Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 11235 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 11235 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 10/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a BARLETTA il 31/10/1985
avverso l’ordinanza del 17/09/2024 della CORTE APPELLO di BARI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
letta la requisitoria del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
Con istanza alla Corte di appello di Bari, quale giudice dell’esecuzione, NOME COGNOME aveva chiesto di sospendere l’ordine di esecuzione emesso dal Procuratore generale presso la Corte di appello di Bari in relazione alla pena residua di 3 anni, 9 mesi e 20 giorni di reclusione, determinata, al netto del presofferto e della liberazione anticipata concessa, con il provvedimento di cumulo che aveva assorbito 5 sentenze irrevocabili di condanna emesse nei suoi confronti. Secondo l’istante, la Procura generale aveva erroneamente omesso di chiedere al magistrato di sorveglianza, in via preventiva ai sensi dell’art. 656, comma 4 -bis, cod. proc. pen., la ulteriore liberazione anticipata maturata in relazione al presofferto, la quale, se concessa e imputata all’unico reato ostativo presente nel cumulo (ossia il delitto di cui all’art. 74, d.P.R. n. 309 del 1990, accertato con la sentenza del 3 marzo 2022 – titolo n. 5 del cumulo – con la quale la Corte di appello di Bari lo aveva condannato alla pena di 5 anni di reclusione), avrebbe comportato la totale espiazione della pena stabilita per detto reato e avrebbe imposto alla stessa Procura, ai sensi dell’art. 656 cod. proc. pen., la sospensione dell’ordine di esecuzione al fine di formulare una richiesta di misura alternativa.
1.1. Con ordinanza in data 28 dicembre 2023, la Corte appello aveva rigettato l’istanza, rilevando che la pena di 5 anni di reclusione di cui al titolo n. 5 del cumulo era stata inflitta esclusivamente per il reato ostativo di cui all’art. 74, d.P.R. n. 309 del 1990, senza alcuna pena ulteriore per il contestato art. 73, comma 4, d.P.R. n. 309 del 1990, sicché l’ordine di carcerazione risultava correttamente adottato.
1.2. Con sentenza in data 11 aprile 2024, la Prima Sezione penale della Corte di cassazione annullò la predetta ordinanza, rilevando che la Corte di appello si era limitata a richiamare genericamente la «pena irrogata per titolo ostativo» senza affrontare il tema della valutazione da parte del magistrato di sorveglianza della concessione della liberazione anticipata e della preliminare necessità di sospensione dell’esecuzione dell’ordine di carcerazione. Nel frangente, la Suprema Corte dichiarò inammissibile il ricorso in relazione alla mancata determinazione della pena inflitta con il titolo n. 5 del cumulo, confermando che essa doveva intendersi riferita al solo art. 74, d.P.R. n. 309 del 1990, avendo il Giudice della cognizione, con errore non più emendabile, omesso di punire anche la condotta ex art. 73, comma 4, dello stesso decreto.
1.3. Con ordinanza dell’Il luglio 2024, la Corte di appello di Bari, preso atto delle indicazioni della sentenza rescindente, dispose la trasmissione degli atti al magistrato di sorveglianza per l’eventuale concessione della liberazione anticipata.
1.4. Nelle more, con decreto del 15 luglio 2024, la Procura generale confermò l’ordine di immediata carcerazione di Sarcina, ribadendo che non vi fossero le condizioni per la sospensione dell’esecuzione ed evidenziando la non ostatività, a
tal fine, dell’ordinanza della Corte di appello di rimessione degli atti al magistrato di sorveglianza, in quanto mero atto interlocutorio non incidente sulla legittimità dell’ordine di carcerazione.
1.5. Con ordinanza del 4 settembre 2024, il Magistrato di sorveglianza di Bari dichiarò la propria incompetenza funzionale in favore della Corte di appello di Bari e sollevò conflitto negativo di competenza con trasmissione degli atti alla Corte di cassazione, rilevando che la Corte di appello avrebbe dovuto decidere sul ricorso, secondo le indicazioni della pronuncia rescindente.
1.6. Con ordinanza in data 17 settembre 2024, la Corte appello di Bari ha rigettato nuovamente l’istanza proposta nell’interesse di Sarcina, rilevando come non vi fossero le condizioni di cui all’art. 656, comma 4-bis, cod. proc. pen. Infatti, pur essendo la pena residua inferiore al limite di cui al comma 5 dell’art. 656 cod. proc. pen., non era stata ancora espiata la quota di pena inflitta per il reato ostativo di cui all’art. 74, d.P.R. n. 309 del 1990, sicché non vi erano le condizioni per trasmettere gli atti al Magistrato di sorveglianza per la decisione sull’eventuale applicazione della liberazione anticipata.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione avverso il predetto provvedimento per mezzo del difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME deducendo, con un unico motivo di impugnazione, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione dell’art. 627 cod. proc. pen., poiché la Corte territoriale non avrebbe adempiuto alle indicazioni fornite in sede rescindente, nonché la totale mancanza di motivazione in ordine alla richiesta di sospensione dell’ordine di carcerazione illegittimamente posto in esecuzione in violazione degli artt. 656 e 670 cod. proc. pen. Nel dettaglio, il ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., che il provvedimento impugnato abbia violato i principi dettati dalla sentenza di annullamento, secondo cui la Corte territoriale avrebbe dovuto affrontare «il tema della valutazione preliminare da parte del Magistrato di sorveglianza per la concessione della liberazione anticipata e della preliminare necessità di sospensione dell’esecuzione dell’ordine di carcerazione». Secondo il Supremo Collegio, infatti, qualora ci si trovi al cospetto di un cumulo di pena in cui figurino titoli ostativi si dovrebbe procedere al suo scioglimento ogniqualvolta ne possa scaturire un effetto favorevole al condannato. Secondo la Corte costituzionale, infatti, l’art. 4-bis Ord. pen. non ha creato uno status di “detenuto pericoloso” che permea di sé l’intero rapporto esecutivo, sicché «ogniqualvolta sia presente – tra gli altri – un titolo esecutivo ostativo ai sensi dell’indicata disposizione, si impone lo scioglimento del cumulo e la verifica del segmento esecutivo in espiazione, con necessità di attribuire il presofferto al titolo ostativo, onde recuperare libertà di manovra in vista della eventuale concedibilità
dei benefici penitenziari, e ancor prima ai fini della previa sospensione dell’esecuzione» (così Corte costituzionale n. 361 del 1994). L’interpretazione qui sostenuta troverebbe giustificazione nel principio secondo cui ciascun periodo di carcerazione, espiato anticipatamente rispetto alla condanna definitiva, va imputato al titolo che consenta un concreto vantaggio per il condannato. La diversa tesi dell’inscindibilità del cumulo determinerebbe un’inaccettabile diversità di trattamento a seconda della eventualità, del tutto casuale, di un rapporto esecutivo unico, conseguente al cumulo, ovvero di distinte esecuzioni dipendenti dai titoli che scaturiscono dalle singole condanne. Una conclusione del genere si porrebbe in contrasto con i principi costituzionali di ragionevolezza, di uguaglianza e della funzione risocializzante della pena e non troverebbe una giustificazione plausibile e razionale nel principio della pena unica, sancito dall’art. 76, comma 1, cod. pen.». Dunque, la Procura generale avrebbe dovuto sciogliere il cumulo, consentendo la concessione della liberazione anticipata per la quota di pena non ostativa, attribuendo la riduzione al reato ostativo, sì da far espiare totalmente la pena inflitta per quest’ultimo e da consentire al condannato di chiedere una misura alternativa da libero. In ultimo, si evidenzia che, ad oggi, il Magistrato di sorveglianza di Bari non si sarebbe ancora pronunciato sulla richiesta di liberazione anticipata.
In data 14 novembre 2024 è pervenuta in Cancelleria la requisitoria scritta del Procuratore generale presso questa Corte, con la quale è stato chiesto l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Va premesso che nel caso in cui una condanna a pena detentiva passi in giudicato, il pubblico ministero è tenuto a emettere immediatamente l’ordine di carcerazione e, quando esistano o sopravvengano più condanne per reati diversi, è tenuto, altresì, a determinare la pena complessiva, la quale deve essere considerata come unica ex artt. 76 e ss. cod. pen. (cfr. Sez. 1, n. 24710 del 11/01/2023, Farruku, in motivazione). Infatti, l’art. 663, comma 1, cod. proc. pen. stabilisce che «quando la stessa persona è stata condannata con più sentenze o decreti penali per reati diversi, il pubblico ministero determina la pena da eseguirsi, in osservanza delle norme sul concorso di pene», procedendo all’emissione del provvedimento di unificazione di pene concorrenti (cd. cumulo). Ai sensi dell’art. 656, comma 5, cod. proc. pen. quando la pena detentiva da eseguire per effetto del passaggio in giudicato di una sentenza o della formazione
di un provvedimento di cumulo è inferiore ai quattro anni, anche quale porzione residua di una pena maggiore, il pubblico ministero competente emette l’ordine di carcerazione e, contestualmente, il decreto di sospensione di esso, onde consentire al condannato di presentare al tribunale di sorveglianza una richiesta di misura alternativa alla detenzione. Fanno eccezione, tra gli altri, i casi in cui la sentenza o il cumulo concernano una condanna per uno dei delitti previsti dall’art. 4-bis Ord. pen., atteso che, in tali ipotesi, il pubblico ministero non può emettere, insieme all’ordine di carcerazione, il decreto di sospensione, sicché, in siffatte evenienze, l’esecuzione della pena ha inizio.
Mostrando un chiaro atteggiamento di favor verso l’accesso alle misure alternative e, corrispondentemente, per disincentivare l’inizio della esecuzione in carcere nei casi in cui il condannato possa, in prospettiva, essere ammesso a una misura alternativa, è stato introdotto, dall’art. 1, comma 1, lett. b), n. 1, dl. 1° luglio 2013, n. 78, convertito nella legge 9 agosto 2013, n. 94, il comma 4-bis dell’art. 656 cod. proc. pen., a mente del quale «al di fuori dei casi previsti dal comma 9, lett. b), quando la residua pena da espiare, computando le detrazioni previste dall’articolo 54 della legge 26 luglio 1975, n. 354, non supera i limiti indicati dal comma 5, il pubblico ministero, prima di emettere l’ordine di esecuzione, previa verifica dell’esistenza di periodi di custodia cautelare o di pena dichiarata fungibile relativi al titolo esecutivo da eseguire, trasmette gli atti a magistrato di sorveglianza affinché provveda all’eventuale applicazione della liberazione anticipata. Il magistrato di sorveglianza provvede senza ritardo con ordinanza adottata ai sensi dell’articolo 69-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354. La presente disposizione non si applica nei confronti dei condannati per i delitti di cui all’articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354».
Dunque, al momento del passaggio in giudicato della sentenza o della formazione del cumulo l’emissione dell’ordine di carcerazione è preceduta da una fase incidentale che è diretta a verificare se vi siano le condizioni per la concessione della liberazione anticipata in relazione a eventuali periodi di presofferto e, in questo modo, se la pena residua, eventualmente superiore ai quattro anni di reclusione, possa essere abbassata, in modo da rientrare nei limiti previsti dal comma 5, così consentendo la sospensione dell’ordine di carcerazione e l’eventuale accesso a una misura alternativa, evitando l’ingresso in carcere. Questa possibilità, tuttavia, non è data ove la sentenza o il cumulo riguardino uno dei delitti previsti dall’art. 4-bis Ord. pen. In questi casi, infatti, ferma restando la possibilità di concedere la liberazione anticipata per il presofferto, la trasmissione degli atti al magistrato di sorveglianza avviene dopo l’emissione dell’ordine di carcerazione, sicché l’eventuale concessione del beneficio non incide sull’esecuzione della pena, che avrà comunque inizio. E in ipotesi siffatte, qualora il condannato sia successivamente ammesso alla liberazione anticipata in
questione, anche se la pena residua dovesse essere inferiore al limite previsto dal comma 5 dell’art. 656, il pubblico ministero non potrebbe sospendere, comunque, l’esecuzione della pena, posto che, in relazione al titolo de quo, il condannato era stato in precedenza detenuto (ex plurimis Sez. 1, n. 6779 del 25/01/2005, Salvatore, Rv. 232938 – 01, secondo cui la sospensione dell’esecuzione della pena ai sensi dell’art. 656, comma 5, cod. proc. pen. non è applicabile a coloro che, al sopravvenire di un nuovo titolo definitivo, si trovino già detenuti in espiazione di una pena per altra causa, ma riguarda soltanto i condannati in stato di libertà, trattandosi di istituto volto a impedire l’ingresso in carcere di coloro che possono aspirare ad uno dei regimi alternativi alla detenzione; in termini, nella giurisprudenza successiva, v. Sez. 1, n. 42637 del 27/05/2022, COGNOME, Rv. 283688 – 01; Sez. 1, n. 29940 del 29/10/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 267325 – 01; Sez. 1, n. 24918 del 27/05/2009, COGNOME, Rv. 244652 – 01; Sez. 1, n. 9213 del 31/01/2008, COGNOME Rv. 239218 – 01).
Nel caso in esame, la Difesa sostiene che, in applicazione del generale principio secondo cui il provvedimento di cumulo deve essere sciolto ogniqualvolta possa da ciò derivare un effetto favorevole per il condannato, il Pubblico ministero avrebbe dovuto, preliminarmente, provvedere in tal senso. In questo modo non sarebbe stato applicabile il subprocedimento speciale previsto per la applicazione preventiva della liberazione anticipata in caso di condanna per il delitto previsto dall’art. 4-bis Ord. pen., sicché l’ordine di esecuzione avrebbe dovuto essere sospeso, consentendo a COGNOME di rimanere libero nelle more della decisione sulla liberazione anticipata; e qualora quest’ultima fosse stata concessa, imputandosi la riduzione alla pena inflitta per il delitto previsto dall’art. 4-bis Ord. pen., essa sarebbe stata interamente espiata, così consentendo al condannato di beneficiare della sospensione prevista dal comma 5 dell’art. 656 cod. proc. pen.
3.1. Osserva, nondimeno, il Collegio che tale percorso non è in alcun modo esperibile, sicché le complessive doglianze formulate dalla Difesa di Sarcina sono manifestamente infondate.
Innanzitutto, va evidenziato che l’ordinanza ha chiarito come la pena di 5 anni di reclusione inflitta con la sentenza indicata al n. 5 del cumulo fosse stata applicata unicamente per il delitto previsto dall’art. 74, d.P.R. n. 309 del 1990. Dunque, per il delitto satellite, con riferimento al quale cui COGNOME era stato riconosciuto responsabile, il Giudice della cognizione aveva erroneamente omesso di stabilire il relativo trattamento sanzionatorio. Tale circostanza di fatto impedisce, all’evidenza, di dare seguito alle argomentazioni difensive, posto che non risulta, né dal provvedimento impugnato, né dal ricorso, che vi fosse una qualche porzione di pena riferibile a un delitto diverso da quello rientrante nel catalogo dell’art. 4-bis Ord. pen., sicché l’eventuale scioglimento del cumulo,
anche a voler accedere alla tesi esposta in ricorso, non avrebbe comunque sortito l’effetto indicato nel ricorso, posto che in assenza di una pena inflitta per un reato diverso da quelli previsti dalla predetta disposizione non sarebbe stato, comunque, possibile avviare la procedura per la concessione della liberazione anticipata senza mettere in esecuzione il titolo detentivo, rispetto al quale, in ragione della previsione del comma 9, lett. b), dell’art. 656, non poteva applicarsi la sospensione prevista dal comma 5.
3.2. In ogni caso, la tesi difensiva volta a ottenere lo scioglimento del cumulo è manifestamente infondata.
In disparte la circostanza che, come evidenziato dal ricorso, detto principio presuppone che dallo scioglimento possa derivare un qualche effetto favorevole, nella specie comunque non ravvisabile per le ragioni evidenziate nel punto che precede, deve osservarsi che detto scioglimento non deve essere sempre realizzato.
In proposito, va, infatti, rilevato che il provvedimento di cumulo è finalizzato alla contemporanea esecuzione di tutti i titoli esecutivi come se riferibili ad un’unica pronuncia e, pertanto, esso preclude la possibilità di porre separatamente in esecuzione le singole condanne al fine di consentire che, autonomamente considerate, se ne possa sospendere l’esecuzione (Sez. 1, n. 29087 del 11/07/2006, COGNOME, Rv. 235417 – 01; Sez. 1, n. 25329 del 1/04/2003, COGNOME, Rv. 225201 – 01; Sez. 6, n. 24245 del 3/04/2003, COGNOME, Rv. 225577 – 01; Sez. 1, n. 17885 del 19/03/2002, COGNOME, Rv. 222027 – 01; Sez. 1, n. 27755 del 30/05/2003, COGNOME, Rv. 225015 – 01; Sez. 1, n. 6356 del 15/12/1998, COGNOME, Rv. 21271 – 01). Il provvedimento di cumulo, infatti, ha natura amministrativa e non giurisdizionale e, pertanto, è suscettibile di essere revocato, rimosso, modificato al fine di tenere costantemente aggiornata la posizione processuale del condannato senza acquisire definitività, tranne che in relazione alle questioni oggetto di interventi del giudice dell’esecuzione (Sez. 1, n. 26321 del 27/05/2019, COGNOME, Rv. 276488 – 01; Sez. 1, n. 36236 del 23/09/2010, COGNOME, Rv. 248298 – 01); sicché una volta operato il cumulo materiale secondo le vincolanti prescrizioni dettate dall’art. 663 cod. proc. pen., la disciplina del concorso di pene contenuta negli artt. 71 e ss. cod. pen., per effetto del rinvio ad esse operato dal successivo art. 80, comporta che le pene detentive temporanee, inflitte con le distinte sentenze, «si considerano come pena unica per ogni effetto giuridico», come previsto dall’art. 76 cod. pen. (v. Sez. 1, n. 2590 del 11/12/2020, dep. 2021, Bitri, Rv. 280650 – 01), sicché l’ordinamento giuridico non prevede in alcun modo la possibilità di emettere distinti ordini di espiazione delle sanzioni ricomprese nell’ambito dell’esecuzione congiunta o cumulata.
Ne consegue, dunque, che quando il soggetto sia stato condannato per un delitto compreso nel catalogo dell’art. 4-bis Ord. pen., sia che ciò sia avvenuto con
un’unica sentenza, sia che venga emesso un provvedimento di cumulo che assorba più pronunce, non è consentito frammentare l’unico rapporto esecutivo ponendo in esecuzione soltanto alcune sentenze o soltanto la porzione di pena inflitta, con l’unica sentenza di condanna, per singoli reati.
Sulla base delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della cassa delle ammende, equitativamente fissata in 3.000,00 euro.
PER QUESTI MOTIVI
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in data 10 gennaio 2025
Il Consigliere estensore
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Il Presidente