Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 37376 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 37376 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 07/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME, nato in Albania il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza della Corte d’Appello di Roma del 22.11.2023
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza resa in data 22.11.2023, la Corte d’Appello di Roma, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha dichiarato il non luogo a provvedere su una istanza, formulata nell’interesse di COGNOME NOME, di modifica di un cumulo emesso della Procura Generale presso la Corte d’Appello di Roma in data 21.9.2023. L’istanza, in particolare, sollecitava l’inserimento nel cumulo di una sentenza del g.u.p. del Tribunale di Pesaro del 29.3.2021 e la detrazione dalla pena complessiva
di trent’anni di reclusione dei periodi di detenzione sofferti pari a venti anni, sei mesi e diciannove giorni di reclusione, così determinando la pena residua da scontare in nove anni, due mesi e undici giorni di reclusione e dichiarando la pena inflitta con la sentenza della Corte di Appello di Roma del 5.7.2022 (sedici anni e sei mesi di reclusione per i reati di cui agli artt. 73 e 74 dpr n. 309 del 1990) interamente espiata.
La Corte territoriale ha premesso nella propria ordinanza che, nel provvedimento di cumulo, la Procura Generale ha ritenuto non condivisibile la tesi della difesa, secondo cui è necessario procedere ad una somma di tutte le condanne inflitte ed applicare sul totale il criterio moderatore di cui all’art. 78 cod. pen., detraendo quindi interamente la custodia cautelare sofferta o i periodi di pena espiata. E ciò sulla base dell’osservazione che, in presenza di una molteplicità di condanne e di periodi di detenzione sofferti in tempi diversi, questo calcolo non sarebbe corretto, ostandovi il principio di cui all’art. 657, comma 4, cod. proc. pen., secondo cui la detenzione deve seguire e non precedere la commissione del reato. La Corte d’Appello ha a sua volta ritenuto condivisibile il principio di diritto cui si è attenuta la Procura AVV_NOTAIO, in ossequio al costante orientamento della giurisprudenza di legittimità.
Di conseguenza, la richiesta difensiva di considerare interamente espiata la pena inflitta per i reati ostativi della sentenza del 5.7.2022 non è stata ritenuta meritevole di accoglimento, in quanto il reato associativo di cui all’art. 74 d.p.r. n. 309 del 1990 è stato commesso sino al marzo 2017 (è l’ultimo commesso in ordine di tempo) e quindi non potevano essere attribuiti all’espiazione della relativa pena i periodi di custodia sofferti precedentemente.
Avverso tale ordinanza, ha proposto ricorso il difensore dell’imputato, articolando due motivi di ricorso.
2.1 Con il primo motivo, deduce, ai sensi dell’art. 606, lett. b), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 78 cod. pen.
Si evidenzia che tutti i reati ricompresi nel cumulo sono stati commessi prima dell’ultimo dei reati e che, pertanto, ciò esclude la violazione dell’art. 657, comma 4, cod. proc. pen., che peraltro non appare invocabile anche perché tutte le sentenze riportate nel cumulo sono tuttora in esecuzione: di conseguenza, si deve valutare l’entità della pena ricavabile dal cumulo come un unicum e deve intervenire il criterio moderatore dell’art. 78 cod. pen. a delineare la pena applicabile in concreto.
Il ricorso, pertanto, censura la scomposizione effettuata nel nuovo cumulo della Procura Generale, perché il sistema dei “cumuli parziali” elude la finalità
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rieducativa della pena e viola l’art. 78 cod. pen. L’interpretazione fornita dalla Procura AVV_NOTAIO non è “costituzionalmente orientata”, perché comprime in maniera immotivata la finalità rieducativa dell’art. 27, comma 3, Cost. e elimina completamente il criterio moderatore, potendo portare a infliggere una pena complessiva molto superiore ai trent’anni anche per reati di scarso allarme sociale ove riportati in un cumulo “scomposto”. Inoltre, si crea in tal modo una ingiustificata differenza di trattamento, perché i condannati per reati gravi commessi precedentemente ad altri reati minori riceverebbero un trattamento di maggior favore rispetto a condannati per reati meno gravi e con condanne minori.
2.2 Con il secondo motivo, deduce, ai sensi dell’art. 606, lett. e), cos. Proc. pen.,” mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione”.
Lamenta che l’ordinanza della Corte d’Appello sia motivata “per relationem” per il tramite del pedissequo recepimento della motivazione del provvedimento della Procura Generale, la quale a sua volta si risolve in una motivazione meramente apparente perché ha come unico obiettivo quello di neutralizzare la portata dell’art. 78 cod. pen.
Con requisitoria scritta del 6.5.2024, il AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso, richiamando, quanto al primo motivo, Cass. n. 47799 del 2023 ed evidenziando che la regola dei cumuli parziali discende dall’esigenza di impedire che all’espiazione della condanna siano imputati periodi di detenzione patiti prima della commissione del reato cui la condanna si riferisce.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato per le ragioni di seguito esposte.
Quanto al primo motivo, deve ritenersi che da nessuna violazione di legge sia affetto il provvedimento impugnato.
2.1 II cumulo delle pene in sede esecutiva è previsto dall’art. 663 cod. proc. pen. e richiede che si individui una unica pena quale risultato dell’unificazione dei diversi titoli esecutivi, da operarsi secondo le regole aritmetiche che governano il cumulo materiale, temperate dalle regole giuridiche che pongono limiti agli aumenti derivanti dalla mera somma delle pene concorrenti (artt. 72 ss. cod. pen.).
A seguito della sopravvenienza di nuovi titoli esecutivi, si rende necessario rinnovare le operazioni di calcolo per definire la pena in concreto da espiare. In questo ambito, il pubblico ministero deve tenere conto dei periodi di custodia
cautelare subita per lo stesso o per altro reato nonché della pena eventualmente espiata senza titolo.
Ora, nel calcolo del c.d. presofferto, l’art. 657, comma 4, cod. proc. pen. prevede un criterio di carattere temporale che si prospetta quale presupposto di base: il periodo detentivo sofferto è computato per la determinazione della pena da eseguire per un reato commesso anteriormente. Ciò serve ad evitare una sorta di “credito penale” che venga a precostituire una “riserva di impunità” per futuri reati da parte di chi abbia ingiustamente subito un periodo detentivo.
Questo vuoi dire, dunque, che, nel caso di cumuli parziali, il presofferto va detratto da ogni singolo cumulo per i reati commessi in precedenza e non è consentita una cumulabilità globale, pena la violazione dell’art. 657, comma 4, cod. proc. pen.
2.2 In conformità dei dati normativi appena richiamati, questa Corte ha anche recentemente riaffermato che in tema di esecuzione delle pene concorrenti, nel caso di reati commessi in tempi diversi con periodi di carcerazione già sofferti, devono essere ordinati cronologicamente i reati e i periodi ininterrotti di carcerazione e detratto ogni periodo dal cumulo (parziale) delle pene per i reati commessi in precedenza, applicando il criterio di cui all’art. 78 cod. pen. nel singolo cumulo parziale, sicché non è consentita una cumulabilità globale che comporterebbe l’imputazione di periodi di carcerazione anteriori a pene inflitte per reati commessi successivamente, in violazione dell’art. 657, comma 4, cod. proc. pen. (Sez. 1, n. 47799 del 23/6/2023, Rv. 285537 – 01) e in violazione del principio secondo cui la pena non può precedere il reato e così incoraggiarne, anziché frenarne, la reiterazione (Sez. 1, n. 2020 del 7/5/1992, Rv. 192016 – 01); l’art. 78 cod. pen., dunque, esplica la sua efficacia sull’ambito e nei limiti di ciascuna operazione di cumulo (Sez. 1, n. 3923 dell’8/10/1992, Rv. 192443 – 01).
A questi criteri si è attenuta la Procura Generale presso la Corte d’Appello di Roma nell’adottare in data 21.9.2023 il provvedimento di esecuzione di pene concorrenti, a seguito dell’istanza del difensore di NOME di inserire nel precedente cumulo del 5.6.2023 la pena di cui alla sentenza del g.u.p. del Tribunale di Pesaro in data 29.3.2001.
Si tratta di un provvedimento che ordina cronologicamente i reati commessi dal condannato e le detenzioni subite e che, procedendo al riordino della posizione giuridica di NOME, applica il criterio moderatore di cui all’art. 78 cod. pen. a ognuna delle singole cinque operazioni di cumulo parziale, dando atto che in nessun caso la pena derivante dal cumulo parziale superi i limiti di pena fissati da detta norma.
In modo non censurabile, pertanto, la Corte d’Appello di Roma ha ritenuto che correttamente la Procura Generale avesse proceduto al nuovo cumulo delle pene,
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richiamando espressamente il principio di diritto cui il relativo provvedimento si era ispirato.
Di contro, il ricorso si limita a reiterare la medesima censura disattesa dalla Corte d’Appello, senza addurre motivi diversi da quelli già rappresentati in sede esecutiva e senza proporre argomentazioni ulteriori rispetto a quelle già ritenute inidonee dal giudice dell’esecuzione a superare il principio di diritto più volte affermato dalla giurisprudenza di legittimità.
Quanto al secondo motivo, nel caso di specie – ovvero, un’ordinanza resa in sede di esecuzione, rispetto a cui non si può parlare di un doppio grado di giudizio in presenza di un provvedimento direttamente ricorribile per cassazione la motivazione “per relationem” del giudice dell’esecuzione, ove riferita al contenuto del cumulo cui ha proceduto il pubblico ministero, potrebbe ricorrere solo nel caso di mancanza assoluta di motivazione e di generico rinvio al provvedimento altrui in quanto tale.
Invece, l’ordinanza impugnata, premettendo di condividere la soluzione adottata dal pubblico ministero in punto di diritto, richiama gli argomenti utilizzati a sostegno della soluzione stessa e dimostra di averli esaminati e fatti propri, ritenendoli pienamente applicabili al caso sottoposto al suo esame.
In questo modo, del resto, il giudice dell’esecuzione si è completamente confrontato con le allegazioni difensive, che, sin dalla prima richiesta formulata al pubblico ministero, sono rimaste le stesse, peraltro in relazione ad una questione di diritto.
In ogni caso, la censura di motivazione “per relationem” non può riguardare le questioni di diritto, ovvero quella parte della motivazione che risponda alla denuncia di un vizio di violazione di legge, formulata mediante la proposta di una interpretazione delle norme, di diritto sostanziale o processuale, diversa da quella fatta propria dal giudice che le ha applicate (in conformità ad un consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità).
Non raramente, peraltro, la soluzione di tali questioni viene raggiunta con il richiamo al precedente giurisprudenziale di legittimità, ciò che integrerebbe per definizione una motivazione “per relationem”; non v’è dubbio che il richiamo sia consentito, purché venga poi dato atto dei motivi per cui il principio di diritto affermato sia applicabile al caso concreto.
Nell’ordinanza impugnata, tale onere è adeguatamente assolto e la censura difensiva in proposito si riduce, di fatto, ad una reiterazione, sotto altra specie, delle doglianze già formulate con il primo motivo.
Alla luce di quanto fin qui osservato, pertanto, il ricorso deve essere rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 7.6.2024