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Custodia cautelare: annullata per motivazione carente

La Corte di Cassazione ha annullato un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per un individuo accusato di partecipazione a un’associazione di tipo camorristico. La decisione si fonda sulla carente motivazione del Tribunale del riesame riguardo alle concrete ed attuali esigenze cautelari, non potendo la gravità del reato da sola giustificare la misura detentiva, specialmente a fronte di un ruolo marginale dell’indagato e del notevole tempo trascorso dai fatti.

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Pubblicato il 28 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Custodia Cautelare: la Cassazione annulla per difetto di motivazione

La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, ha riaffermato un principio fondamentale del nostro ordinamento giuridico: la custodia cautelare in carcere, la più afflittiva delle misure, non può essere una conseguenza automatica della gravità del reato contestato. È sempre necessaria una valutazione concreta, attuale e individualizzata delle esigenze che la giustificano. Il caso in esame riguarda un individuo accusato di partecipazione a un’associazione di stampo camorristico, la cui detenzione è stata annullata per una motivazione ritenuta insufficiente.

I Fatti del Caso

Un uomo veniva sottoposto a custodia cautelare in carcere con l’accusa di far parte di una nota associazione criminale, con il ruolo di autista e factotum del reggente del clan. Il Tribunale del riesame di Napoli confermava il provvedimento del primo giudice.

La difesa presentava ricorso in Cassazione, lamentando diversi vizi. In primo luogo, denunciava una presunta assenza di autonoma valutazione da parte del Tribunale, che si sarebbe limitato a replicare le argomentazioni del primo giudice. Inoltre, contestava l’interpretazione degli elementi indiziari (come conversazioni telefoniche e il significato del termine ‘mesata’, inteso come semplice stipendio) e, soprattutto, criticava la genericità della motivazione sulle esigenze cautelari e sulla scelta della misura carceraria come unica opzione adeguata. Infine, evidenziava una disparità di trattamento rispetto a un coindagato, che lo aveva sostituito nel medesimo ruolo ma era stato scarcerato.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto parzialmente il ricorso, annullando l’ordinanza impugnata e rinviando il caso al Tribunale del riesame per un nuovo giudizio. La Corte ha chiarito che il requisito della ‘valutazione autonoma’, previsto dall’art. 292 c.p.p., riguarda specificamente il giudice che emette per primo la misura, non il Tribunale del riesame. Tuttavia, ha riscontrato un vizio decisivo nella motivazione relativa alle esigenze cautelari.

Le Motivazioni: la necessità di una valutazione concreta sulla custodia cautelare

Il cuore della decisione risiede nella censura mossa alla motivazione del Tribunale. Secondo la Cassazione, i giudici del riesame si sono limitati a un generico riferimento al ‘negativo giudizio sulla personalità’ dell’indagato e alla presunzione di adeguatezza del carcere prevista dall’art. 275, comma 3, c.p.p., senza però esplicitare gli elementi concreti che giustificavano tale valutazione.

La Suprema Corte ha sottolineato come il Tribunale non abbia adeguatamente considerato due elementi fattuali di segno opposto, emersi dalla stessa ricostruzione accusatoria:

1. Il ruolo dell’indagato: Sebbene fiduciario, il suo ruolo era ‘di mero ordine’, senza un’implicazione diretta nei ‘reati-scopo’ dell’associazione. Questo aspetto avrebbe dovuto essere ponderato nella valutazione della sua pericolosità sociale.
2. Il tempo trascorso: La condotta contestata era cessata da oltre quattro anni prima dell’applicazione della misura. Un lasso di tempo così significativo impone una motivazione rafforzata sull’attualità del pericolo di reiterazione del reato.

In sostanza, il Tribunale ha omesso di spiegare perché, nonostante questi due elementi, la custodia cautelare in carcere fosse l’unica misura idonea a salvaguardare le esigenze di sicurezza, trascurando di valutare alternative meno afflittive.

Le Conclusioni

Questa sentenza ribadisce che la libertà personale è un bene primario tutelato dalla Costituzione e può essere limitato solo in presenza di presupposti rigorosi e ben motivati. La gravità del titolo di reato, pur rilevante, non può condurre a un automatismo applicativo della custodia cautelare in carcere. Il giudice ha sempre l’obbligo di fornire una motivazione puntuale, individualizzata e attuale, che dia conto della specifica pericolosità del soggetto e spieghi perché nessuna misura meno grave sia sufficiente. La decisione della Cassazione impone quindi un ritorno al Tribunale del riesame, che dovrà riconsiderare il caso fornendo quella motivazione supplementare e concreta che era mancata nel primo provvedimento.

Perché la Corte di Cassazione ha annullato l’ordinanza di custodia cautelare?
La Corte ha annullato l’ordinanza perché ha ritenuto la motivazione del Tribunale del riesame insufficiente e generica riguardo alle concrete ed attuali esigenze cautelari. Non sono stati adeguatamente considerati elementi importanti come il ruolo non apicale dell’indagato e il notevole tempo trascorso (oltre quattro anni) dalla cessazione della condotta contestata.

Il Tribunale del riesame è sempre obbligato a fornire una ‘valutazione autonoma’ rispetto a quella del primo giudice?
No. Secondo la sentenza, il requisito della ‘valutazione autonoma’, previsto dall’art. 292 del codice di procedura penale, si applica specificamente al giudice che emette per primo la misura cautelare (inaudita altera parte), ma non è richiesto con la stessa rigidità al Tribunale del riesame, che comunque deve fornire una motivazione logica e completa.

Quali fattori specifici il Tribunale avrebbe dovuto considerare meglio?
Il Tribunale avrebbe dovuto analizzare più approfonditamente due dati di fatto specifici: primo, il ruolo dell’indagato, descritto come esecutivo e non direttamente implicato nei reati-scopo dell’associazione; secondo, la cessazione di tale ruolo da oltre quattro anni, un fattore che incide sulla valutazione dell’attualità della pericolosità sociale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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