Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 5221 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 5221 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 22/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nato a Platì il 05/09/1960
avverso l’ordinanza emessa 1’08/10/2024 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Torino;
lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza dell’8 ottobre 2024 il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Torino, quale Giudice dell’esecuzione, rigettava l’istanza presentata da NOME COGNOME finalizzata a ottenere la rideterminazione del trattamento sanzionatorio stabilito in due cumuli di pene concorrenti distinti nei confronti del condannato, riguardanti le sentenze di cui ai punti a), b), c) e d) del provvedimento impugnato.
Di questi cumuli, il primo riguardava i reati commessi tra il 1987 e il 1992, giudicati dalla sentenza sub a); i reati commessi tra il 1994 e il 2012, giudicati dalla sentenza sub b); i reati commessi tra il 2012 e il 2021, giudicati dalla sentenza sub d).
Il secondo cumulo di pene concorrenti, invece, riguardava i reati commessi tra il 2014 e il 2015, giudicati dalla sentenza sub c), intervenuta dopo la scarcerazione di NOME COGNOME avvenuta il 9 novembre 2012.
Avverso questa ordinanza NOME COGNOME a mezzo dell’avv. NOME COGNOME e dell’avv. NOME COGNOME ricorreva per cassazione, deducendo la violazione di legge e il vizio di motivazione del provvedimento impugnato, per avere il Giudice dell’esecuzione formato, in relazione al trattamento sanzionatorio irrogato al condannato con le sentenze di cui ai punti a), b), c) e d) del provvedimento impugnato, due cumuli frazionati parziali anziché un unico cumulo.
Si evidenziava, in proposito, che, nel caso di specie, il Giudice dell’esecuzione avrebbe dovuto costituire un unico cumulo, nel quale avrebbe dovuto inserire tutti i reati commessi dal condannato, tra il 1987 e il 2021, giudicati dalla sentenze di cui ai punti a), b), c) e d), non assumendo alcun rilievo ostativo a tale procedimento di unificazione la circostanza che il ricorrente fosse stato scarcerato il 9 novembre 2012. La costituzione di due distinti cumuli, infatti, non aveva consentito di applicare il criterio moderatore di cui all’art. 7 cod. pen., più favorevole per COGNOME, che stabilisce il limite massimo di trent’anni di reclusione per tutte le condanne eseguibili, che presupponeva la formazione di un unico cumulo.
Queste ragioni imponevano l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso proposto da NOME COGNOME è infondato.
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Occorre premettere che l’art. 657, comma 4, cod. proc. pen. subordina a parametri rigorosi la possibilità di computare la custodia subita o la pena espiata per un reato diverso, subordinandola al dato cronologico che la restrizione e l’espiazione siano successive alla commissione del reato per il quale deve essere determinata la pena eseguibile.
Sul punto, non si può che richiamare il seguente, insuperato, principio di diritto: «In tema di fungibilità delle pene, ai sensi dell’art. 657, comma quarto, c.p.p., ai fini della determinazione della pena detentiva da eseguire, si possono computare la custodia cautelare subita o le pene espiate “senza titolo” (ovvero quando il titolo sia venuto meno), purché successive alla commissione del reato per il quale deve essere determinata la pena da eseguire: nel caso in cui detto reato sia di natura permanente, avendo, ontologicamente e giuridicamente, una struttura unitaria, non è possibile operare una sua scomposizione in una pluralità di reati, in parte anteriori ed in parte posteriori alla esecuzione dello stat detentivo per altro fatto. Ne consegue, che non può dirsi sofferta “dopo” tale reato, la carcerazione senza titolo qualora il reato permanente si protragga al di là della carcerazione stessa. Tale conclusione non urta contro i principi costituzionali: la permanenza del reato, invero, non è un fatto oggettivo, sganciato dalla volontà del soggetto, ma, al contrario, dipende proprio da tale volontà, essendo nella volontà e nella attivazione del soggetto il venir meno della permanenza; per cui l’applicazione dell’art. 657, comma quarto, c.p.p., nei termini così precisati, non determina disparità di trattamento, atteso che la situazione di colui che “protrae la permanenza del reato” senza interromperla, al di là del termine di cui alla citata disposizione, è ben diversa da quella di colui che abbia commesso un reato esauritosi antecedentemente a quel momento: tra i due, infatti, solo il primo è nella condizione di poter protrarre u comportamento criminoso in modo da farvi rientrare (quale pena da detrarre) una detenzione già sofferta» (Sez. 1, n. 1436 del 10/03/1998, Pesce, Rv. 210202 – 01). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
La previsione dell’art. 657, comma 4, cod. proc. pen., dunque, mira a non consentire al condannato di usufruire di crediti di pena, che possano agevolare la commissione di fatti criminosi nella consapevolezza dell’assenza di conseguenze sanzionatorie, perseguendo un obiettivo di politica criminale applicabile anche nel caso in cui il credito di pena si sia formato a seguito del riconoscimento della continuazione tra taluni reati, con la conseguente determinazione di una pena complessiva inferiore a quella risultante dal cumulo materiale dei reati per i quali è intervenuta la condanna eseguibile.
Qualora, invece, si procede per reati permanenti, per i quali non è possibile operare la scomposizione in una pluralità di reati, in parte anteriori e in parte
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posteriori all’esecuzione della detenzione, deve essere esclusa la fungibilità delle pene e l’applicazione del criterio moderatore di cui all’art. 78 cod. pen., laddove la permanenza sia cessata dopo l’espiazione.
Si ritiene opportuno, in proposito, richiamare il seguente principio di diritto: «In tema di esecuzione di pene concorrenti inflitte con condanne diverse nei confronti di un soggetto che abbia commesso nuovi reati durante l’espiazione di una pena o dopo la sua interruzione, è necessario procedere alla formazione di cumuli parziali, raggruppanti, da un lato, le pene relative ai reati commessi sino alla data di quello cui si riferisce la pena parzialmente espiata (con applicazione del criterio moderatore dell’art. 78 cod. pen. e detrazione dal risultato del presofferto) e, dall’altro, la pena residua e le pene inflitte per i reati commessi in seguito, sino alla data della successiva detenzione, e, qualora una o più pene possano imputarsi a cumuli diversi in funzione dei criteri egualmente legittimi della data di commissione del reato o della data di inizio dell’esecuzione, occorre verificare le conseguenze derivanti in concreto dall’applicazione di ciascun criterio, dando preferenza alla soluzione meno gravosa per il condannato, in ossequio ad un principio di favore per il medesimo avente valenza generale nell’ambito penale» (Sez. 1, n. 17503 del 13/02/2020, Fontana, Rv. 279182 01).
3. In questa, consolidata, cornice ermeneutica, deve evidenziarsi che il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Torino operava nel pieno rispetto dei principi che si sono richiamati nel paragrafo precedente, atteso che la sentenza sub c) riguardava reati commessi dopo quelli giudicati dalle sentenze sub a) e b) e interveniva dopo la scarcerazione di NOME COGNOME avvenuta il 9 novembre 2012.
Quanto, invece, alle fattispecie giudicate dalla sentenza di cui punto d) del provvedimento impugnato, i cui reati si ritenevano avvinti dal vincolo della continuazione con quelli giudicati delle condanne di cui ai punti a) e b), che risultavano commessi dopo l’avvenuta scarcerazione del ricorrente, residuava una frazione sanzionatorio di due anni, applicata a titolo di aumento per la continuazione.
Tuttavia, tale ultima frazione non concorreva a comporre la pena eseguibile per il primo cumulo, venendo calcolata separatamente dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Torino ed essendo ritenuta suscettibile di ulteriore espiazione.
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Le considerazioni esposte impongono conclusivamente il rigetto del ricorso proposto da NOME COGNOME con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 22 gennaio 2025.