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Cronaca giudiziaria: i limiti del giornalista

La Corte di Cassazione ha annullato una condanna per diffamazione a carico di una giornalista e del direttore di un quotidiano. La sentenza stabilisce che nell’ambito della cronaca giudiziaria, la verità della notizia va valutata sulla base degli atti di indagine disponibili al momento della pubblicazione, e non sull’esito finale del processo. Un’eventuale successiva assoluzione della persona oggetto dell’articolo non rende, di per sé, il pezzo diffamatorio se questo riportava fedelmente l’ipotesi accusatoria dell’epoca.

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Pubblicato il 9 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Cronaca Giudiziaria e Verità della Notizia: Quando un Giornalista Non Commette Diffamazione

Il confine tra il diritto di informare e il reato di diffamazione è spesso sottile, specialmente quando si parla di cronaca giudiziaria. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 20091/2024) ha fornito chiarimenti fondamentali su questo delicato equilibrio, annullando la condanna inflitta a una giornalista e al direttore responsabile di un noto quotidiano. Il caso verteva su un articolo che riportava dettagli di un’inchiesta penale a carico di un magistrato, successivamente prosciolto. La Suprema Corte ha stabilito un principio cardine: la verità di una notizia giornalistica basata su atti di indagine va misurata al momento della sua pubblicazione, non all’esito finale del procedimento.

I Fatti del Caso: La Notizia e l’Accusa di Diffamazione

Una giornalista pubblicava un articolo su un’indagine coordinata da una Procura della Repubblica a carico di un magistrato per corruzione in atti giudiziari. L’articolo, basandosi su intercettazioni telefoniche, riportava due circostanze principali:
1. Una presunta frase pronunciata dal magistrato al marito durante una camera di consiglio, che sembrava alludere a un esito favorevole di una decisione in cambio di un incarico per il consorte.
2. Il contenuto di un’altra conversazione, in cui si discuteva di possibili incarichi futuri, attribuita erroneamente al magistrato mentre l’interlocutrice era in realtà la sorella del marito.

Sulla base di questi fatti, sia la giornalista che il direttore del giornale venivano condannati in primo e secondo grado per diffamazione aggravata. I giudici di merito ritenevano che l’articolo contenesse fatti non veritieri, in quanto la prima frase non era mai stata pronunciata testualmente e la seconda conversazione era stata attribuita alla persona sbagliata.

L’influenza dell’assoluzione successiva nella valutazione dei giudici

Un elemento che ha pesantemente influenzato i giudizi di primo e secondo grado è stato l’esito del procedimento penale a carico del magistrato, che si era concluso con una piena assoluzione. I giudici avevano valutato la condotta della giornalista ex post, ovvero alla luce del fatto che le accuse si erano poi rivelate infondate. Questo approccio, secondo la Cassazione, è stato un errore fondamentale.

La cronaca giudiziaria e il principio di verità

La Suprema Corte, accogliendo il ricorso degli imputati, ha ribaltato la decisione. I giudici hanno chiarito che, nell’esercizio del diritto di cronaca giudiziaria, il requisito della verità della notizia deve essere rapportato agli sviluppi delle indagini e agli atti processuali esistenti al momento in cui l’articolo viene scritto e pubblicato. Non si può chiedere a un giornalista di dimostrare la fondatezza nel merito delle accuse formulate da una Procura, ma solo di riportare fedelmente il contenuto degli atti investigativi. Valutare la notizia alla luce dell’esito processuale finale significherebbe porre un onere impossibile sul giornalista e paralizzare di fatto l’informazione su vicende giudiziarie.

Le motivazioni

La Corte ha specificato che la giornalista si era limitata a riportare, in forma sintetica, l’ipotesi accusatoria della Procura, sollevando un dubbio sulla consapevolezza del magistrato riguardo alle presunte manovre del marito, senza mai affermare una certezza di colpevolezza. Questo modo di esporre i fatti, formulando un dubbio anziché una condanna, rientra pienamente nei canoni del corretto esercizio del diritto di cronaca. Anche l’aver sintetizzato le intercettazioni, anziché riportarle integralmente, è stato ritenuto legittimo, purché il nucleo essenziale del loro significato non venga stravolto.

Per quanto riguarda l’errata attribuzione di una delle conversazioni, la Corte l’ha classificata come un’inesattezza marginale. Tale errore, nel contesto generale dell’articolo e delle altre informazioni corrette riportate (come la conoscenza da parte del magistrato delle ambizioni del marito), non era tale da modificare la struttura essenziale della notizia e il suo impatto sulla reputazione della persona offesa, già coinvolta in un procedimento penale. Di conseguenza, venendo meno il reato per la giornalista, è stata esclusa anche la responsabilità per omesso controllo del direttore responsabile.

Le conclusioni

Questa sentenza riafferma un principio cruciale per la libertà di stampa e il giornalismo d’inchiesta. Stabilisce che la legittimità di un articolo di cronaca giudiziaria non dipende dall’esito finale del processo, ma dalla sua fedele corrispondenza con gli atti d’indagine al momento della pubblicazione. Si protegge così il diritto/dovere del giornalista di informare l’opinione pubblica su questioni di rilevante interesse, senza dover attendere le sentenze definitive, che possono arrivare dopo anni. La decisione sottolinea inoltre che piccole inesattezze, se non alterano il nucleo della notizia, non sono sufficienti a integrare il reato di diffamazione, garantendo un margine di operatività essenziale per chi svolge questo mestiere.

Quando un articolo di cronaca giudiziaria può essere considerato veritiero?
Un articolo di cronaca giudiziaria è considerato veritiero quando il suo contenuto corrisponde fedelmente agli atti del procedimento (come le ipotesi accusatorie della Procura o le informative di polizia) disponibili al momento della sua pubblicazione. Non è richiesto al giornalista di provare la fondatezza definitiva delle accuse.

L’assoluzione successiva della persona di cui si è parlato rende automaticamente diffamatorio l’articolo?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che l’esito assolutorio di un processo è un evento successivo che non può essere utilizzato per valutare retroattivamente la correttezza dell’operato del giornalista. La valutazione deve essere fatta sulla base delle informazioni disponibili quando l’articolo è stato scritto.

Un errore secondario in un articolo, come sbagliare l’identità di un interlocutore in una telefonata, è sufficiente per configurare la diffamazione?
No, se l’errore è modesto e marginale e non modifica la struttura essenziale del fatto riportato. La Corte ha ritenuto che inesattezze che non alterano la portata informativa complessiva dell’articolo rispetto al soggetto a cui sono riferite non fanno venir meno la scriminante del diritto di cronaca.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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