Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 10469 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 10469 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 05/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a PALERMO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 24/04/2024 del TRIBUNALE di PALERMO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dr.ssa NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilita del ricorso.
uditi i Difensori:
è presente l’AVV_NOTAIO COGNOME, del Foro di PALERMO, in difesa della parte civile COGNOME, che deposita conclusioni scritte unitamente alla nota spese alle quali si riporta chiedendo la conferma della sentenza impugnata; è presente l’AVV_NOTAIO, del Foro di PALERMO, in difesa di
COGNOME NOME, che chiede l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.II Tribunale di Palermo il 24 aprile 2024, in riforma integrale della sentenza, appellata dalla parte civile NOME COGNOME, con cui il giudice di pace di Palermo il 5 maggio 2022 ha assolto NOME COGNOME dal reato di lesioni colpose, ha dichiarato la responsabilità dell’imputato agli effetti civili conseguenza lo ha condannato al risarcimento dei danni, definitivamente liquidati, oltre alla refusione delle spese sostenute dalla parte civile, anch’ess liquidate in sentenza.
2. I fatti, in estrema sintesi.
L’imputazione riguarda le lesioni ad un polso patite da NOME COGNOME il 18 agosto 2018 a seguito di caduta a terra mentre tentava di difendere il proprio cane, tenuto al guinzaglio dallo stesso su strada pubblica, dall’aggressione del cane dell’imputato, cane che era uscito dall’aree recintata ove sarebbe dovuto rimanere rinchiuso, essendo stato il relativo cancello lasciato incautamente aperto da NOME COGNOME.
2.1. Ebbene, il . giudice di pace ha mandato assolto l’imputato, con la formula “per non avere commesso il fatto”: ha – sì – ritenuto che la persona offesa abbia riportato lesioni per effetto della caduta a terra nel tentativo difendere il proprio animale dall’aggressione del cane fuoriuscito dal cancello del recinto dell’abitazione mentre un uomo stava accedendo a bordo dell’automobile, ma che non possa dirsi certa l’individuazione di colui che, per accedere a bordo dell’auto, ha aperto il cancello, se cioè NOME COGNOME ovvero NOME COGNOME, rispettivamente figlio e padre, che vivevano in quell’abitazione; e ha anche osservato che colei che è risultata essere la proprietaria del cane fuggito, la sig.ra NOME COGNOME, madre di NOME COGNOME, che a sua volta ivi abitava, avrebbe dovuto «adottare ogni cautela al fine di evitare, durante l’apertura del cancello della villa[,] per consentire la manovra di uscita/ingresso dei veicoli, la fuoriuscita del cane […] per scongiurare ogni possibile aggressione nei confronti dei passanti» (così alle pp. 4-5 della sentenza di primo grado).
2.2. Il Tribunale, adito dalla parte civile, rinnovata l’istruttoria median nuovo esame della persona offesa, ha ritenuto essere stato accertato che la persona che ha aperto il cancello senza adottare cautele idonee ad evitare la fuga del cane sia proprio l’odierno imputato, attesa la descrizione fisica e la giovane età (nato nel DATA_NASCITA), avendo l’unico testimone parlato di un soggetto «giovane, giovanissimo». E ha valutato che, pur essendo la proprietà dell’animale della mamma dell’imputato, tuttavia lo strettissimo grado di parentela tra i due e la situazione di coabitazione dimostrino la sicura
conoscenza da parte del ragazzo della presenza del cane libero all’interno della recinzione; con la precisazione che l’imputato, nel momento in cui ha aperto il cancello, da cui sarebbe potuto uscire l’animale, ha intrapreso una relazione di fatto di detenzione dello stesso, da cui è scaturita la posizione di garanzia del custode e l’obbligo di prevenire nocumenti ad altri da parte del cane, richiamando giurisprudenza di legittimità stimata pertinente cioè Sez. 4, n. 51448 del 17/10/2017, COGNOME, Rv. 271329, e Sez. 4, n. 1814 del 16/12/2011, dep. 2012, COGNOME e altri, Rv. 253594.
Quindi, come anticipato, ha dichiarato la responsabilità dell’imputato agli effetti civili e ha condannato l’imputato al risarcimento dei danni ed alla refusione delle spese sostenute della parte civile.
3.Ciò premesso, ricorre per la cassazione della sentenza l’imputato, tramite Difensore di fiducia, affidandosi a due motivi con i quali denunzia promiscuamente violazione di legge e difetto di motivazione.
3.1. Con il primo motivo lamenta violazione degli articoli 125, 192 e 603 cod. proc. pen. per inosservanza delle norme giuridiche in ordine alla valutazione della prova e inoltre nullità della sentenza per assenza della motivazione sia circa la necessità della rinnovazione istruttoria tramite nuovo esame della costituita parte civile sia circa la credibilità delle dichiarazioni rese dalla stessa.
Si osserva, infatti, che la persona offesa, NOME COGNOME, era già stata escussa in primo grado, ove era stata acquisita sia la querela presentata da NOME COGNOME che le sommarie informazioni rese nelle indagini, che la stessa ha partecipato a tutte le udienze celebratesi nell’ambito del procedimento, traendone un condizionamento nel senso della individuazione di colui che ha aperto il cancello, passando dal dubbio manifestato all’inizio ad una certezza, che inoltre ha impugnato la sentenza di primo grado e che il giudice di appello non ha spiegato né la necessità della nuova escussione, peraltro esclusa dal giudice di pace siccome ritenuta non decisiva, né la ritenuta credibilità del dichiarante, che il Tribunale affida ad un passaggio apodittico, leggendosi (alla p. 4) solo che della genuinità della dichiarazione della p.o. «non vi è alcun motivo di dubitare».
3.2. Con il secondo motivo censura violazione degli articoli 43 e 590 cod. pen. e 125 cod. proc. pen. per inosservanza ovvero erronea applicazione della legge penale in ordine alla responsabilità per colpa, nonché nullità della sentenza per mancanza di motivazione sul punto.
Sarebbe, ad avviso del ricorrente, fallace la «interpretazione dei coefficenti normativo-fattuali atti a configurare il requisito della negligenza ovvero imprudenza che si è reputato sorreggere il contegno pur censura bilmente attribuito all’imputato; inoltre la pronunzia sarebbe stata «resa in assenza di
costrutto argomentativo circa il configurarsi dei presupposti – posizione di garanzia in capo al COGNOME e violazione delle regole di condotta di riferimento della cosiddetta colpa» (così alla p. 4 del ricorso) individuata come sussistente.
In particolare, sarebbe erronea l’affermazione che l’imputato, benchè non proprietario del cane, ne condividesse la detenzione; non sarebbe stato accertato che l’imputato rivestisse una posizione di garanzia né che l’evento fosse prevedibile. Ciò in quanto: non è emerso che l’imputato sapesse che il cane fosse stato lasciato libero senza catena o si fosse liberato all’interno del cortile; e no è emerso come l’imputato avrebbe potuto prevedere che l’animale, vedendo il cancello aperto, sarebbe rapidamente uscito ed avrebbe aggredito un altro cane, in quanto nessuna indagine è stata svolta sulla percezione di un’altra persona e di un altro animale in quel luogo e in quel momento, rammentandosi che era l’alba. La imprevedibilità delle indicate circostanze (essere il cane libero all’interno dell’area ovvero essersi liberato da una catena; la presenza in quell’ora e in quel luogo di una persona e di un cane) interromperebbe il nesso causale e, dunque, non si comprenderebbe quali contromisure efficaci avrebbe dovuto adottare l’imputato.
Poiché – si rammenta – la RAGIONE_SOCIALE ha fissato il principio di diritto secondo cui la mera detenzione di un animale da parte di terzi non consente al proprietario di abdicare ai doveri connessi alla custodia e al buon governo dell’animale (Sez. 4, n. 21027 del 05/03/2024, COGNOME, non mass.), ne consegue che non sarebbe condivisibile l’assunto dei giudici di appello secondo cui anche il detentore riveste posizioni di garanzia nei confronti dei terzi lesi. Spetterebbe al proprietario fornire al custode temporaneo ogni tipo di informazione, preventiva e necessaria, idonea a evitare che il cane possa scappare di casa o recare pregiudizio a terzi e, in conseguenza, non viene meno il profilo di responsabilità del proprietario dell’animale per le condotte aggressive da questi tenute per il solo fatto che si è assenti al momento del verificarsi dell’evento. In conclusione, ad avviso del ricorrente, nella fattispecie in esame il soggetto tenuto ad adottare tutte le contromisure per evitare che il cane fuggisse durante l’apertura del cancello era unicamente il proprietario del cane.
Si chiede, dunque, l’annullamento della sentenza impugnata.
3.3. Il Difensore del ricorrente il 20 dicembre 2024 ha chiesto la trattazione in pubblica udienza.
Il P.G. della RAGIONE_SOCIALE nella requisitoria scritta del 10 gennaio 2025 ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Premesso che la prescrizione non rileva, essendo intervenuta condanna ai soli fini civili, il ricorso è manifestamente infondato.
Il Primo motivo (con cui si assume una mancanza di motivazione sia quanto alla necessità della rinnovazione istruttoria da parte della Corte di appello, essendo stata l’istruttoria adeguatamente svolta in primo grado, sia quanto ai criteri di valutazione della prova, che sarebbero stati violati, i riferimento alle dichiarazioni rese in appello dalla p.o., che ha assistito a tutt l’istruttoria, che ha impugnato l’assoluzione e che potrebbe avere “adeguato” le originarie dichiarazioni nella direzione che ha condotto ad identificare il ricorrente nella persona che ha aperto il cancello) è manifestamente infondato.
2.1. Innanzitutto, non è consentito far valere con il ricorso di legittimità la eventuale violazione dell’art. 192 cod. proc. pen.
Infatti, come già più volte condivisibilmente affermato, «Poiché la mancata osservanza di una norma processuale in tanto ha rilevanza in quanto sia stabilita a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza, come espressamente disposto dall’art. 606, comma 1, lett. c) cod. proc. pen., non è ammissibile il motivo di ricorso in cui si deduca la violazione dell’art. 192 cod. proc. pen., la cui inosservanza non è in tal modo sanzionata» (Sez. 4, n. n. 51525 del 04/10/2018, M, Rv. 274191-02) e «In tema di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 192, comma 3, cod. proc. pen., non può essere dedotta né quale violazione di legge ai sensi dell’art.606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., né ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. non essendo prevista a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza, pertanto può essere fatta valere soltanto nei limiti indicati dalla lett. e) de stessa norma, ossia come mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, quando il vizio risulti dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti specificamente indicati nei motivi di gravame» (Sez. 6, n. 4119 del 30/04/2019, dep. 2020, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 278196-02).
2.2. In secondo luogo, la rinnovazione istruttoria nel caso di specie mediante esame del teste / persona offesa era obbligatoria. Infatti:
«Il giudice di appello che riformi, ai soli fini civili, la sentenza assolutori primo grado sulla base di un diverso apprezzamento dell’attendibilità di una prova dichiarativa ritenuta decisiva, è obbligato a rinnovare l’istruzione dibattimentale, anche d’ufficio» (Sez. U, n. 27620 del 28/04/2016, Dasgupta, Rv. 267489);
e «Il giudice di appello che riformi, ai soli fini civili, la sentenza assolutoria primo grado sulla base di un diverso apprezzamento dell’attendibilità di una prova dichiarativa ritenuta decisiva, è tenuto, anche d’ufficio, a rinnovare l’istruzione dibattimentale anche sucessivamente all’introduzione del comma 3bis dell’art. 603 cod. proc. pen., ad opera dalla legge 23 giugno 2017, n. 103» (Sez. U, n. 22065 del 28/01/2021, Cremonini, Rv. 281228-02).
2.3. Infine, è principio consolidato quello secondo il quale «In tema di valutazione della prova testimoniale, l’attendibilità della persona offesa dal reato è questione di fatto, non censurabile in sede di legittimità, salvo che la motivazione della sentenza impugnata sia affetta da manifeste contraddizioni, o abbia fatto ricorso a mere congetture, consistenti in ipotesi non fondate sullo “id quod plerumque accidit”, ed insuscettibili di verifica empirica, od anche ad una pretesa regola generale che risulti priva di una pur minima plausibilità» (Sez. 4, n. 10153 del 11/02/2020, C, Rv. 278609; in precedenza v. già, tra le altre, Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, COGNOME e altro, Rv. 262575: «In tema di valutazione della prova testimoniale, l’attendibilità della persona offesa dal reato è una questione di fatto, che ha la sua chiave di lettura nell’insieme di una motivazione logica, che non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice sia incorso in manifeste contraddizioni»).
Ebbene, le lamentele nel presente ricorso in tema di credibilità del teste persona offesa si incentrano su aspetti di puro fatto.
Manifestamente infondato è anche il secondo motivo (con il quale si assume che non sarebbe stato provato che l’imputato condividesse la detenzione del cane con la proprietaria; che non sarebbe emersa la posizione di garanzia dell’imputato; che quanto accaduto non sarebbe stato prevedibile; che unico responsabile sarebbe il proprietario del cane).
3.1. In primo luogo, lo stesso ragionamento che il ricorrente svolge alla p. 6 dell’atto di impugnazione depone nel senso della concorrente responsabilità sia del proprietario sia del detentore momentaneo cioè l’imputato.
Inoltre, proprio la motivazione della sentenza della S.C. richiamata nel ricorso (Sez. 4, n. 21027 del 05/03/2024, COGNOME, non mass.), alla p. 3, sub n. 4.3. del “ritenuto in fatto e considerato in diritto”, alla luce dei gener principi in tema di concorso di cause (art. 41 cod. pen.) depone, semmai, per una corresponsabilità, insieme all’odierno imputato – detentore, della proprietaria dell’animale, pur in difetto di contestazione nei confronti di quest’ultima da parte del Pubblico Ministero.
3.2. E che NOME COGNOME fosse, nel concreto contesto dato, detentore, sia pure temporaneo, del cane e che, all’atto dell’aprire il cancello,
abbia assunto la posizione di garanzia è stato sufficientemente e non illogicamente spiegato dal giudice di merito con riferimento allo strettissimo grado di parentela con la proprietaria dell’animale (sua madre), con la quale il giovane coabitava: si tratta di circostanze da cui è stata, non irragionevolmente, ricavata la sicura conoscenza da parte di NOME COGNOME della presenza del cane nel cortile dell’abitazione e delle modalità di custodia dello stesso; mentre è meramente ipotetica l’affermazione difensiva alternativa secondo cui il cane, all’interno dell’area recintata, si sarebbe potuto liberare da una catena di cui non risulta nemmeno l’esistenza.
Essendo il ricorso inammissibile e non ravvisandosi ex art. 616 cod. proc. pen. assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Costituzionale, sentenza n. 186 del 7-13 giugno 2000), alla condanna al pagamento delle spese consegue anche quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, che si stima conforme a diritto ed equa, in dispositivo.
Consegue anche la refusione delle spese sostenute dalla costituita parte civile, nella misura del pari indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende nonché alla refusione delle spese sostenute dalla costituita parte civile COGNOME che liquida in complessivi euro tremila oltre accessori come per legge.
Così deciso il 05/02/2025.