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Custodia cautelare 416 bis: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 10230/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato in custodia cautelare per associazione di tipo mafioso. La Corte ha ribadito che, in tema di custodia cautelare 416 bis, la semplice affermazione di dissociazione e il tempo trascorso non sono sufficienti per superare la presunzione di pericolosità, essendo necessarie prove concrete di un distacco definitivo dal clan.

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Pubblicato il 6 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Custodia Cautelare 416 bis: Dissociazione e Tempo Trascorso Non Bastano

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 10230 del 2024, offre un importante chiarimento sui presupposti per la revoca o sostituzione della custodia cautelare 416 bis, ovvero quella applicata per il reato di associazione di tipo mafioso. La Suprema Corte ha stabilito che la mera affermazione di dissociazione dal clan e il tempo trascorso dai fatti non sono sufficienti a vincere la presunzione di pericolosità sociale che la legge ricollega a questo grave delitto.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda un individuo sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere per reati di eccezionale gravità, tra cui associazione di tipo mafioso (art. 416 bis c.p.), traffico di stupefacenti e frode aggravata dal metodo mafioso. La difesa aveva presentato istanza di sostituzione della misura, sostenendo che l’indagato si fosse dissociato dal sodalizio criminale e che fosse trascorso un rilevante arco temporale dalla consumazione dei reati contestati. Sia la Corte di Appello che, successivamente, il Tribunale del Riesame avevano rigettato la richiesta. Contro quest’ultima decisione, la difesa ha proposto ricorso per Cassazione, lamentando una motivazione contraddittoria e illogica e la mancata valutazione degli elementi addotti.

La Decisione della Corte di Cassazione sulla Custodia Cautelare

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, definendo i motivi “manifestamente infondati e puramente reiterativi”. Gli Ermellini hanno confermato la linea dei giudici di merito, sottolineando come la presunzione di adeguatezza della custodia in carcere per i delitti di mafia sia particolarmente rafforzata nel nostro ordinamento.

Le Motivazioni della Sentenza

Il cuore della decisione risiede nell’interpretazione dell’articolo 275, comma 3, del codice di procedura penale. Questa norma stabilisce una presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari per reati di particolare allarme sociale, tra cui spicca l’associazione di tipo mafioso.

La Corte ha specificato che per superare tale presunzione non è sufficiente una generica e non provata affermazione di “dissociazione”. L’allontanamento dal sodalizio criminale deve essere dimostrato attraverso elementi concreti, oggettivi e specifici. La via maestra indicata è quella della collaborazione effettiva con l’autorità giudiziaria, che rappresenta una prova tangibile e concreta della rottura irreversibile con il passato criminale.

Inoltre, i giudici hanno affrontato il tema del cosiddetto “tempo silente”, ossia il lasso di tempo trascorso tra i fatti contestati e il momento della decisione. La sentenza chiarisce che il solo passare del tempo non può, di per sé, costituire prova dell’abbandono del clan. Può essere valutato solo in via residuale, come uno dei possibili elementi (insieme ad altri, come il trasferimento in un’altra zona territoriale) per dimostrare una situazione indicativa dell’assenza di esigenze cautelari. In assenza di altri riscontri oggettivi, il tempo non assume un rilievo decisivo.

Nel caso di specie, l’affermazione di dissociazione era rimasta un’allegazione di parte, priva di riscontri specifici nel procedimento. Di conseguenza, la Corte ha ritenuto che non vi fossero elementi idonei a superare la forte presunzione legale.

Le Conclusioni

La sentenza ribadisce un principio fondamentale in materia di custodia cautelare 416 bis: la lotta alla criminalità organizzata richiede un approccio rigoroso nella valutazione della pericolosità sociale degli affiliati. Per ottenere un’attenuazione della misura cautelare, non bastano le parole o il semplice scorrere del calendario. È indispensabile fornire alla magistratura prove concrete, oggettive e verificabili di un recesso definitivo ed irreversibile dall’associazione criminale. La collaborazione con la giustizia rimane lo strumento probatorio più efficace per dimostrare tale cambiamento. La decisione, pertanto, condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria, confermando la validità della misura detentiva.

Per un reato di associazione mafiosa, la sola dichiarazione di dissociazione è sufficiente a ottenere la revoca della custodia cautelare?
No, secondo la sentenza, una semplice affermazione di dissociazione non è sufficiente. Deve essere supportata da prove concrete e da un’effettiva collaborazione con l’autorità giudiziaria che dimostri un allontanamento irreversibile dal sodalizio criminale.

Il tempo trascorso dalla commissione dei fatti può da solo giustificare la sostituzione della misura cautelare in carcere?
No. La Corte ha chiarito che il cosiddetto “tempo silente” (il decorso di un apprezzabile lasso di tempo) non può, da solo, costituire prova dell’abbandono dell’associazione. Può essere valutato solo come elemento residuale insieme ad altre prove concrete, come la collaborazione con la giustizia.

Cosa prevede la legge per la custodia cautelare in caso di reati come l’associazione di tipo mafioso (art. 416 bis c.p.)?
L’articolo 275, comma 3, del codice di procedura penale stabilisce una presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari. Ciò significa che, in presenza di gravi indizi per tale reato, si presume la necessità della custodia in carcere, e questa presunzione può essere superata solo con la prova concreta del recesso dell’indagato dall’associazione o dell’esaurimento dell’attività associativa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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