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Cryptophone: quando le chat sono prova nel processo

La Corte di Cassazione ha esaminato un ricorso contro una misura di custodia cautelare per narcotraffico e associazione a delinquere. Il caso si fondava su prove ottenute da una piattaforma di cryptophone tramite un Ordine Europeo di Indagine. La difesa sosteneva l’inutilizzabilità di tali prove, ritenendole frutto di intercettazioni indiscriminate, e contestava l’identificazione dell’indagato. La Corte ha rigettato il ricorso, confermando la piena utilizzabilità delle conversazioni criptate e la validità dell’identificazione basata su solidi indizi logici desunti dal contenuto dei messaggi, in linea con i recenti principi stabiliti dalle Sezioni Unite.

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Pubblicato il 25 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Cryptophone e Processo Penale: Le Chat Criptate Sono Prova Valida?

L’uso di sistemi di comunicazione criptati è una realtà sempre più diffusa nelle attività criminali complesse. Questo pone sfide significative per le autorità inquirenti e solleva importanti questioni giuridiche sull’utilizzabilità delle prove raccolte. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato proprio il tema delle chat su cryptophone, chiarendo i confini della loro ammissibilità nel processo penale italiano, specialmente quando i dati provengono da indagini estere. Analizziamo questa importante decisione.

I Fatti del Caso: Traffico di Droga e Comunicazioni Segrete

Il caso riguarda un uomo sottoposto a custodia cautelare in carcere con l’accusa di aver partecipato a una vasta associazione transnazionale dedita al narcotraffico e di essere coinvolto in numerosi episodi di acquisto e cessione di ingenti quantità di cocaina. L’impianto accusatorio si basava in larga parte sulle conversazioni intercorse su una nota piattaforma di cryptophone, i cui dati erano stati acquisiti dall’autorità giudiziaria francese e trasmessi in Italia tramite un Ordine Europeo di Indagine (OEI).

L’Utilizzo delle Prove da Cryptophone: I Motivi del Ricorso

La difesa dell’indagato ha presentato ricorso in Cassazione, contestando l’ordinanza del Tribunale del Riesame su quattro punti principali:

1. Inutilizzabilità delle prove: Secondo i legali, i dati trasmessi dalla Francia non erano semplici “dati conservati”, ma vere e proprie intercettazioni. L’acquisizione sarebbe avvenuta “a bersaglio indiscriminato”, colpendo migliaia di utenti senza distinzione, in violazione dei principi fondamentali. Inoltre, mancava la prova di un’autorizzazione giudiziaria per una parte del periodo di indagine.
2. Errata identificazione: La difesa sosteneva che non vi fosse certezza sull’identità dell’utilizzatore dell’utenza criptata attribuita al proprio assistito, lamentando la mancanza di riscontri tecnici come tabulati telefonici e dati delle celle.
3. Insussistenza dell’associazione: Si contestava la configurabilità del reato associativo, ritenendo che mancassero le prove di un’adesione stabile e consapevole al sodalizio criminale.
4. Mancanza di esigenze cautelari: Infine, si deduceva che il pericolo di reiterazione del reato fosse stato desunto solo dalla gravità astratta dei reati, senza elementi concreti.

La Decisione della Cassazione sulle Chat da Cryptophone

La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso, ritenendo infondati tutti i motivi e offrendo chiarimenti cruciali sull’uso delle prove da cryptophone.

L’ammissibilità delle prove dall’estero

Richiamando le recenti sentenze delle Sezioni Unite, la Corte ha ribadito che i dati acquisiti da un’autorità estera e trasmessi tramite OEI sono pienamente utilizzabili. L’eccezione scatta solo se l’acquisizione all’estero ha comportato una violazione dei diritti fondamentali della persona. Tuttavia, l’onere di dimostrare tale violazione grava sulla difesa, che deve fornire elementi specifici. La semplice affermazione che l’indagine fosse “a bersaglio indiscriminato” non è sufficiente, soprattutto se, come nel caso francese, esistevano garanzie procedurali contro abusi e arbitri.

L’identificazione dell’utilizzatore

La Cassazione ha ritenuto la motivazione del Tribunale del Riesame impeccabile. L’identificazione dell’indagato è stata confermata non da dati tecnici, ma da una pluralità di indizi gravi, precisi e concordanti desunti dal contenuto stesso dei messaggi. Riferimenti a eventi personali e verificabili (la data del matrimonio, il giorno del compleanno, il nome di un fratello, il coinvolgimento in una rissa in una data precisa) sono stati considerati “insuperabili” e tali da rendere irrilevante l’assenza di altri riscontri tecnici.

La prova dell’associazione a delinquere

Anche su questo punto, il ricorso è stato respinto. Secondo la Corte, il Tribunale ha correttamente evidenziato il ruolo stabile e predeterminato dell’indagato all’interno dell’organizzazione (custode della droga in arrivo e responsabile della consegna ai corrieri). La sua consapevolezza di far parte del sodalizio è stata logicamente desunta dalla gestione continuativa di enormi quantitativi di stupefacenti e dall’uso di strumenti di comunicazione dedicati e criptati, tipici di un’organizzazione strutturata.

le motivazioni

La sentenza consolida un principio fondamentale nel panorama della procedura penale moderna: le prove digitali ottenute tramite cooperazione giudiziaria europea sono, per regola generale, valide. La Corte ha chiarito che i dati provenienti da piattaforme di cryptophone, anche se frutto di complesse operazioni tecniche assimilabili a intercettazioni, sono utilizzabili nel processo italiano. Il limite invalicabile è la tutela dei diritti fondamentali, ma una presunta violazione non può essere genericamente affermata; deve essere specificamente provata dalla difesa. Inoltre, la decisione valorizza la prova logica e circostanziale. In un contesto dove l’anonimato tecnologico è una sfida costante, la Corte afferma che l’identità di una persona può essere accertata con un grado di certezza sufficiente per le misure cautelari attraverso l’analisi incrociata del contenuto delle comunicazioni e dei fatti noti della vita dell’indagato.

le conclusioni

Questa pronuncia ha implicazioni pratiche significative. In primo luogo, stabilisce che la difesa non può limitarsi a contestare la mole di un’indagine estera per chiederne l’inutilizzabilità, ma deve dimostrare vizi concreti nelle procedure che hanno leso diritti fondamentali. In secondo luogo, rafforza il valore della prova indiziaria nell’era digitale, riconoscendo che le conversazioni, anche se anonime, lasciano tracce e dettagli personali che possono portare a un’identificazione certa. Per gli operatori del diritto, ciò significa che l’analisi del contenuto delle comunicazioni digitali assume un’importanza cruciale, potendo superare, in termini di forza probatoria, la mancanza di dati tecnici tradizionali.

Le conversazioni su un cryptophone, acquisite da un’autorità straniera, possono essere usate in un processo italiano?
Sì. La Corte di Cassazione conferma che sono utilizzabili se trasmesse tramite Ordine Europeo di Indagine. Diventano inutilizzabili solo se la difesa fornisce la prova specifica che la loro acquisizione all’estero abbia comportato una violazione dei diritti fondamentali della persona.

Come si può identificare con certezza chi usa un’utenza cryptophone anonima?
L’identificazione può essere raggiunta attraverso una pluralità di elementi indiziari gravi, precisi e concordanti desunti dal contenuto stesso dei messaggi. Dettagli personali verificabili (date di compleanni, matrimoni, nomi di familiari, coinvolgimento in eventi specifici) possono costituire una prova logica ritenuta sufficiente e persino “insuperabile”.

L’acquisizione di dati da un gran numero di utenze è sempre illegale perché “indiscriminata”?
No. Secondo la Corte, il coinvolgimento di un elevato numero di soggetti non rende di per sé l’indagine illegale. L’acquisizione è illegittima solo se viene dimostrato che durante le fasi di adozione, esecuzione e controllo della misura non sono state previste efficaci garanzie contro rischi di abusi e arbitri. L’onere di provare tale abuso spetta alla difesa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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