Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 26225 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 26225 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato a CASAL DI PRINCIPE il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 08/11/2023 della CORTE ASSISE APPELLO di NAPOLI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del PG
Il Procuratore generale, NOME COGNOME, chiede il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME ricorre avverso l’ordinanza depositata 1’8 novembre 2023 dalla Corte di assise di appello di Napoli che, quale giudice dell’esecuzione, ha rigettato la richiesta di rettifica del provvedimento di esecuzione di pene concorrenti del 14 novembre 2022 della Procura generale della Repubblica presso la Corte di appello di Napoli.
L’interessato aveva evidenziato che il provvedimento di cumulo del 14 novembre 2022 riportava come fine pena la data del 16 novembre 2039, invece che la data corretta del 29 maggio 2036, poiché il pubblico ministero aveva – a suo dire – erroneamente escluso ai sensi dell’art. 657, comma 4, cod. proc. pen. i periodi di pena presofferta indicati nel provvedimento di esecuzione di pene concorrenti.
Il ricorrente denuncia inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, con riferimento agli artt. 78, 81 cod. pen. e 657, comma 4, cod. proc. pen., perché il giudice dell’esecuzione avrebbe omesso di considerare che il reato di omicidio, considerata la pena base nel calcolo della pena finale dei reati posti in ‘/”–GLYPH lost. continuazione, GLYPH s stato commesso nel mese di giugno 1991, prima dell’esecuzione dei periodi di detenzione per i quali era stata depositata la richiesta in termini di fungibilità, sicché non sussisteva la causa ostativa prevista dall’art. 657, comma 4, cod. proc. pen. indicata nella motivazione del provvedimento impugnato, che aveva in definitiva negato la possibilità di formazione di un unico cumulo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
Giova premettere che l’art. 657, comma 4, cod. proc. pen. limita la possibilità di computare la custodia cautelare subita o la pena espiata per reato diverso al mero dato cronologico per il quale la custodia e la espiazione anzidette siano successive alla commissione del reato per il quale deve essere determinata la pena da eseguire in concreto.
La giurisprudenza di legittimità, nel rappresentare che la ratio di tale limitazione, costantemente riaffermata, è quella di non consentire ad alcuno di fruire di crediti di pena che possano agevolare la commissione di fatti criminosi nella consapevolezza dell’assenza di conseguenze sanzionatorie, ha rimarcato che
l’indicato principio trova applicazione anche nel caso in cui il c.d. credito di pena si sia formato a seguito del riconoscimento della continuazione fra taluni reati, con la conseguente determinazione di una pena complessiva inferiore a quella risultante dal cumulo materiale, e che, ove si pongano problemi di fungibilità tra le carcerazioni sofferte per i singoli reati unificati ex art. 81 cod. pen., il reato continuato, che può considerarsi reato unico solo ai fini specificamente previsti dalla legge, deve essere scisso nelle singole violazioni che lo compongono, sì da potersi individuare quelle commesse prima della detenzione senza titolo e stabilirsi l’aliquota di sanzione del relativo frammento di aumento per la continuazione per far luogo alla fungibilità, stabilendosi, quindi, la parte di custodia cautelare o d pena inutilmente sofferta.
In sintesi, il riconoscimento della continuazione tra più reati in sede esecutiva, con la conseguente determinazione di una pena complessiva inferiore a quella risultante dal cumulo materiale, non comporta che la differenza formatasi possa essere automaticamente imputata alla detenzione da eseguire, operando anche in detta eventualità il disposto dell’art. 657, comma 4, cod. proc. pen., per cui, a tal fine, vanno computate solo periodi di custodia cautelare sofferta e di pene espiate sine titulo dopo la commissione del reato, e dovendosi conseguentemente scindere il reato continuato nelle singole violazioni che lo compongono (Sez. 1, n. 6072 del 24/05/2017, dep. 2018, Di Perna, Rv. 272101).
Nel caso di specie, il giudice dell’esecuzione ha evidenziato in modo ineccepibile che il condannato in relazione alle sentenze di cui ai nn. 1 e 2 del provvedimento di cumulo aveva espiato, compresa la liberazione anticipata, anni 9 mesi 8 di reclusione, per la condanna di cui al punto n. 2, aveva beneficiato dell’indulto nella misura di mesi 6 giorni 12 di reclusione e per le condanne di cui ai numeri 4 e 5 aveva espiato anni 5 di reclusione, sicché il residuo pena da espiare, decorrente dalla data dell’arresto avvento il 17.7.2019, andava fissato alla data del 29.5.2036 e non al 16.11.2039, per come determinato erroneamente dal Procuratore generale: infondata è quindi la lamentela del ricorrente sul punto dell’indicazione della data di fine pena, che era stata corretta dallo stesso giudice dell’esecuzione.
I reati di cui ai n. 1, 2, 3, e 6 risultavano commessi in epoche (1996, 1991, 2005 e 1991) antecedenti il primo periodo di carcerazione, sicché erano ricompresi nel primo cumulo parziale, mentre quelli delle sentenze n. 4 e 5 risultavano commessi nel 2013 e 2014, quindi anteriormente la data del 17.7.2019, epoca del secondo periodo di carcerazione (per l’omicidio di NOME NOME), sicché erano stati correttamente ricompresi nel secondo cumulo parziale.
In definitiva, rileva il Collegio che il giudice dell’esecuzione ha pienamente rispettato il divieto di cui all’art. 657, comma 4, cod. proc. pen., con la formazione
di cumuli parziali, raggruppanti, da un lato, le pene relative ai reati commessi sino alla data di quello cui si riferisce la pena parzialmente espiata (con applicazione del criterio moderatore dell’art. 78 cod. pen. e detrazione dal risultato del presofferto) e, dall’altro, la pena residua e le pene inflitte per i reati commessi in seguito, sino alla data di inizio della successiva detenzione (Sez. 1, n. 17503 del 13/02/2020, Fontana, Rv. 279182).
In forza di quanto sopra, il ricorso deve essere rigettato. Ne consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 12/03/2024