motivo ha denunciato la violazione dell’art. 273 cod. proc. pen. e un vizio della motivazione, nella parte relativa alla affermazione della sussistenza di gravi indizi di responsabilità a carico del ricorrente in ordine all partecipazione alla associazione finalizzata alla realizzazione di un numero indeterminato di reati in materia di stupefacenti di cui al capo a), quale stabile acquirente dal sodalizio, in quanto dalle conversazioni intercettate era ricavabile solamente che il ricorrente COGNOME gestiva una autonoma piazza di spaccio in Caivano, da circa 15 anni, e aveva chiesto a NOME COGNOME, capo del sodalizio facente capo allo stesso, di poter “regolare autonomamente i conti” con i propri concorrenti di una piazza di spaccio limitrofa, ma non anche uno stabile rapporto di fornitura di stupefacenti tale da determinarne l’intraneità al sodalizio.
Ha aggiunto che il coinvolgimento del ricorrente nei due episodi di acquisto di stupefacenti di cui ai capi 39) e 40) non poteva ritenersi dimostrativo anche della partecipazione al gruppo criminale di cui al capo a), in quanto questa presuppone un consapevole e volontario contributo alla realizzazione degli scopi di tutta la consorteria.
2.2. Con il secondo motivo ha denunciato la violazione degli artt. 274 e 275, terzo comma, cod. proc. pen. e un ulteriore vizio di carenza e manifesta illogicità della motivazione, con riferimento alla affermazione della attualità e concretezza delle esigenze cautelari e della adeguatezza e proporzionalità della custodia in carcere, essendo, tra l’altro, stata indebitamente e immotivatamente disattesa la propria richiesta di applicazione degli arresti domiciliari, con la cautela d cosiddetto braccialetto elettronico.
Ha sottolineato, quanto alla attualità delle esigenze, il tempo trascorso dalla cessazione della attività del sodalizio criminale, superiore a 4 anni, avendo detto sodalizio operato dal settembre 2019 all’agosto 2020, e l’applicazione della misura, non essendo, tra l’altro, emersa la diffusività per tipologia e quantità della sostanza stupefacente ceduta e anche i caratteri e le modalità del rapporto di fornitura in favore del ricorrente COGNOME.
GLYPH Quanto alla adeguatezza della misura della custodia in carcere, non era stata considerata la possibilità di esecuzione degli arresti domiciliari in un’altra regione avendo la sorella del ricorrente offerto la propria disponibilità ad ospitarlo e sostenere le spese di custodia e mantenimento, con la conseguente insufficienza della motivazione anche su tale punto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è manifestamente infondato.
2. Il primo motivo, relativo alla sussistenza degli indizi di partecipazione al reato associativo di cui al capo a), quale stabile acquirente dal sodalizio in grado di dare in tal modo un contributo alla sua operatività, è inammissibile, essendo volto, attraverso la deduzione di violazioni di legge e di vizi della motivazione, a censurare l’apprezzamento e la valutazione degli elementi indiziari a carico, in particolare il contenuto delle conversazioni intercettate, proponendone una lettura alternativa e una diversa interpretazione.
Va, dunque, rammentato che le Sezioni Unite, con la sentenza Sebbar, hanno chiarito che, in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l’interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione de giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimità (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015 Sebbar, Rv. 263715 – 01; conf. Sez. 3, n. 35593 del 17/05/2016, COGNOME, Rv. 267650 – 01; Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, COGNOME, Rv. 282337 – 01), e che le dichiarazioni auto ed etero accusatorie registrate nel corso di attività d intercettazione regolarmente autorizzata hanno piena valenza probatoria e, pur dovendo essere attentamente interpretate e valutate, non necessitano degli elementi di corroborazione previsti dall’art. 192, comma terzo, cod. proc. pen. (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Rv. 263714 – 01).
Il motivo di ricorso sollecita, invece, una rilettura degli elementi indizi considerati e posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, però, riservata in via esclusiva ai giudici del merito, senza che possa integrare alcun vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente pi adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, COGNOME, Rv. 207944), senza neppure concretamente confrontarsi con l’ordinanza impugnata, che ha evidenziato puntualmente i molteplici, e invero univoci, elementi dimostrativi del rapporto di stabile fornitura di droga dal Clan Gallo.
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GLYPH In particolare, nell’ordinanza impugnata, dopo aver ricostruito la genesi e lo svolgimento dell’indagine e aver illustrato la nascita del sodalizio facente capo ad NOME COGNOME e NOME COGNOME, divenuto egemone nel territorio di Caivano, sono state illustrare le modalità di funzionamento di tale associazione, caratterizzata dal controllo da parte del Clan COGNOME COGNOME delle varie “piazze di spaccio” già esistenti in Caivano, sulle quali tale clan aveva assunto l’egemonia e il controllo, fornendo ai gestori protezione da altri clan rivali o concorrenti pretendo l’acquisto della sostanza stupefacente da rivendere solamente attraverso i canali del clan (che, in tal modo aveva la garanzia di uno stabile mercato di smercio dello stupefacente, garantendosi, così, prospettive certe di operatività).
In tale contesto è stata evidenziata la posizione del ricorrente, indicando gli elementi dimostrativi della sua intraneità, quale stabile acquirente, al sodalizio.
In particolare, il Tribunale ha evidenziato il contenuto di alcune conversazioni intercettate dalle quali è stato ricavato, in modo non illogico, l’inserimento de ricorrente nel sodalizio, avendo lo stesso chiesto a Gallo l’autorizzazione a allontanare alcuni soggetti concorrenti “che avendo aperto delle piazze di spaccio in prossimità della sua gli facevano concorrenza” (pag. 8 dell’ordinanza impugnata), in tal modo riconoscendo il suo assoggettamento al potere di comando del capo, il quale in cambio di tale appoggio aveva preteso che il ricorrente acquistasse la sostanza stupefacente da vendere nella sua piazza di spaccio solamente da lui (ossia dal clan Aneglino – Gallo). E’ stato evidenziato anche il contenuto di alcune conversazioni intercettate ritenuto, anche a questo proposito in modo non illogico alla luce del loro contenuto inequivoco riportato nella motivazione dell’ordinanza, dimostrativo della stabilità e continuatività del rapporto di fornitura di stupefacenti, traendo ulteriore conforme del rapporto stabile esistente tra il ricorrente e il clan e della funzionalità di tale rapporto operatività del sodalizio.
Tali considerazioni, non certamente illogiche, ma, anzi, pienamente razionali, alla luce dell’univoco contenuto delle conversazioni intercettate riportate nella motivazione dell’ordinanza impugnata, sono state censurate dal ricorrente esclusivamente sul piano dell’apprezzamento e della valutazione degli elementi a carico, in particolare delle conversazioni intercettate, proponendone una lettura alternativa, non consentita, come ricordato, nel giudizio di legittimità, nel quale è esclusa la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch’essa logica, dei dati processuali, o una diversa ricostruzione storica dei fatti, o un diverso giudizio di rilevanza, o comunque di attendibilità dell fonti di prova (Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, COGNOME, Rv. 276970; Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, COGNOME, Rv. 262575; Sez. 3, n. 12226 del 22/01/2015, G.F.S., non massimata; Sez. 3, n. 40350, del 05/06/2014, C.C. in proc. M.M., non
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massimata; Sez. 3, n. 13976 del 12/02/2014, P.G., non massimata; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, COGNOME, Rv. 253099; Sez. 2, n. 7380 del 11/01/2007, Messina ed altro, Rv. 235716).
Il secondo motivo, relativo alla attualità e concretezza delle esigenze cautelari e alla adeguatezza e proporzionalità della custodia in carcere, è manifestamente infondato.
Va, dunque, anzitutto rammentato che, in tema di misure cautelari personali, la presunzione relativa di sussistenza delle esigenze di cautela sancita dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. può essere superata a condizione che si dia conto dell’avvenuto apprezzamento di elementi, evidenziati dalla parte o direttamente enucleati dagli atti, significativi in tal senso, afferenti, in specie, alla tipolog delitto in contestazione, alle concrete modalità del fatto e alla sua risalenza, non essendo sufficiente, a tal fine, il mero decorso del cosiddetto “tempo silente”, posto che è escluso, in materia, qualsiasi automatismo valutativo (Sez. 2, n. 24553 del 22/03/2024, COGNOME, Rv. 286698 – 01).
La presunzione relativa di pericolosità sociale posta dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. determina la necessità che il giudice, senza dover dar conto della ricorrenza dei “pericula libertatis”, si limiti ad apprezzare le ragioni della sua esclusione, ove queste siano state evidenziate dalla parte o siano direttamente evincibili dagli atti, tra le quali, in particolare, rilevano sia il fattore trascorso dai fatti”, che deve essere parametrato alla gravità della condotta, sia la rescissione dei legami con il sodalizio di appartenenza, desumibile da indicatori concreti, quali le attività risocializzanti svolte in regime carcerario, volte reinserimento nel circuito lavorativo lecito, nonché l’assenza di comportamenti criminali (Sez. 5, n. 806 del 27/09/2023, dep. 2024, S., Rv. 285879 – 01; Sez. 5, n. 36891 del 23/10/2020, Quaceci, Rv. 280471 – 01; Sez. 5, n. 57580 del 14/09/2017, Lupia, Rv. 272435 – 01).
Ora, nel caso in esame, in presenza della doppia presunzione relativa di cui all’art. 275, terzo comma, cod. proc. pen., di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della custodia cautelare in carcere, il ricorrente si è limitato ad allegare il decorso di un apprezzabile arco di tempo dalla cessazione della operatività del sodalizio (che sarebbe cessata nel settembre 2020), la mancata commissione di altri reati e la possibilità di esecuzione degli arresti domiciliari luogo distante da quello nel quale vennero realizzate le condotte illecite (aspetto, quest’ultimo, che non risultata, dalla non contestata narrativa dell’ordinanza impugnata, essere stato sottoposto al Tribunale, né con la richiesta di riesame né altrimenti, con la conseguente preclusione alla deduzione di un vizio di motivazione sul punto).
A COGNOME Si tratta, indubbiamente, di allegazioni generiche e, soprattutto, insufficienti, a fronte della personalità negativa del ricorrente, della sua pericolosità, della evidenziata gravità dei reati e del contesto criminale conseguente alla costituzione della associazione della quale era stabile partecipe anche il ricorrente.
Al riguardo il Tribunale ha sottolineato la pericolosità del fenomeno associativo (caratterizzato dalla movimentazione di grandi quantitativi di stupefacenti, dalla disponibilità di plurimi canali di smercio e approvvigionamento, dalla sistematicità e professionalità dell’attività illecita, svolta utilizzando anche telefoni Blackber che venivano sostituiti periodicamente), evidenziando gli specifici elementi indicatori di una realtà criminale radicata, datata, ben collaudata, dedita a una attività di spaccio di stupefacenti sistematica e continua.
Sono state, poi sottolineate, sia la pericolosità del ricorrente, noto come spacciatore inserito da anni in contesti camorristici a Caivano, condannato per reati in materia di armi e stupefacenti, sia il suo inserimento nel sodalizio, al punto da manifestare l’intenzione di intraprendere azioni armate nei confronti di spacciatori concorrenti sgraditi, ribadendo quindi la sussistenza delle esigenze cautelari, la loro concretezza e attualità e la adeguatezza della custodia in carcere, in ragione della pericolosità del ricorrente e del suo radicamento in contesti criminali.
Si tratta di motivazione idonea a dare conto della persistenza delle esigenze cautelari e della adeguatezza della sola custodia cautelare in carcere, che il ricorrente ha censurato in modo generico, omettendo di confrontarsi con tutti gli aspetti evidenziati dal Tribunale e senza allegare, oltre al tempo trascorso, fatti specifici indicativi della rescissione dei legami con gli ambienti criminali nei qual lo stesso era stabilmente e da tempo inserito e dai quali è stata ricavata la sua pericolosità e la conseguente inadeguatezza di misure cautelari diverse, con la conseguente inammissibilità anche di tale motivo di ricorso, che risulta generico e manifestamente infondato.
Il ricorso in esame deve, dunque, essere dichiarato inammissibile, a cagione della genericità e della manifesta infondatezza di entrambi i motivi ai quali è stato affidato.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento, nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si determina equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di euro 3.000,00.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1 ter disp. att. cod. proc. pen. Così deciso il 19/2/2025