Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 21980 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 21980 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 21/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME, nato a San Pietro Vernotico il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 28/11/2023 del Tribunale di Lecce visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME, il quale ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile;
udito l’AVV_NOTAIO COGNOME, i difesa di NOME NOME, il quale ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 28/11/2023, il Tribunale di Lecce rigettava la richiesta di riesame che era stata proposta da NOME COGNOME contro l’ordinanza del 16/10/2023 del G.i.p. del Tribunale di Lecce che aveva disposto, nei confronti dello stesso COGNOME, la misura della custodia cautelare in carcere in quanto gravemente indiziato dei reati di: a) partecipazione a un’associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti (capo 1 dell’imputazione provvisoria; art. 74, commi 2, 3, 4 e 5 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, in relazione all’art. 80, comma 2, dello stesso decreto); b) traffico illecito di sostanze stupefacenti
(capo 61 dell’imputazione provvisoria; art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990); c) partecipazione a un’associazione di tipo mafioso, promanazione della storica associazione di tipo mafioso denominata RAGIONE_SOCIALE e facente capo a NOME COGNOME (capo 62 dell’imputazione provvisoria; art. 416-bis, primo, secondo, terzo, quarto e quinto comma, cod. pen.).
Avverso tale ordinanza del 28/11/2023 del Tribunale di Lecce, ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite del proprio difensore, NOME COGNOME, affidato a quattro motivi.
4.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l’erronea applicazione degli artt. 291, comma 1, 292, comma 2-ter, e 309, commi 5 e 10, dello stesso codice, nonché l’illogicità della motivazione.
Il ricorrente contesta la motivazione con la quale il Tribunale di Lecce ha rigettato la sua eccezione di nullità della disposta misura cautelare e di perdita di efficacia della stessa misura per non avere il pubblico ministero presso il Tribunale di Lecce trasmesso al G.i.p. dello stesso Tribunale le proprie richieste di autorizzazione a disporre le intercettazioni di conversazioni e i relativi decreti d autorizzazione, nonché i verbali delle conseguenti operazioni eseguite, così non consentendo allo stesso G.i.p. e, poi, al Tribunale di Lecce, di compiere la necessaria verifica di legittimità delle medesime operazioni.
4.2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l’erronea applicazione degli artt. 268, comma 1, e 271 dello stesso codice, nonché l’illogicità della motivazione.
Il ricorrente premette in punto di diritto che: a) il contenuto del verbale delle operazioni di intercettazione di conversazioni, di cui all’art. 268, comma 1, cod. proc. pen., è definito sia dall’art. 89 disp. att. cod. proc. pen. sia dCOGNOME artt. 13 136 cod. proc. pen., norme le quali «si integrano vicendevolmente»; b) ai sensi dell’art. 373, comma 4, cod. proc. pen., «la stesura del verbale deve essere altresì anzitutto contemporanea all’ascolto delle relative conversazioni»; c) l’omissione delle indicazioni richieste dall’art. 136 cod. proc. pen. comporta, a norma dell’art. 142 dello stesso codice, la nullità del verbale.
Ciò premesso in punto di diritto, il ricorrente deduce l’inutilizzabilità, sul base del combinato disposto degli artt. 268, comma 1, e 271 cod. proc. pen., delle intercettazioni (tra presenti) riferibili al NUMERO_DOCUMENTO, le quali costituirebbero principale elemento posto a fondamento delle accuse a lui contestate.
Il COGNOME denuncia, in particolare, che dai verbali di inizio e fine delle intercettazioni e dai verbali di trascrizione delle conversazioni intercettate risulterebbe «che i dialoghi de quibus siano stati ascoltati e trascritti da uff. di pg. di cui non è traccia alcuna nei verbali di inizio e fine delle intercettazioni», sicch
«non è dato conoscere con la necessaria certezza chi le abbia ascoltate, trascritte e quando», con la conseguenza che, poiché «difettano totalmente i cc.dd. “verbali delle operazioni compiute”», i risultati delle intercettazioni sarebbero inutilizzabi per violazione dell’art. 268, comma 1, cod. proc. pen. Né, nei verbali di inizio e fine delle operazioni di intercettazione, sarebbero evidenziate le ragioni per le quali i soggetti che sottoscrissero il verbale di trascrizione integrale delle conversazioni non fossero indicati nei medesimi verbali di inizio e fine delle operazioni di intercettazione, nonostante l’art. 373, comma 4, cod. proc. pen., richieda che «la stesura del verbale debba essere innanzitutto contemporanea all’ascolto delle relative conversazioni». Tale «discrasia» concorrerebbe a creare quella situazione di «incertezza assoluta sulle persone intervenute» che l’art. 142 cod. proc. pen sanziona con la nullità relativa.
4.3. Con il terzo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l’erronea applicazione dell’art. 273 dello stesso codice, dell’art. 416-bis cod. pen. e dell’art. 74 del d.P.R. n. 309 del 1990, nonché la mancanza della motivazione «rispetto a specifiche censure difensive» e la contraddittorietà della stessa motivazione «rispetto a specifici atti del processo».
Il ricorrente lamenta che, in punto di gravità indiziaria dei due delitt associativi di cui ai capi 1) e 62) dell’imputazione provvisoria, il Tribunale di Lecce avrebbe omesso di confrontarsi con le tutt’altro che generiche, come invece ritenuto dai giudici leccesi, osservazioni che la propria difesa aveva formulato nei motivi nuovi.
Dopo avere evidenziato i connotati che caratterizzerebbero il sodalizio di tipo mafioso di cui al capo 62) dell’imputazione provvisoria e la propria partecipazione allo stesso sodalizio e dopo avere richiamato la definizione di partecipe a un’associazione di tipo mafioso e gli elementi indiziari di tale partecipazione come delineati dalla sentenza Mannino delle Sezioni unite della Corte di cassazione (Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, Mannino), il ricorrente lamenta che il Tribunale di Lecce, erroneamente, avrebbe considerato irrilevante il dato dell’assenza di reatifine e non si sarebbe soffermato «sulla durata e sulla stabilità dei contributi oggetto di contestazione».
Con specifico riguardo alla contestazione di cui al menzionato capo 62) dell’imputazione provvisoria, il ricorrente deduce che la propria condotta sarebbe «del tutto priva dei necessari connotati di mafiosità, avendo obiettivamente invece dei “punti di contatto”, sebbene inidonei sul piano della stabilità e permanenza del contributo, con il contesto associativo finalizzato al traffico di stupefacenti», non potendo «delinearsi un suo qualsivoglia contributo funzionale, organico e stabile al contesto associativo mafioso oggetto di contestazione».
Il COGNOME deduce che la tesi sostenuta dal G.i.p. del Tribunale di Lecce nell’ordinanza genetica secondo cui vi sarebbe una sostanziale sovrapposizione tra le due associazioni in contestazione sarebbe smentita dalle stesse imputazioni provvisorie, dalle quali risultano 14 sodali dell’associazione di tipo mafioso e 28 sodali dell’associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti.
Il ricorrente rappresenta che il compendio indiziario a lui riferibile – ricavabil esclusivamente dal contenuto di alcune conversazioni intercettate nell’abitazione di NOME COGNOME a partire dal 16/09/2021 – consentirebbe di fare emergere che: a) egli, da incensurato, si avvicinò al contesto riferibile al COGNOME solo da 16/09/2021 e, in un momento in cui vi era stato l’arresto di alcuni sodali, svolse degli specifici compiti che gli erano stati affidati dal COGNOME sempre relativi vicende concernenti gli stupefacenti, nonché, «a titolo personale», il tentativo di acquisto di 100 grammi di hashish di cui al capo 61) dell’imputazione provvisoria; b) lo svolgimento di tali incombenze veniva ricompensato dal COGNOME con regalie di C 50,00 o C 100,00, le quali costituirebbero «chiari “indici” di un rapporto a due, al limite con una semplice, disorganica e temporanea partecipazione al solo contesto associativo finalizzato al traffico di stupefacenti». Il COGNOME lamenta quindi che il Tribunale di Lecce avrebbe erroneamente ritenuto tali obiettive circostanze come generiche e irrilevanti.
Sempre con riguardo al proprio presunto contributo alle due fattispecie associative in contestazione, il COGNOME rappresenta ancora che: a) lo stesso contributo sarebbe circoscritto a un periodo temporale dal 16/09/2021 al maggio del 2022, ciò che, «se certamente può dirsi, sul piano indiziario, sufficiente a innestarsi in un perimetro ex art. 74 dpr 309/90, del tutto inidoneo appare in funzione di una condotta di partecipazione a sodalizio di stampo mafioso»; b) a fronte di 60 reati-fine contestati in materia di stupefacenti, egli era stato chiamato a rispondere solo di uno, «neanche andato a buon fine»; c) egli non era indagato per alcun reato-fine dell’associazione di tipo mafioso.
4.4. Con il quarto motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e), cod. proc. pen., l’inosservanza dell’art. 292, comma 2, lett. c) e c-bis), cod. proc. pen., e l’erronea applicazione degli artt. 274, comma 1, lett. c), e 275 dello stesso codice.
Il ricorrente lamenta che il Tribunale di Lecce abbia rigettato il proprio motivo nuovo con il quale aveva dedotto come il G.i.p. del Tribunale di Lecce, nell’ordinanza genetica, avesse omesso di compiere «qualsivoglia valutazione personalizzata inerente la persona del ricorrente».
Il ricorrente rappresenta che, con riguardo alla propria posizione, avrebbe dovute essere oggetto di considerazione il proprio «positivo profilo soggettivo», in quanto soggetto incensurato, che aveva svolto attività lavorativa prima e dopo i
fatti contestatigli e che era coniugato e padre di due figli, con la conseguenza che, nel caso di parziale annullamento dell’ordinanza impugnata con riguardo alla contestazione di partecipazione a un’associazione di tipo mafioso, sarebbe risultata adeguata la misura degli arresti domiciliari, eventualmente con le modalità di controllo di cui all’art. 275-bis cod. proc. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo è manifestamente infondato.
1.1. Quanto al primo profilo di doglianza, con il quale il ricorrente lamenta la mancata allegazione, da parte del pubblico ministero, a corredo della richiesta di applicazione della misura cautelare, delle proprie richieste di autorizzazione a disporre le intercettazioni di conversazioni e dei relativi decreti di autorizzazion del G.i.p., e la successiva mancata trasmissione di tali atti al Tribunale del riesame, si deve osservare che – come è stato correttamente affermato dal Tribunale di Lecce -, secondo il costante orientamento della Corte di cassazione, tale mancata trasmissione al Tribunale del riesame, a seguito dell’impugnazione del provvedimento che ha disposto la misura coercitiva, dei menzionati decreti autorizzativi non determina né l’inutilizzabilità né la nullità assoluta e insanabil delle intercettazioni, e neppure l’inefficacia della misura. Tuttavia, la difes dell’indagato può presentare una specifica e tempestiva richiesta di acquisizione, così da permettere un efficace controllo di legittimità, la quale obbliga il Tribunale ad acquisire d’ufficio i decreti di autorizzazione (Sez. 1, n. 823 del 11/10/2016, dep. 2017, NOME, Rv. 269291-01; Sez. 6, n. 7521 del 24/01/2013, Cerbasio, Rv. 254586-01; Sez. 3, n. 42371 del 12/10/2007, Gulisano, Rv. 238059-01).
Nel caso in esame, dalla lettura dell’ordinanza impugnata, emerge che la difesa del ricorrente si era limitata a eccepire la mancata trasmissione, prima al G.i.p. e poi al Tribunale del riesame, delle richieste di autorizzazione a disporre le intercettazioni e dei relativi decreti di autorizzazione, ma non che la stessa difesa avesse chiesti l’acquisizione di tali atti.
Il Tribunale di Lecce ha altresì rilevato come la difesa del COGNOME avesse chiesto, il 23/11/2023, il rilascio di copia dei decreti autorizzativi, il quale era st autorizzato dal pubblico ministero in pari data, senza che, però, la stessa difesa avesse ritenuto di esibire gli stessi decreti.
Pertanto, in assenza di una specifica e tempestiva richiesta di acquisizione, del tutto correttamente il Tribunale di Lecce nulla ha disposto al riguardo.
1.2. Quanto al secondo profilo di doglianza, con il quale il ricorrente lamenta la mancata allegazione, in sede di richiesta della misura coercitiva, dei verbali delle eseguite operazioni di intercettazione, si deve osservare che, secondo il costante orientamento della Corte di cassazione, tale mancata allegazione dei suddetti
verbali, così come della trascrizione del contenuto dei colloqui, non determina l’inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni, la quale è prevista esclusivam nel caso di captazioni eseguite fuori dei casi consentiti o in violazione delle disposizioni che sono tassativamente previste dalla legge (Sez. 6, n. 34394 del 13/07/2022, COGNOME, Rv. 283729-01; Sez. 5, n. 36439 del 21/05/2004, COGNOME, Rv. 230074-01; Sez. 1, n. 6496 del 17/12/1998, dep. 1999, COGNOME, Rv. 212812-01).
Inoltre, dal testo dell’ordinanza impugnata, emerge che la difesa del ricorrente ha avuto accesso alle registrazioni delle conversazioni intercettate, sicché nessun pregiudizio al diritto di difesa può essere ravvisato nel caso in esame.
Il secondo motivo, con il quale il ricorrente contesta le modalità di formazione del verbale delle operazioni di intercettazione, è manifestamente infondato.
La Corte di cassazione ha affermato che, diversamente da quanto mostra di ritenere il COGNOME, in materia di intercettazioni, il verbale delle operazioni, nel parte in cui riassume i contenuti delle captazioni, può essere composto, o integrato, anziché in un unico contesto temporale, in momenti diversi e successivi ai singoli ascolti (Sez. 1, n. 39769 del 16/05/2018, COGNOME, Rv. 273849-01, che, in applicazione di tale principio, ha ritenuto infondato il motivo di ricorso con cu l’imputato aveva dedotto l’inutilizzabilità degli esiti delle intercettazioni telefonic sulla base della redazione, in tempi diversi, del verbale di cui all’art. 268, comma 1, cod. proc. pen.).
Si è infatti chiarito che la legge processuale penale non richiede che il verbale, nella parte in cui trascrive, anche sommariamente, il contenuto delle comunicazioni intercettate, «sia composto in un unico contesto temporale» (Sez. 1, n. 39769 del 16/05/2018, COGNOME, cit.).
E ciò anche a prescindere dal rilievo, che sarebbe comunque dirimente, che la sanzione d’inutilizzabilità degli esiti di intercettazioni telefoniche, stant principio di tassatività, non può essere dilatata sino a comprendervi l’inosservanza delle disposizioni di cui all’art. 89 disp. att. cod. proc. pen., in quanto n espressamente richiamato dall’art. 271 cod. proc. pen. (Sez. 4, n. 49306 del 17/09/2004, Cao, Rv. 229922-01. Successivamente, in senso conforme: Sez. 1, n. 8836 del 02/12/2009, dep. 2010, COGNOME, Rv. 246377-01).
La stessa Corte di cassazione ha altresì precisato che, considerato che unico è il verbale previsto dall’art. 268, comma 1, cod. proc. pen., e che esso, quale documento attestante il complesso delle operazioni effettuate, deve necessariamente essere predisposto al termine del periodo complessivamente autorizzato, incluse le eventuali proroghe, è logico e coerente ricavare che alla
redazione del verbale medesimo non debbono partecipare, quali sottoscrittori, anche tutti gli altri operatori alle fasi attuative, perché ciò la legge non solo n richiede a pena di nullità, ma addirittura implicitamente esclude (art. 89, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.), quando prescrive la semplice indicazione nel verbale dei nominativi «delle persone che hanno preso parte alle operazioni», con chiaro riferimento a tutti i soggetti, diversi dal Pubblico Ministero ovvero dall’ufficiale polizia espressamente delegato alla titolarità della relativa indagine, cui è stato possibile affidare il compimento delle distinte operazioni parziali svolte (Sez. 6, n. 3784 del 05/10/1994, dep. 1995, Celone, Rv. 201850-01).
Il terzo motivo, con il quale il ricorrente deduce la violazione di legge e i vizio della motivazione con riguardo alla ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza della propria partecipazione ai due sodalizi criminosi di cui ai capi 1) e 62) dell’imputazione provvisoria, non è consentito.
In punto di diritto, è sufficiente premettere che: a) la partecipazione ad associazione finalizzata al traffico illecito di stupefacenti è un reato a forma libera la cui condotta costitutiva si può realizzare in forme diverse, purché si traduca in un apprezzabile contributo alla realizzazione degli scopi dell’organismo, atteso che in tale modo si verifica la lesione degli interessi salvaguardati dalla norma incriminatrice (Sez. 3 n. 35975 del 26/05/2021, Caterino, Rv. 282139-01); b) la condotta di partecipazione ad associazione di tipo mafioso si caratterizza per lo stabile inserimento dell’agente nella struttura organizzativa dell’associazione, idoneo, per le specifiche caratteristiche del caso concreto, ad attestare la sua “messa a disposizione” in favore del sodalizio per il perseguimento dei comuni fini criminosi (Sez. U, n. 36958 del 27/05/2021, Modaffari, Rv. 281889-01).
Nel caso in esame, quanto alla partecipazione all’associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti di cui al capo 1) dell’imputazion provvisoria, il Tribunale di Lecce ha compiutamente indicato le forme del contributo che era stato dato dal COGNOME COGNOME scopi della stessa associazione, evidenziando come, dal contenuto delle effettuate intercettazioni di conversazioni, fosse emerso che: a) l’indagato faceva da tramite tra NOME COGNOMECOGNOME capo dell’associazione, e i COGNOMECOGNOME COGNOME COGNOME occupavano della coltivazione di marijuana per conto del sodalizio, e gli altri associati, dei quali veicolava le richieste al Nocer b) gli stessi COGNOME erano convocati dal AVV_NOTAIO, allo scopo di avere informazioni sul sequestro dello stupefacente e sull’arresto di NOME COGNOME, tramite il COGNOME;
c) il COGNOME si serviva del COGNOME per sollecitare i pagamenti dai suoi associati; d) il COGNOME convocava NOME COGNOME per avere aggiornamenti sull’attività di spaccio sempre tramite il COGNOME; e) questi si occupava anche del recupero dei crediti per conto del sodalizio; f) l’indagato portava gli ordini del COGNOME all’esterno
Anche quanto alla partecipazione all’associazione di tipo mafioso di cui al capo 62) dell’imputazione provvisoria, il Tribunale di Lecce ha compiutamente indicato gli elementi che attestavano la “messa a disposizione” del COGNOME in favore del sodalizio per il perseguimento dei comuni fini criminosi, evidenziando come, dal contenuto delle effettuate intercettazioni di conversazioni, fosse emerso che: a) l’indagato veicolava le informazioni del COGNOME, anche tramite “pizzini”, alla rete dei sodali; b) il 10/12/2021, il COGNOME aveva convocato il COGNOME tramite i COGNOME, nella prospettiva di un’azione intimidatoria ai danni di NOME COGNOME; c) lo stesso COGNOME chiedeva al COGNOME di contattare il COGNOME, il quale, per i suo accento brindisino, poteva veicolare la richiesta estorsiva ai COGNOME per telefono da una cabina pubblica ubicata in Brindisi; d) il COGNOME e il COGNOME cambiavano poi strategia optando per fare recapitare, presso il cantiere dei COGNOME, possibilmente posizionandola sul parabrezza di un escavatore, una missiva contenente la richiesta di denaro pretesa; e) il COGNOME aveva coinvolto il COGNOME anche nella richiesta estorsiva ai danni di NOME COGNOME; f) il COGNOME si era messo a disposizione per compiere eventuali azioni intimidatorie per conto del sodalizio; g) il COGNOME aveva ipotizzato di coinvolgere lo stesso COGNOME per appiccare il fuoco all’esercizio commerciale dei RAGIONE_SOCIALE COGNOMERAGIONE_SOCIALE a Copertino; h) il COGNOME, dopo avere dato incarico al COGNOME di recarsi dal COGNOME, gli comunicava gli obiettivi da colpire a fini intimidatori ed estorsivi, in particolare, ai danni del lido “Ba Beach” di Porto Cesareo e di NOME COGNOME; i) il COGNOME si era fatto portavoce, presso il COGNOME, di azioni intimidatorie che erano state commissionate da terze persone, esterne al sodalizio.
Tale motivazione della riprova della partecipazione del COGNOME ai due sodalizi, in termini di contributo dato dall’indagato COGNOME scopi dell’associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti e di “messa a disposizione” i favore dell’associazione di tipo mafioso, appare del tutto conforme ai principi affermati dalla Corte di cassazione in tema di partecipazione ai due reati associativi in considerazione e del tutto priva di contraddizioni e illogicità, tanto meno manifeste, sicché si sottrae a censure in questa sede di legittimità, mentre il ricorrente ha in realtà omesso di confrontarsi compiutamente con essa, con la conseguenza che il motivo si appalesa anche come generico e, perciò, anche per tale ragione, non consentito.
Il quarto motivo, relativo alle esigenze cautelari, è manifestamente infondato.
Il Tribunale di Lecce ha esattamente motivato come, nel caso di gravi indizi di colpevolezza del reato di cui all’art. 416-bis cod. pen., operi, per il disposto cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., una doppia presunzione, di natura relativa, per ciò che concerne la sussistenza delle esigenze cautelari, e di natura
assoluta con riguardo all’adeguatezza al loro contenimento della sola misura carceraria, con la conseguenza che, posto che, dCOGNOME elementi a disposizione, non emergeva che il COGNOME avesse rescisso i suoi legami con l’organizzazione criminosa, non era necessario argomentare in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari e doveva essere obbligatoriamente applicata la misura della custodia cautelare in carcere (tra le tantissime: Sez. 2, n. 25515 del 19/01/2023, Simeoli, Rv. 284857-01).
Pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento, nonché, essendo ravvisabili profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma Iter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 21/03/2024.