Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 36743 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 36743 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 30/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a COSENZA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 15/06/2023 della CORTE ASSISE APPELLO di CATANZARO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOMECOGNOME lette/,sigLatite le conclusioni del PG
Il Procuratore generale, NOME COGNOME, chiede dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME ricorre avverso l’ordinanza del 15 giugno 2023 della Corte di assise di appello di Catanzaro che, quale giudice dell’esecuzione, ha rigettato la richiesta di riconoscimento di cumulo unitario delle pene, ai sensi degli artt. 73 e 80 cod. pen., con riferimento alle seguenti pene:
1) anni trenta di reclusione, di cui alla sentenza della Corte di assise di appello di Catanzaro del 22 settembre 2022, definitiva il 6 febbraio 2023, in ordine ai reati di omicidio aggravato e tentate lesioni personali, commessi il 28 luglio 2004;
anni sei, mesi sei di reclusione ed euro 1.800,00 di multa, di cui alla sentenza della Corte di appello di Bari dell’Il luglio 2006, definitiva il 21 giugn 2007, in ordine ai reati di detenzione e porto illegale di armi, detenzione di arma clandestina, detenzione abusiva di armi e ricettazione, commessi il 13 marzo 2005;
anni dieci di reclusione ed euro 2000,00 di multa, di cui alla sentenza della Corte di appello di Bari del 23 maggio 2008, definitiva il 19 febbraio 2009, in ordine ai reati di associazione per delinquere, rapina e ricettazione, commessi fino al 13 marzo 2005, il 10 novembre 2004, il 23 e il 25 gennaio 2005;
anni dodici e mesi quattro di reclusione, di cui alla sentenza della Corte di appello di Catanzaro del 22 novembre 2010, definitiva il 17 gennaio 2012, in ordine al reato di tentato omicidio, commesso il 24 giugno 2002;
anni sette e mesi nove di reclusione, di cui alla sentenza della Corte di assise di appello di Catanzaro del 14 ottobre 2015, definitiva 1’8 marzo 2017, in ordine al reato di associazione di tipo mafioso, commesso da dicembre 2002 fino al 29 luglio 2013.
Il giudice dell’esecuzione ha evidenziato che la richiesta di includere nel provvedimento di esecuzione di pene concorrenti del Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Catanzaro del 14 marzo 2023, avente a oggetto le pene sub 1, 2, 3 e 4, anche la pena sub 5, oggetto di differente provvedimento di cumulo, non poteva essere accolta, posto che il reato per il quale era stata irrogata tale ultima pena era stato commesso successivamente all’esecuzione delle altre pene.
Il ricorrente articola due motivi di ricorso.
2.1. Con il primo motivo, denuncia inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, con riferimento agli artt. 73 e 80 cod. pen., e vizio di motivazione
dell’ordinanza impugnata, perché il giudice dell’esecuzione avrebbe omesso di considerare che tutti i reati oggetto dell’istanza erano stati commessi prima del 2005 e in funzione del reato associativo sub 5.
Lo stesso giudice della cognizione, infatti, preso atto che COGNOME risultava essere detenuto ininterrottamente dal 2005 in regime speciale ex art. 41-bis legge 26 luglio 1975, n. 354, non aveva accertato nei suoi confronti alcuna condotta associativa attiva e successiva al 2005, anche considerando che la data di consumazione del reato, per come formalmente cristallizzata (dal 2002 a luglio 2013), doveva essere intesa come riferita al sodalizio globalmente considerato, ma non anche alla specifica posizione del detenuto, il quale aveva interrotto ogni possibile apporto causale alla data del suo arresto, avvenuto – appunto – nel 2005.
2.2. Con il secondo motivo, contesta il provvedimento impugnato, nella parte in cui il giudice dell’esecuzione non avrebbe provveduto in merito alla richiesta della difesa relativa alla mancata riduzione di pena ex art. 442, comma 2-bis, cod. proc. pen. in ordine al reato sub 1.
Tale norma, introdotta nell’ordinamento dall’art. 24, comma 1, lett. c), d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, prevede che, quando né l’imputato, né il suo difensore hanno proposto impugnazione contro la sentenza di condanna, la pena inflitta è ulteriormente ridotta di un sesto dal giudice dell’esecuzione e tale circostanza ha una natura sostanziale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
1.1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
In tema di esecuzione di pene concorrenti inflitte con condanne diverse nei confronti di un soggetto che abbia commesso nuovi reati durante l’espiazione di una pena o dopo la sua interruzione, è necessario procedere alla formazione di cumuli parziali, raggruppanti, da un lato, le pene relative ai reati commessi sino alla data di quello cui si riferisce la pena parzialmente espiata (con applicazione del criterio moderatore dell’art. 78 cod. pen. e detrazione dal risultato del presofferto) e, dall’altro, la pena residua e le pene inflitte per i reati commessi seguito, sino alla data della successiva detenzione, e, qualora una o più pene possano imputarsi a cumuli diversi in funzione dei criteri egualmente legittimi della data di commissione del reato o della data di inizio dell’esecuzione, occorre verificare le conseguenze derivanti in concreto dall’applicazione di ciascun criterio, dando preferenza alla soluzione meno gravosa per il condannato, in ossequio ad un principio di favore per il medesimo avente valenza generale nell’ambito penale (Sez. 1, n. 17503 del 13/02/2020, Fontana, Rv. 279182).
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Così facendo, infatti, è garantito il rispetto della ratio sottesa alla disposizione dell’art. 657, comma 4, cod. proc. pen. – che impone al pubblico ministero, all’atto di determinare la pena da eseguire, di computare soltanto la custodia cautelare subita e le pene espiate dopo la commissione del reato per il quale deve essere operata la determinazione della pena da eseguire – da ravvisarsi nell’esigenza di evitare che la pena computata preceda la commissione del reato, condizione che, è facile intuire, si tradurrebbe in un inammissibile incentivo a delinquere, potendo, in sostanza, l’agente contare, all’atto della determinazione criminosa, su una sorta di credito di pena.
Nel caso di specie, il ricorrente si limita a contestare genericamente quanto rilevato dal giudice dell’esecuzione, senza considerare che il reato associativo sub 5 era stato accertato, anche in capo a NOME, fino a 29 luglio 2013, periodo successivo all’espiazione del provvedimento di esecuzione di pene concorrenti relativo a tutte le ulteriori pene oggetto dell’istanza.
1.2. Il secondo motivo di ricorso è infondato.
Il Collegio ritiene utile ribadire il principio di diritto secondo il quale, in di giudizio abbreviato, il beneficio dell’ulteriore riduzione di pena di un sesto per mancata impugnazione della sentenza di condanna, di cui all’art. 442, comma 2bis, cod. proc. pen., trova applicazione, previa rinuncia all’appello, anche ai procedimenti penali pendenti in fase di impugnazione antecedentemente all’entrata in vigore del d.lgs. n. 150 del 2022, posto che la disposizione che lo prevede ha natura sostanziale, incidendo anche sul trattamento sanzionatorio, mercé la ridefinizione in melius della pena (Sez. 2, n. 4237 del 17/11/2023, dep. 2024, Pompeo, Rv. 285820).
Nel caso di specie, però, la novella legislativa è entrata in vigore successivamente alla lettura del dispositivo della sentenza di appello in data 22 settembre 2022, ancorché in un momento in cui la stessa non era irrevocabile.
La nuova normativa, pertanto, non è applicabile al caso di specie. In questo senso si espressa già la giurisprudenza di legittimità.
(Sez. 5, n. 21867 del 04/04/2024, Clementi, Rv. 286520 – 01).
In forza di quanto sopra, il ricorso deve essere rigettato. Ne consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 30/05/2024