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Custodia cautelare aggravata: quando è inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un indagato contro un’ordinanza di custodia cautelare aggravata per associazione finalizzata al traffico di stupefacenti con l’aggravante mafiosa. La Corte ha ritenuto i motivi del ricorso generici e privi di un confronto specifico con le motivazioni del Tribunale del riesame, confermando la sussistenza sia dei gravi indizi di colpevolezza sia delle esigenze cautelari che giustificano la detenzione in carcere.

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Pubblicato il 28 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Custodia Cautelare Aggravata: i limiti del ricorso secondo la Cassazione

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito i rigorosi criteri di ammissibilità per i ricorsi contro le misure cautelari personali, in particolare quando si tratta di custodia cautelare aggravata per reati di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti con l’aggravante mafiosa. La decisione offre importanti spunti sulla necessità di un confronto specifico e puntuale con le argomentazioni del giudice del riesame, pena l’inammissibilità del ricorso.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine da un’ordinanza del Tribunale del riesame che confermava la custodia cautelare in carcere per un individuo indagato per partecipazione a un’associazione dedita al narcotraffico, aggravata ai sensi dell’art. 416-bis.1 c.p. (agevolazione mafiosa). La difesa dell’indagato ha proposto ricorso per cassazione, basandolo su due motivi principali:

1. La violazione di legge e il vizio di motivazione riguardo al diniego di sostituire la detenzione in carcere con gli arresti domiciliari. Secondo la difesa, il Tribunale avrebbe sottovalutato l’assenza di precedenti penali dell’indagato e non avrebbe adeguatamente giustificato perché gli arresti domiciliari, anche con braccialetto elettronico, fossero una misura inadeguata.
2. La violazione di legge circa la sussistenza della circostanza aggravante mafiosa. La difesa sosteneva che il semplice acquisto di stupefacenti da soggetti legati a un clan non fosse sufficiente a dimostrare la consapevolezza e la volontà di agevolare la consorteria mafiosa.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso interamente inammissibile. I giudici hanno ritenuto che entrambi i motivi fossero formulati in modo generico e non si confrontassero adeguatamente con le solide argomentazioni contenute nell’ordinanza impugnata. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle Ammende.

Le Motivazioni: l’analisi della custodia cautelare aggravata

La sentenza si sofferma dettagliatamente sulle ragioni dell’inammissibilità, offrendo chiarimenti fondamentali sulla disciplina della custodia cautelare aggravata.

Inammissibilità per Genericità del Motivo sulla Misura Cautelare

Il primo motivo è stato giudicato inammissibile perché non affrontava il nucleo della motivazione del Tribunale del riesame. La Corte ha ricordato che per reati come l’associazione finalizzata al traffico di droga (art. 74 D.P.R. 309/90) opera una “doppia presunzione”: si presumono sia la sussistenza delle esigenze cautelari sia l’adeguatezza della custodia in carcere. Per superare tale presunzione, la difesa deve fornire elementi concreti che dimostrino la possibilità di soddisfare le esigenze cautelari con una misura meno afflittiva.

Nel caso specifico, l’indagato si era limitato a eccepire la propria incensuratezza. Il Tribunale, invece, aveva fondato la sua decisione su elementi solidi: le dichiarazioni di un collaboratore di giustizia che indicavano l’indagato come attivo nell’associazione fino a tempi recenti, la sua stabilità nel ruolo di acquirente e rivenditore e la sua contiguità ad ambienti mafiosi. Di fronte a una motivazione così strutturata, il ricorso è apparso privo di un confronto specifico e quindi inammissibile.

Inammissibilità del Motivo sull’Aggravante Mafiosa

Anche il secondo motivo è stato respinto. La Corte ha evidenziato come il Tribunale avesse ampiamente motivato la sussistenza dell’aggravante, desumendola da:
* Un consolidato rapporto d’affari con figure di spicco di un clan mafioso per l’acquisto di ingenti quantitativi di cocaina.
* Il fatto che l’associazione esercitasse un ferreo controllo sul territorio, anche con la violenza, non permettendo attività di spaccio non autorizzate.
* La consegna diretta del denaro ricavato dalla vendita al capo della consorteria mafiosa.

Ancor più importante, la Cassazione ha richiamato un principio giurisprudenziale cruciale: in sede di procedimento cautelare, la censura su un’aggravante è ammissibile solo se la sua esclusione avrebbe un impatto concreto sull’applicazione (“an”) o sul tipo (“quomodo”) della misura cautelare. Il ricorrente non aveva fornito alcun elemento per dimostrare tale incidenza, rendendo il motivo irrilevante in quella fase processuale.

Le Conclusioni

La sentenza riafferma la necessità di un’argomentazione rigorosa e specifica nei ricorsi contro le misure cautelari, specialmente in presenza di reati gravi assistiti da presunzioni legali. Non è sufficiente contestare genericamente la decisione del giudice, ma occorre demolire punto per punto il suo ragionamento con elementi concreti. Inoltre, la pronuncia chiarisce che la contestazione delle circostanze aggravanti in fase cautelare è circoscritta ai soli casi in cui esse abbiano un’influenza diretta sulla scelta o sull’applicazione della misura stessa, un onere probatorio che spetta interamente alla difesa.

Perché il ricorso contro la custodia cautelare in carcere è stato respinto?
Il ricorso è stato respinto perché considerato inammissibile. La difesa non ha fornito elementi concreti per superare la presunzione di adeguatezza del carcere prevista per reati di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti e non si è confrontata specificamente con le motivazioni del Tribunale, che aveva basato la sua decisione su prove come le dichiarazioni di un collaboratore di giustizia e la stabilità dei rapporti dell’indagato con il clan.

Quando è possibile contestare un’aggravante in fase di riesame cautelare?
Secondo la sentenza, in sede di procedimento cautelare, è possibile contestare un’aggravante solo se la sua eventuale esclusione incide direttamente sull’applicazione della misura (se debba essere applicata o meno) o sulla sua tipologia (ad esempio, carcere invece di arresti domiciliari). Il ricorrente deve dimostrare questa incidenza, altrimenti il motivo è inammissibile.

Cosa significa che un ricorso è ‘privo di confronto specifico’?
Significa che il ricorso si limita a riproporre le proprie tesi o a criticare genericamente la decisione impugnata, senza analizzare e confutare punto per punto le specifiche argomentazioni e le ragioni giuridiche su cui il giudice precedente ha basato la propria decisione. Un ricorso di questo tipo è considerato inammissibile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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