Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 26133 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 1 Num. 26133 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 12/06/2025
PRIMA SEZIONE PENALE
NOME CASA
COGNOME
ha pronunciato la seguente sul ricorso proposto da:
avverso l’ordinanza del 20/03/2025 del TRIB. SORVEGLIANZA di SASSARI
udita la relazione del Consigliere NOME COGNOME
Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di sorveglianza di Sassari ha dichiarato inammissibile il reclamo presentato da NOME COGNOME detenuto con fine pena attualmente fissato al 20/09/2038, avverso il provvedimento adottato dal Magistrato di sorveglianza di Sassari il 23/10/2024, mediante il quale era stata disattesa l’istanza di permesso premio, avanzata unitamente alla previa domanda di scomputo della porzione di pena riferita ai reati ostativi ex art. 4bis legge 26 luglio 1975, n. 354. Il condannato, infatti, aveva rappresentato di aver già scontato la quota di pena, pari ad anni cinque e mesi quattro di reclusione, inerente al reato ostativo di cui all’art. 74 d.P.R. 09 ottobre 1990, n. 309, con aggravante mafiosa, nonchØ il segmento di pena relativo ai reati comuni ed aveva segnalato, inoltre, di aver seguito un soddisfacente percorso di recupero, tenendo sempre una regolare condotta carceraria, tanto da meritare la liberazione anticipata.
Il ricorso Ł da dichiarare inammissibile.
L’ordinanza impugnata – stando all’ipotesi difensiva alla quale si Ł fatto cenno in parte narrativa – sarebbe frutto di diversi errori di calcolo, brevemente sintetizzabili nel modo che segue:
sostiene la difesa che la somma delle singole pene riportate dal ricorrente non sia pari a oltre ventinove anni di reclusione, come ritenuto dal Tribunale di sorveglianza, bensì ad anni ventisei e mesi sei, poi rideterminata, previo riconoscimento del vincolo della continuazione,
– Relatore –
Sent. n. sez. 2058/2025
CC – 12/06/2025
in anni diciassette, mesi quattro e giorni venti di reclusione;
– nel provvedimento di cumulo in esecuzione, si sottolinea nel ricorso, sono ricomprese le pene inflitte mediante trentaquattro sentenze di condanna, ma non tutte sono aggravate dalla recidiva ex art. 99 comma 4 cod. pen., come invece riportato nell’ordinanza impugnata; – si duole la difesa essere errato il computo della parte di pena che occorre espiare, al fine di poter accedere al beneficio, visto che lo si quantifica in anni sette, mesi sette e giorni quindici di reclusione e non – come invece si sarebbe dovuto correttamente fare – in anni sette e mesi uno di reclusione.
La considerazione di ordine generale che si impone, dunque, attiene alla natura stessa dell’impugnazione ora al vaglio di questo Collegio. La difesa, infatti, segnala in maniera insistita la sussistenza di pretesi errori, asseritamente riscontrabili nel computo della pena da espiare da parte del ricorrente; trascura, però, di indicare – con il dovuto dettaglio e la necessaria precisione – quando COGNOME avrebbe effettivamente espiato la quota di pena legittimante il suo accesso al permesso premio. L’unico passaggio in cui viene affrontato il tema – in maniera indefinita, nonchØ ricorrendo ad affermazioni di tenore marcatamente assertivo – si trova nella parte finale dell’ultima pagina, laddove la difesa si limita a sostenere, in modo estremamente vago, che ‘erroneamente si Ł ritenuto che il COGNOME NOME non abbia espiato la quota di pena per accedere al beneficio richiesto’.
Già in ragione di tali rilievi, di carattere preliminare, il ricorso si presta ad essere valutato in termini di forte genericità.
Sostiene, poi, la difesa che la decisione assunta dal Tribunale di sorveglianza sia ulteriormente fallace, laddove ha indicato la pena complessiva da espiare in oltre anni ventinove anni di reclusione, ammontando la stessa, in realtà, ad anni ventisei e mesi sei di reclusione. Di tale presunto errore di calcolo, però, non viene minimamente chiarita la rilevanza nel caso di specie. La pena di anni quindici e mesi cinque di reclusione, infatti, Ł stata rideterminata attenendosi al principio dettato dall’art. 78 cod. pen., secondo il quale la pena complessiva da espiare, derivante dal cumulo di singole pene concorrenti derivanti da una pluralità di reati ex art. 73 cod. pen., non può comunque eccedere il quintuplo della sanzione piø grave; infatti, la pena di anni quindici e mesi cinque Ł stata ottenuta calcolando il quintuplo della piø grave delle singole pene inflitte al condannato, che era stata pari ad anni tre e mesi uno di reclusione, inflitta con la sentenza del Tribunale di Firenze del 13/12/2017.
Anche laddove la pena fosse stata quantificata in ventisei anni e sei mesi, oppure all’esito del riconoscimento della continuazione – in diciassette anni, quattro mesi e venti giorni, essa sarebbe risultata comunque superiore ai quindici anni e cinque mesi determinati, quale quintuplo della pena riportata per il reato piø grave, ad opera del Tribunale di sorveglianza ai sensi dell’art. 78 cod. pen.
La base logico-giuridica da cui muove l’ordinanza, dunque, non viene decisivamente contrastata dal preteso errore denunciato dal ricorrente.
Giova infatti osservare come – laddove venga dedotta l’invalidità, o anche il travisamento di un atto di rilevanza probatoria – non basti invocare l’espunzione delle relative risultanze dall’orizzonte cognitivo e valutativo del giudice, essendo ben possibile che l’elemento probatorio illegittimamente assunto, o magari erroneamente percepito, non infirmi in maniera irreversibile la saldezza logica dell’impianto giustificativo, posto a sostegno del decisum , residuando comunque argomentazioni di inconfutabile spessore concettuale. L’espunzione dallo spettro valutativo del giudice di un determinato elemento, quindi, non determina ipso facto l’automatica caducazione della decisione, dovendosi, in ogni caso,
sottoporre quest’ultima alla c.d. “prova di resistenza”, in modo da apprezzare il grado di rilevanza dei residui elementi, i quali ben potrebbero essere da soli sufficienti a giustificare il raggiungimento del medesimo esito.
Spetta al ricorrente argomentare adeguatamente, allora, circa l’incidenza dell’errore percettivo sulla solidità dell’impianto decisorio (si veda Sez. 6, n. 10795 del 16/02/2021, F., Rv. 281085, a mente della quale: ‹‹ Il ricorso per cassazione con cui si lamenta il vizio di motivazione per travisamento della prova, non può limitarsi, pena l’inammissibilità, ad addurre l’esistenza di atti processuali non esplicitamente presi in considerazione nella motivazione del provvedimento impugnato ovvero non correttamente od adeguatamente interpretati dal giudicante, quando non abbiano carattere di decisività, ma deve, invece: a) identificare l’atto processuale cui fa riferimento; b) individuare l’elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta incompatibile con la ricostruzione svolta nella sentenza; c) dare la prova della verità dell’elemento fattuale o del dato probatorio invocato, nonchØ della effettiva esistenza dell’atto processuale su cui tale prova si fonda; d) indicare le ragioni per cui l’atto inficia e compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l’intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale incompatibilità all’interno dell’impianto argomentativo del provvedimento impugnato››; negli stessi termini si era espressa anche Sez. 6, n. 36512 del 16/10/2020, COGNOME, Rv. 280117).
Nel caso in disamina, la doglianza sopra sviscerata Ł invece restata sostanzialmente fine a sØ stessa, assumendo così – del tutto impropriamente – un tenore autoreferenziale ed immediatamente decisivo.
A mezzo della seconda e della terza doglianza, rappresenta poi la difesa come all’interno del cumulo operato dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Padova siano comprese le pene riportate dal COGNOME in relazione a trentaquattro condanne, non tutte contenenti il riconoscimento della recidiva; ciò rileverebbe – stando alla prospettazione contenuta nell’impugnazione – al fine di stabilire se effettivamente sia necessaria, nel caso di specie, l’espiazione di almeno metà della pena, quale soglia di accesso agli invocati benefici.
5.1. La regola generale alla quale attenersi, però, Ł nel senso che il cumulo delle pene concorrenti viene mantenuto e non si scioglie, allorquando ne derivino per il condannato effetti vantaggiosi (Sez. U., n. 7930 del 21/7/1995, Zouine, rv. 201549; Corte Cost. 5 luglio 1973, n. 108 e Corte Cost., 7 luglio 1976, n. 154); laddove si stia eseguendo un provvedimento di unificazione di pene concorrenti, poi, deve procedersi allo scioglimento del cumulo stesso, nel caso in cui si controverta circa l’ammissibilità della domanda di concessione di un beneficio penitenziario, il quale trovi ostacolo nell’entità della pena complessiva determinata dal cumulo (Sez. 1, n. 1655 del 22/12/2014, COGNOME, Rv. 261986; Sez. 1, n. 53781 del 22/12/2014, COGNOME, Rv. 261582; Sez. 1, n. 3130 del 19/12/2014, COGNOME, Rv. 262062).
5.2. Anche con riferimento a tali profili di censura, non viene chiarita l’eventuale incidenza che potrebbe avere – in relazione allo specifico thema decidendum dedotto dalla difesa – una considerazione eventualmente errata, perchØ indiscriminata, ad opera del Tribunale di sorveglianza, di tutti i reati avvinti dalla continuazione quali fatti aggravati dalla recidiva qualificata.
L’effetto, quanto ai reati sub 1), consisterebbe in realtà nell’abbassamento della pena complessiva, da prendere in considerazione quale quota di accesso al permesso premio; tale soglia, infatti, passerebbe da anni sette, mesi sette e giorni quindici di reclusione ad anni sette e mesi uno di reclusione.
Si premette che il ricorrente, però, tenta di spiegare in modo molto involuto – finendo
per dipanare, sul punto specifico, un ragionamento di natura criptica e di davvero ardua comprensibilità – in che modo auspichi venga applicato il richiamato principio della ‘proporzionalità algebrica’. Giova anche aggiungere che tale percorso concettuale non collima con il dictum di Sez. U n. 30753 del 15/12/2022, dep. 2023,COGNOME, Rv. 284820 01, a mente della quale: ‹‹In presenza di un provvedimento di unificazione di pene concorrenti, che abbia richiesto l’applicazione del criterio moderatore di cui all’art. 78 cod. pen. per il superamento della soglia massima di trenta anni di reclusione e che ricomprenda anche una condanna per reato ostativo alla concessione dei benefici penitenziari, lo scioglimento del cumulo a detti fini va effettuato avendo riguardo alla pena relativa al reato ostativo nella sua entità originaria››. Fedele all’impostazione che connota l’intera impugnazione, però, ancora una volta la difesa manca di chiarire se – e in che termini – la riduzione pari a mesi sei e giorni quindici, relativa ai reati comuni indicati sub 1), possa incidere in modo decisivo sul calcolo della quota di pena occorrente in vista dell’accesso al beneficio.
La quarta doglianza presenta un substrato contenutistico alquanto oscuro e, comunque, viene delineata in modo vago e indefinito. Anche seguendo il calcolo prospettato dalla difesa, comunque, la quota di pena da espiare sarebbe comunque pari a nove anni e quindi, in ogni caso, eccederebbe la soglia di anni sette, mesi sette e giorni quindici, costituenti la metà della pena di anni quindici e mesi cinque, calcolata ai sensi dell’art. 78 cod. pen.
Con ulteriore censura, la difesa si duole della sussistenza di un errore di tipo aritmetico; tale affermazione, però, Ł corredata della sola citazione delle norme di riferimento, ossia degli artt. 30ter e 30quater Ord. pen., senza che venga consequenzialmente chiarito – previo esame dei singoli passaggi motivazionali seguiti dal Tribunale di sorveglianza – in quale parte dell’avversata decisione si annidi il denunciato errore.
Secondo quanto evincibile dagli atti posti a disposizione di questa Corte, i singoli addendi della pena – come attualmente determinata – sono costituiti:
dai reati ‘comuni’ del gruppo riportato sub 1), per i quali Ł stata determinata la pena di anni quindici e mesi cinque di reclusione che, ridotta della metà, porta alla determinazione della pena di anni sette, mesi sette e giorni quindici;
dal reato ‘comune’ indicato sub 2), in relazione al quale COGNOME ha riportato condanna alla pena di anni quattro di reclusione, ridotta in ragione di 1/3;
il reato ‘ostativo’ sub 3), oggetto di condanna alla pena di anni cinque e mesi quattro di reclusione.
Secondo la prospettazione difensiva, dovrebbe essere considerata piø bassa la quota di pena utile, ai fini dell’accesso al permesso premio.
E infatti, la somma delle sopra indicate pene – dalla quale Ł necessario muovere, ai fini dell’individuazione della pena complessiva da espiare, per accedere all’invocato beneficio – risulterebbe dall’addizione delle due frazioni, rispettivamente pari ad anni sette, mesi sette e giorni quindici di reclusione, ad anni uno e mesi quattro dall’addizione delle due frazioni, rispettivamente pari ad anni sette, mesi sette e giorni quindici di reclusione e, infine, ad anni cinque e mesi quattro di reclusione. Il totale, però, non ammonta ad anni quattordici, mesi otto e giorni quindici di reclusione, bensì ad anni quattordici, mesi tre e giorni quindici, cosa che comporterebbe la riduzione della quota di pena necessaria per l’accesso al permesso premio in ragione di cinque mesi.
L’errore commesso dal Tribunale di sorveglianza, sotto tale profilo, si annida dunque
nell’aver ridotto della metà non soltanto la pena complessiva risultante dalle pene comminate in relazione ai reati di cui all’insieme sub 1), bensì anche quella del reato sub 2); quest’ultima, infatti, sarebbe stata da ridurre in ragione di 1/3.
Viene poi denunciato un errore materiale, consistente nell’errata indicazione della data di inizio della carcerazione, che sarebbe stata da far decorrere, secondo la difesa, dal 21/02/2016 e non, come fatto, dal 02/11/2016.
6.1. Anche con riguardo a tale segmento del ricorso, però, la difesa manca di spiegare compiutamente la asserita decisività dell’eventuale errore, così reiterando una vaghezza nelle contestazioni che percorre come una corrente invisibile l’intera trama argomentativa sulla quale poggia l’impugnazione. Come avrebbe dovuto fare con riferimento agli ulteriori pretesi errori, pure oggetto di segnalazione, il ricorrente avrebbe dovuto completare la sopra riassunta doglianza, mediante una precisa indicazione della eventuale rilevanza della stessa; avrebbe avuto l’onere di precisare, quindi, in base alla proposta retrodatazione dell’inizio della decorrenza della pena – dal 02/11/2016 al 21/02/2016 quando risulterebbe espiata la quota di pena occorrente per l’accesso al beneficio.
6.2. All’interno del sesto punto del ricorso, infine, Ł coltivata una doglianza ulteriore, che inerisce al mancato calcolo di un presofferto pari ad anni uno, mesi sette e giorni nove di reclusione, che si assume emergere ‘nei provvedimenti indicati della Procura di Padova’ e ‘nel provvedimento emesso dalla Procura di Padova in data 6.5.2024’.
Anche su tale punto specifico, però, l’impugnazione pecca di una marcata genericità, atteso che – di tale omesso computo – non viene evidenziata la decisività; e dunque, pur se si volesse elidere dal cumulo in espiazione una porzione di pena pari ad anni uno, mesi sette e giorni di reclusione, comunque rimarrebbe indefinita l’indicazione attinente al momento dell’avvenuta espiazione della quota di pena occorrente, ai fini dell’accesso al beneficio.
Della medesima carenza, del resto, soffre la doglianza di tenore esattamente analogo, riferita al mancato computo del periodo di ottocentodieci giorni di liberazione anticipata.
Volendo riassumere – e vagliare compiutamente – il contenuto delle critiche difensive, può allora precisarsi quanto segue:
attenendosi ai calcoli contenuti nell’ordinanza impugnata, la decorrenza della quota di pena da espiare dovrebbe esser fissata al 2 novembre 2016, per cui – essendo da scontare la pena di anni quattordici, mesi otto e giorni quindici di reclusione – non sarebbe stata ancora raggiunta la quota necessaria per l’accesso all’invocato beneficio (ciò in quanto, a dire del Tribunale di sorveglianza, risulterebbe espiato un periodo pari a ‘poco piø di 9 anni’);
non Ł possibile pervenire a difformi lumi, aggiunge il Tribunale di sorveglianza, applicando la (doverosa) riduzione conseguente alla liberazione anticipata; e infatti, gli invocati ottocentodieci giorni da detrarre corrispondono ad anni due, mesi due e giorni venti di reclusione e – una volta dedotto tale periodo – la quota di pena necessaria, in vista dell’accesso al permesso premio, scenderebbe ad anni dodici, mesi cinque e giorni venticinque (periodo ad oggi non ancora espiato);
anche a voler computare l’errore aritmetico sopra evidenziato, tale porzione di pena scenderebbe comunque ad anni dodici e giorni venticinque.
¨ ora possibile porsi nell’ottica difensiva, immaginando che gli errori denunciati siano reali e – da tale quota di pena – elidere mesi sei, rispetto alla pena indicata in relazione ai reati del gruppo 1), così giungendosi ad anni undici, mesi sei e giorni venticinque di reclusione; anche laddove si volesse decurtare – come proposto dalla difesa – il sopra indicato presofferto, pari ad anni uno, mesi sette e giorni nove, si giungerebbe alla pena di anni nove, mesi undici e
giorni sedici.
Tanto premesso, si rileva come il detenuto abbia inoltrato l’istanza de qua il giorno 18/10/2024, per cui a tale data deve essere calcolata la quota di pena espiata. E allora, facendo decorrere la pena dal 02/11/2016, risulterebbero espiati – al 18/10/2024 – poco meno di otto anni di pena e non ‘poco piø di 9 anni’, secondo quanto erroneamente affermato dal Tribunale di sorveglianza. Muovendo invece, come pretenderebbe la difesa, dal 21/02/2016, al 18.10.2024 COGNOME avrebbe scontato poco piø di anni otto e mesi otto.
In entrambi i casi, si otterrebbe un segmento di pena che, comunque, risulterebbe ampiamente inferiore, rispetto al periodo di anni nove, mesi undici e giorni sedici, ottenuti secondo il calcolo prospettato dalla difesa.
Il ricorso, nel complesso, Ł estremamente generico, in quanto omette di spiegare la decisività degli errori segnalati, in relazione alla entità della quota di pena utile per accedere al permesso premio; parimenti, la difesa manca di indicare – pur se magari in maniera approssimativa – la data nella quale il condannato avrebbe terminato di espiare tale quota di pena.
La difesa, in conclusione, non riesce a oltrepassare la soglia delle mere doglianze indefinite e confutative. La mancanza di specificità del motivo, invero, dev’essere apprezzata non solo per la sua genericità, secondo il parametro della indeterminatezza, bensì anche per la mancanza di correlazione, tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell’art. 591 comma 1 lett. c), all’inammissibilità (fra tante, si vedano Sez. 4, n. 19364 del 14/03/2024, COGNOME, Rv. 286468; Sez. 6, n. 23014 del 29/04/2021, B., Rv. 281521; Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, COGNOME, Rv. 277710).
Sebbene esso sia restato ininfluente nella concreta fattispecie, resta solo da correggere l’errore aritmetico in cui Ł incorso il Tribunale di sorveglianza, sopra già specificato, in sede di individuazione della pena complessiva da espiare, ai fini dell’accesso ai permessi.
Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile; segue ex lege la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, oltre che di una somma – che si stima equo fissare in euro tremila – in favore della Cassa delle ammende (non ravvisandosi elementi per ritenere il ricorrente esente da colpe, nella determinazione della causa di inammissibilità, conformemente a quanto indicato da Corte cost., sentenza n. 186 del 2000).
P.Q.M
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così Ł deciso, 12/06/2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
NOME COGNOME