Cumulo Materiale: La Cassazione Stabilisce l’Ordine di Calcolo della Pena in Esecuzione
L’applicazione delle pene, specialmente quando si sommano più condanne, è un terreno complesso governato da regole precise. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su un aspetto cruciale: l’ordine di applicazione delle riduzioni di pena e del limite massimo previsto dal cumulo materiale in fase esecutiva. Questa decisione ribadisce la differenza fondamentale tra il momento del processo (fase di cognizione) e quello successivo alla condanna definitiva (fase di esecuzione), ancorando la procedura al principio di intangibilità del giudicato.
I Fatti del Caso
Il caso nasce dal ricorso di un condannato che, in fase di esecuzione, aveva ottenuto il riconoscimento del vincolo della continuazione tra più reati, precedentemente giudicati con rito abbreviato. A seguito di questa unificazione, si poneva il problema di come ricalcolare la pena complessiva. Il ricorrente lamentava che il giudice dell’esecuzione non avesse applicato correttamente il criterio moderatore dell’art. 78 del codice penale, che fissa un tetto massimo alla pena detentiva derivante dal cumulo materiale.
La questione centrale era puramente tecnica ma di grande impatto pratico: la riduzione di pena prevista per chi sceglie il rito abbreviato deve essere calcolata prima o dopo aver applicato il limite massimo di trent’anni di reclusione?
La Decisione della Corte di Cassazione e il Cumulo Materiale
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, quindi, inammissibile. I giudici hanno confermato l’orientamento consolidato della giurisprudenza, stabilendo una sequenza di calcolo rigida e non derogabile per il giudice dell’esecuzione.
Il principio affermato è chiaro: in sede esecutiva, la riduzione di pena conseguente alla scelta del rito abbreviato deve essere applicata prima del criterio moderatore del cumulo materiale. In altre parole, si parte dalla pena base, si effettuano gli aumenti per la continuazione, si applica la riduzione per il rito, e solo se il risultato finale supera il limite legale (es. trent’anni), si interviene per ricondurlo entro tale soglia.
Le Motivazioni: Differenza tra Fase di Cognizione ed Esecuzione
La Corte di Cassazione ha spiegato che questa rigida sequenza procedurale trova la sua giustificazione nella natura stessa della fase esecutiva. A differenza del giudice della cognizione, che ha piena libertà nel determinare la pena entro i limiti edittali, il giudice dell’esecuzione interviene su una sentenza già passata in giudicato.
Il suo potere è eccezionale e limitato alle sole ipotesi tassativamente previste dalla legge, come il riconoscimento della continuazione ex art. 671 c.p.p. Questo intervento non può stravolgere l’impianto della condanna originaria, ma solo adeguarlo alla nuova situazione giuridica. Il principio dell’intangibilità del giudicato impone che le modifiche siano circoscritte e proceduralmente definite.
Questa interpretazione è supportata anche dall’art. 187 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale. Da tale norma si desume che la riduzione per il rito speciale (come l’abbreviato) trova il suo momento attuativo prima dell’applicazione del tetto massimo previsto dall’art. 78 c.p. in caso di cumulo.
Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza
L’ordinanza ha importanti implicazioni pratiche. In primo luogo, fornisce certezza giuridica agli operatori del diritto, delineando un percorso di calcolo chiaro e univoco per la determinazione della pena in fase esecutiva in presenza di continuazione e riti speciali. In secondo luogo, rafforza il principio del giudicato, sottolineando come la fase esecutiva non sia una terza istanza di giudizio, ma un momento di gestione e adeguamento di una decisione ormai definitiva.
Per i condannati, ciò significa che non è possibile sperare in un ricalcolo più favorevole basato su un diverso ordine di applicazione delle norme, consolidando un approccio che privilegia la stabilità delle decisioni giudiziarie.
In fase esecutiva, la riduzione di pena per il rito abbreviato si applica prima o dopo il limite del cumulo materiale dell’art. 78 cod. pen.?
La riduzione di pena per il rito abbreviato opera necessariamente prima dell’applicazione del criterio moderatore del cumulo materiale previsto dall’art. 78 del codice penale.
Perché l’ordine di applicazione dei criteri di calcolo della pena è diverso tra la fase di cognizione e quella di esecuzione?
La differenza è giustificata dall’efficacia preclusiva del giudicato penale. In fase esecutiva, il giudice ha poteri più limitati e può modificare una pena definitiva solo nei casi tassativamente previsti dalla legge, seguendo una procedura specifica e rigorosa.
Qual è il fondamento normativo che supporta questa interpretazione?
L’interpretazione si basa, oltre che sulla giurisprudenza consolidata, anche sul testo dell’art. 187 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale, che implicitamente conferma questa sequenza applicativa.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 24382 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 24382 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 19/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a CATANIA il 12/05/1982
avverso l’ordinanza del 13/03/2025 della CORTE APPELLO di CATANIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Visti gli atti.
Esaminati il ricorso e la ordinanza impugnata.
Rilevato che il ricorso di NOME COGNOME manifestamente infondato laddove lamenta la mancata applicazione, da parte del giudice dell’esecuzione, del criterio moderatore di cui all’art. 78 cod. pen. successivamente alla determinazione della pena a seguito di riconoscimento della continuazione ex art. 671 cod. proc. pen.;
Considerato, infatti, che la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che «in sede di esecuzione, ai fini della determinazione del trattamento sanzionatorio conseguente al riconoscimento del vincolo della continuazione tra più reati che hanno tutti formato oggetto di giudizio abbreviato, la riduzione di pena conseguente alla scelta del rito opera necessariamente prima del criterio moderatore del cumulo materiale previsto dall’art. 78 cod. pen., in forza del quale la pena della reclusione non può essere superiore ad anni trenta» (Sez. 5, n. 43044 del 04/05/2015, COGNOME, Rv. 265867; Sez. 1, n. 42316 dell’11/11/2010, COGNOME, Rv. 249027). Tale soluzione ermeneutica si fonda sulla constatazione dell’eccezionalità della potestà riconosciuta al giudice dell’esecuzione di rideterminare – nelle ipotesi tassativamente previste dal legislatore – la pena applicata con sentenze passate in giudicato;
Rilevato, inoltre, che anche dal testo dell’art. 187 disp. att. cod. proc. pen. si desume che la riduzione di pena ex art. 442, comma 2, cod. proc. pen., in sede di applicazione della disciplina della continuazione di cui all’art. 671 cod. proc. pen. – differentemente rispetto a quanto avviene in sede di cognizione – trova il proprio momento attuativo prima dell’applicazione dell’art. 78 cod. pen.;
Considerato, pertanto, che il differente ordine applicativo del criterio moderatore del cumulo materiale, tra la fase di cognizione e quella di esecuzione, trae giustificazione nella diversità di situazioni determinata dall’efficacia preclusiva derivante dal principio dell’intangibilità del giudicato penale (Sez. 1, n. 9522 del 14/05/2019, dep. 2020, Rv. 278494 – 01);
Ritenuto, pertanto, che deve essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 19 giugno 2025.