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Cumulo pene: la Cassazione sui cumuli parziali

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 13325/2024, ha stabilito la legittimità della procedura di ricalcolo del cumulo pene attraverso ‘cumuli parziali’. Questo metodo si applica quando un condannato commette nuovi reati durante l’espiazione di una pena. La Corte ha chiarito che il provvedimento del Pubblico Ministero che unifica le pene ha natura amministrativa e può essere modificato, anche in senso peggiorativo per il reo, per adeguarsi a nuove condanne. L’obiettivo è evitare che i limiti massimi di pena favoriscano chi delinque nuovamente mentre è già in esecuzione pena.

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Pubblicato il 10 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Cumulo Pene: Legittimo il Ricalcolo Peggiorativo con Cumuli Parziali

La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 13325 del 2024, ha affrontato una questione cruciale in materia di esecuzione penale: la corretta modalità di calcolo del cumulo pene quando un condannato commette nuovi reati durante o dopo l’espiazione di una pena precedente. La Corte ha confermato la legittimità dell’operato del Pubblico Ministero che, attraverso la formazione di ‘cumuli parziali’, aveva ricalcolato la pena totale da scontare, posticipando la data di fine pena. Questa decisione ribadisce principi fondamentali sulla natura del provvedimento di cumulo e sulla necessità di un calcolo rigoroso che non premi la recidiva.

I Fatti del Caso

Il caso nasce dal ricorso di un condannato contro un’ordinanza del Tribunale di Gela. Inizialmente, il Pubblico Ministero aveva emesso un provvedimento di cumulo che fissava la data di fine pena al 2024. Successivamente, a seguito di un’ordinanza che riconosceva la continuazione tra alcuni dei reati, il Pubblico Ministero ha emesso un nuovo provvedimento.

Questo secondo calcolo, anziché applicare un unico cumulo materiale, ha suddiviso le pene in due ‘cumuli parziali’, distinguendo i reati commessi prima di un primo periodo di carcerazione da quelli commessi successivamente. Il risultato è stato uno spostamento in avanti della data di fine pena al 2026. Il condannato ha impugnato questa decisione, lamentando una modifica peggiorativa (in malam partem) illegittima e sostenendo che il Pubblico Ministero non potesse procedere autonomamente a un ricalcolo così sfavorevole.

La Questione del Cumulo Pene e la sua Natura

Il ricorrente sosteneva che il nuovo calcolo violasse il principio del ne bis in idem e che il Pubblico Ministero non avesse l’autorità per modificare un precedente cumulo in modo autonomo. La Cassazione, tuttavia, ha rigettato questa tesi, chiarendo un punto fondamentale: il provvedimento di cumulo pene emesso dal Pubblico Ministero ai sensi dell’art. 663 c.p.p. ha natura amministrativa, non giurisdizionale.

Questo significa che non diventa mai definitivo e può essere revocato o modificato in qualsiasi momento per tenere aggiornata la posizione esecutiva del condannato. Diventa intangibile solo se un giudice dell’esecuzione si è già pronunciato su di esso, confermandone la validità. Nel caso di specie, il precedente cumulo, più favorevole, non aveva mai ricevuto tale ‘crisma’ giurisdizionale e poteva, quindi, essere legittimamente rettificato.

Il Principio dei Cumuli Parziali

Il cuore della decisione risiede nella corretta applicazione del principio dei cumuli parziali. La Corte ha spiegato che, quando un soggetto commette un nuovo reato durante l’espiazione di una pena (o dopo una sua interruzione), non si può procedere a un cumulo unico di tutte le pene. Sarebbe un errore.

La procedura corretta impone di:
1. Primo Cumulo Parziale: Calcolare un primo cumulo per tutte le pene relative ai reati commessi prima dell’inizio del periodo di detenzione in corso. A questo risultato si applicano i criteri moderatori (come il limite massimo di 30 anni previsto dall’art. 78 c.p.) e si detrae il periodo di pena già scontato (presofferto).
2. Secondo Cumulo Parziale: Creare un secondo cumulo che include la pena residua del primo blocco e le nuove pene inflitte per i reati commessi successivamente.

Questo metodo, sebbene possa portare a un risultato più severo per il condannato, è l’unico che garantisce una corretta applicazione della legge, impedendo che chi delinque di nuovo possa beneficiare indebitamente dei meccanismi di contenimento della pena pensati per il concorso di reati originario.

Le Motivazioni della Corte

La Cassazione ha motivato il rigetto del ricorso sulla base di due cardini principali. In primo luogo, ha riaffermato la natura amministrativa e quindi modificabile del provvedimento di cumulo del Pubblico Ministero, in assenza di una precedente validazione da parte del giudice. Il nuovo calcolo non era dunque un atto illegittimo, ma una doverosa rettifica per conformare l’esecuzione penale alla situazione giuridica aggiornata del condannato.

In secondo luogo, la Corte ha validato pienamente il metodo dei cumuli parziali come l’unico corretto in caso di reati commessi in momenti diversi, separati da periodi di detenzione. Ordinare cronologicamente i reati e i periodi di carcerazione è essenziale per determinare correttamente la pena residua. La Corte ha inoltre sottolineato che il ricorso del condannato era generico, in quanto non aveva individuato errori specifici nella collocazione dei singoli reati all’interno dei due cumuli, limitandosi a contestare il metodo in sé e il risultato peggiorativo.

Le Conclusioni

La sentenza consolida un importante principio di diritto esecutivo: il calcolo della pena non è un’operazione statica, ma un processo dinamico che deve adattarsi alle vicende giudiziarie del condannato. La formazione di cumuli parziali è uno strumento tecnico indispensabile per gestire correttamente le situazioni di recidiva infra-esecutiva. Se da un lato può sembrare che ciò comporti una frustrazione per il condannato che vede allontanarsi la data del fine pena, dall’altro garantisce che la risposta sanzionatoria dello Stato sia sempre proporzionata e coerente con la cronologia dei fatti illeciti, senza creare ingiustificati vantaggi per chi viola nuovamente la legge penale mentre sta già scontando le conseguenze di reati precedenti.

Il Pubblico Ministero può modificare un calcolo del cumulo pene rendendolo più sfavorevole per il condannato?
Sì. Secondo la Corte, il provvedimento di cumulo pene emesso dal Pubblico Ministero ha natura amministrativa e non giurisdizionale. Pertanto, può essere modificato o revocato in qualsiasi momento per aggiornare la posizione del condannato, anche in senso peggiorativo, a meno che un giudice dell’esecuzione non si sia già pronunciato su di esso rendendolo definitivo.

Cosa sono i ‘cumuli parziali’ e perché si utilizzano?
I ‘cumuli parziali’ sono una tecnica di calcolo della pena utilizzata quando una persona commette un nuovo reato mentre sta già scontando una condanna o dopo la sua interruzione. Invece di sommare tutte le pene insieme, si creano blocchi separati: un primo cumulo per i reati commessi prima dell’inizio della detenzione e un secondo cumulo che include la pena residua del primo e la pena per il nuovo reato. Questo metodo evita che i limiti massimi di pena vengano applicati in modo improprio a favore di chi delinque nuovamente.

Perché il ricorso del condannato è stato respinto?
Il ricorso è stato respinto perché la Corte ha ritenuto corretto sia il metodo dei cumuli parziali adottato dal Pubblico Ministero, sia la possibilità di modificare un precedente provvedimento di cumulo non ancora validato da un giudice. Inoltre, il ricorso è stato giudicato generico, poiché non ha contestato errori specifici nel collocamento delle singole pene all’interno dei cumuli, ma si è limitato a criticare l’esito finale più sfavorevole.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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