Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 20681 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 20681 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 05/03/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a MILANO il 17/05/1972 NOME COGNOME nato a ROCCHETTA E CROCE il 06/01/1957
avverso la sentenza del 27/06/2024 della CORTE APPELLO di NAPOLI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendoehe sia dichiarata l’inammissibilità del ricorso, come da requisitoria depositata.
udito l’avv. COGNOME, del foro di ROMA, quale sostituto processuale, per delega scritta, che deposita, dell’avv. COGNOME, del foro di SANTA MARIA COGNOME, in difesa della parte civile COGNOME che conclude riportandosi alle memorie già depositate e alle conclusioni che deposita unitamente alla nota spese. udito l’avvocato COGNOME del foro di ROMA, quale sostituto processuale, per delega orale, dell’avvocato COGNOME, del foro di SANTA MARIA COGNOME, in difesa di COGNOME NOME COGNOME e COGNOME che conclude riportandosi ai motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 27 giugno 2024 la Corte di appello di Napoli, in riforma di quella emessa il 28 marzo 2022 dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, ha, tra l’altro, dichiarato non doversi procedere nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME in ordine al reato, loro ascritto al capo F), di lesioni colpose aggravate perché estinto per intervenuta prescrizione ed ha, di conseguenza, rideterminato in otto mesi di reclusione la pena loro inflitta – e condizionalmente sospesa per il solo Geremia – per il delitto di crollo di costruzioni colposo, con conferma delle statuizioni civili e condanna degli imputati alla rifusione, in favore della parte civile, delle spese di lite relative al secondo grado di giudizio.
Il procedimento nell’ambito del quale sono state emesse le menzionate sentenze è scaturito dal parziale cedimento, avvenuto in Sparanise l’8 agosto 2014, di un immobile insistente sul INDIRIZZO al tempo interessato da lavori di messa in sicurezza, affidati all’impresa RAGIONE_SOCIALE, legalmente rappresentata da NOME COGNOME, e diretti da NOME COGNOME.
Le predette opere si erano rese necessarie in conseguenza dell’adozione, da parte della competente autorità comunale, di apposite, successive ordinanze sindacali, la più recente della quali attestante la sussistenza del concreto pericolo del collasso della struttura, cui i proprietari dello stabile, i germani COGNOME, avevano dato esecuzione conferendo incarico al professionista ed all’impresa sopra indicati.
Stando alla ricostruzione della vicenda concordemente avallata dai giudici di merito, il crollo – a seguito del quale NOME COGNOME il quale, in quegli attimi, percorreva, a bordo della propria autovettura, la pubblica via, aveva riportato lesioni personali – aveva interessato un cantiere nel quale non erano assicurate le previste misure di sicurezza, quali l’installazione di transenne e ponteggi a protezione del fabbricato.
Il collasso, ampiamente prevedibile già al tempo dell’emissione dell’ultima ordinanza sindacale, che conteneva un eloquente riferimento alla «evoluzione del quadro fessurativo», era stato reso possibile dalla scorretta ed incompleta esecuzione delle opere di demolizione, non preceduta né accompagnata dall’adempimento delle prescrizioni previste dalla normativa di settore, ivi comprese l’interdizione della circolazione e del transito nell’area sottostante e la redazione di idoneo piano di sicurezza, che avrebbe dovuto incentrarsi sulla procedura di abbattimento e, segnalatamente, sull’allestimento dei ponteggi a protezione del fabbricato all’atto dello smontaggio della copertura e dei solai.
La Corte di appello, nel replicare alla censura mossa, rispetto alla sentenza di primo grado, da NOME COGNOME con riferimento alla sua responsabilità nell’accaduto, che l’imputato aveva ricusato sul rilievo di avere egli demandato al subappaltatore COGNOME l’esecuzione delle opere che hanno concorso alla rovina della struttura, ha rilevato:
che il committente COGNOME ha intrattenuto i rapporti contrattuali con il solo Geremia, cui, appena il giorno prima del crollo, ha versato, mediante bonifico, la somma di 10.000 euro a parziale pagamento del prezzo pattuito;
che NOME, quale appaltatore, era tenuto a verificare le modalità di esecuzione dei lavori che egli si era personalmente e direttamente obbligato ad eseguire e che, invece, aveva, in piena autonomia, delegato ad altra impresa;
che gli obblighi assunti nei confronti della famiglia COGNOME non sono venuti meno né si sono attenuati in ragione del fatto che egli, non avendo, in quel periodo, maestranze disponibili, aveva coinvolto l’impresa di COGNOME, i cui interventi egli avrebbe dovuto attentamente monitorare e controllare;
che l’assunto difensivo secondo cui le due imprese avevano concordato che l’attività di demolizione fosse integralmente ed esclusivamente demandata a quella di Macariello non ha trovato, nel corso dell’istruttoria dibattimentale, riscontro alcuno ed è stato, per contro, smentito dalla causale («abbattimento e ricostruzione stabile in Sparanise, INDIRIZZO per n. 2 vani apt») indicata nel bonifico inviato da Mesolella a Geremia il giorno precedente a quello dello smottamento, univocamente sintomatica dell’indiscriminata estensione della responsabilità di NOME a tutte le fasi dei lavori.
La Corte di appello ha, pertanto, concluso, alla luce delle superiori considerazioni, che «la superficialità dimostrata con l’accettazione della proposta contrattuale, sebbene il Geremia non avesse la disponibilità di operai da assegnare all’opera di demolizione dell’immobile del Mesolella, è equivalente alla superficialità dimostrata dallo stesso nell’omettere di verificare l’idoneità delle cautele adottate dalla ditta del COGNOME per la realizzazione di una lavorazione intrinsecamente rischiosa quale quella della demolizione».
I giudici di appello hanno, del pari, disatteso l’impugnazione proposta da NOME COGNOME il quale aveva rivendicato la piena rispondenza dell’attività da lui svolta, quale direttore dei lavori, alle previsioni normative ed a canoni di diligenza, prudenza e perizia.
In proposito, hanno, innanzitutto, rilevato che il Piano Operativo di Sicurezza (POS) ed il Piano di Sicurezza e Coordinamento (PSC) redatti nell’occasione – e, peraltro, non rinvenuti in occasione dell’accesso sul cantiere della polizia
giudiziaria e prodotti solo tardivamente – si palesano del tutto inadeguati, perché non rispettano le fasi cronologiche previste dal d.IgS. 9 aprile 2008, n. 81 (specificamente, dall’art. 150 di quel testo normativo)., nel caso di demolizioni e non contemplano la predisposizione di puntellamenti e ponteggi, resi necessari dall’instabilità dell’edificio da demolire.
La Corte di appello ha, altresì, disatteso la tesi difensiva incentrata sulla riconducibilità del crollo all’instabilità dell’edificio contiguo a quello dei Mesolell circostanza rimasta priva di riscontro e che, comunque, non escluderebbe, se sussistente, la responsabilità di COGNOME il quale sarebbe stato tenuto a modificare la lavorazione in corso d’opera e predisporre le cautele necessarie, in ossequio alla previsione degli artt. 151 e 154 d.l. 9 aprile 2008, n. 81, in tal senso adeguando il POS che, invece, si è rivelato non idoneo allo scopo.
Sulla scorta dei predetti rilievi, i giudici di merito hanno chiosato che «ove fosse stata rispettata la previsione di esaminare accuratamente la condizione dell’immobile da demolire e di quello adiacente e fossero state transennate le strade, non si sarebbe verificata la demolizione e, conseguentemente, nemmeno il crollo», posto, tra l’altro, che «l’apposizione di transenne mobili e di fioriere sol sul marciapiede e la mancata interdizione del traffico veicolare non può certamente rappresentare una valida cautela contro il rischio di crollo di parti di edificio, nel caso in cui quest’ultimo sia alto oltre 8 metri, come nel caso in esame».
La Corte di appello ha, per altro verso, statuito che la responsabilità di COGNOME non sarebbe esclusa né sminuita qualora si ritenesse l’influenza sul crollo dell’esistenza, da lui dedotta, di una discontinuità tra l’edificio COGNOME e quello Testa, connessa all’esistenza, al confine tra i fabbricati, di una canna fumaria.
Al riguardo, ha ritenuto, da un canto, l’implausibilità, sul piano sia tecnico che razionale, di detta tesi, che non tiene conto dell’impossibilità che il cedimento dell’immobile Testa, molto più basso dell’altro, si riverberasse su quello limitrofo e segnalato, dall’altro, le carenze riscontrate nel POS, la cui corretta redazione avrebbe consentito di prevenire l’accaduto anche in caso di ignoranza incolpevole, in capo al tecnico, della menzionata discontinuità.
COGNOME COGNOME propone, con l’assistenza dell’avv. NOME COGNOME ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, con il quale eccepisce violazione di legge e vizio di motivazione.
Ascrive, in specie, ai giudici di merito di avere indebitamente sottostimato la circostanza che la sua impresa, al momento del cedimento, non era operativa sul cantiere e ricorda di avere stipulato con Mesolella – il quale, nel comunicare alle autorità competenti, l’avvio dei lavori, aveva indicato, quale esecutrice, proprio
l’impresa di COGNOME – l’accordo negoziale in forza di atto sottoscritto solo quattro giorni dopo la verificazione dei fatti di causa.
Sostiene, quindi, che al tempo del crollo, l’unico responsabile dei lavori era COGNOME essendo stato espressamente pattuito con il committente ed il coimputato che la sua impresa sarebbe intervenuta solo nella successiva fase dei lavori.
Il ricorrente evidenzia, ulteriormente, che le argomentazioni utilizzate dai giudici di merito a sostegno della decisione impugnata non tengono conto del fatto che il crollo è avvenuto in un momento in cui le lavorazioni erano ferme, ciò che avrebbe dovuto indurre i giudici di merito a dubitare della sussistenza del nesso causale tra la condotta colposa ascrittagli e l’evento lesivo.
NOME COGNOME() propone, con l’assistenza dell’avv. NOME COGNOME ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, con il quale eccepisce violazione di legge e vizio di motivazione.
Lamenta, in primo luogo, che la Corte di appello abbia travisato il senso dell’obiezione da lui sollevata con riferimento alla canna fumaria posta sul confine tra i fabbricati Testa e COGNOME ed alla connessa discontinuità che, a suo modo di vedere, aveva fatto perdere adesione causando un consequenziale scivolamento tra le due murature che aveva, quindi, determinato il collassamento.
Posto, allora, che egli non conosceva, né avrebbe potuto conoscere, l’esistenza di quella discontinuità, non sussiste, nella prospettiva del ricorrente, il nesso di causalità tra le modalità di esecuzione dei lavori da lui prescelte ed il crollo; né, aggiunge il ricorrente, sarebbe stato per lui possibile adeguare il POS ed il PSC in funzione di prevenzione di quello specifico tipo di rischio e di evento.
COGNOME reputa, sotto questo profilo, «del tutto indinnostrato che l’apposizione dei ponteggi e dei puntelli, la cui mancata realizzazione viene individuata quale causa del cedimento strutturale, avrebbe impedito e scongiurato il crollo, posto che seppur fossero stati realizzati, lo sarebbero stati nella parte di immobile oggetto di demolizione, e non già nel punto ove il crollo ebbe a verificarsi, vale a dire dal lato opposto, di pertinenza di altri proprietari».
Tanto, avuto vieppiù riguardo al fatto che il crollo, verificatosi in un frangente in cui i lavori erano fermi, non è stato innescato da una sollecitazione meccanica dovuta all’erronea esecuzione dei lavori di demolizione, che supporta ulteriormente la censura vertente sulla carenza della prova della reale efficacia condizionante dell’agente rispetto ad altri fattori interagenti nella produzione dell’evento lesivo.
CONSIDERATO IN DIRITI”O
1. I ricorsi sono, nel complesso, infondati e, pertanto, passibili di rigetto.
2. Preliminarmente, avendo i ricorrenti articolato doglianze anche ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e) , cod. proc. pen., occorre ricordare, con la giurisprudenza di legittimità (cfr., tra le altre, Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, COGNOME, Rv. 273217) che il sindacato demandato alla Corte di cassazione sulla motivazione della sentenza impugnata non può concernere né la ricostruzione del fatto, né il relativo apprezzamento, ma deve limitarsi al riscontro dell’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di una diretta rivisitazione delle acquisizioni processuali.
Il controllo di legittimità, invero, non è diretto a sindacare l’intrinsec attendibilità dei risultati dell’interpretazione delle prove, né a ripercorrere l’anali ricostruttiva della vicenda processuale operata nei gradi anteriori, ma soltanto a verificare che gli elementi posti a base della decisione siano stati valutati seguendo le regole della logica e secondo linee giustificative adeguate, che rendano persuasive, sul piano della consequenzialità, le conclusioni tratte (Sez. Un. n. 47289 del 24/09/2003, COGNOME, Rv. 226074-01).
Sarebbero, quindi, inammissibili censure che si fondassero su alternative letture del quadro istruttorio, sollecitando il diverso apprezzamento del materiale probatorio acquisito da parte di questa Corte, secondo lo schema tipico di un gravame di merito, il quale esula, tuttavia, dalle funzioni dello scrutinio di legittimità, volto ad enucleare l’eventuale sussistenza di uno dei vizi logici, mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità, tassativamente previsti dall’art. 606, comma primo, lett. e), cod. proc. pen., riguardanti la motivazione della sentenza di merito in ordine alla ricostruzione del fatto (Sez. 6 n. 13442 dell’8/03/2016, COGNOME, Rv. 266924; Sez. 6 n. 43963 del 30/09/2013, COGNOME, Rv. 258153).
Ne discende, è stato, da ultimo, ribadito (Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747), che «In tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo, sicché sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a
conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spesso della valenza probatoria del singolo elemento».
Nel caso di specie, i ricorsi sono proposti avverso una decisione di appello che si salda, sia per le soluzioni adottate che per i contenuti argomentativi che le sostengono, con quella di primo grado, sì da integrare tipica ipotesi di c.d. «doppia conforme», da legittimare la reciproca integrazione delle rispettive motivazioni ed attestare, quindi, la pertinenza dei rimandi effettuati dalla Corte di appello alla sentenza del Tribunale.
Le doglianze articolate da COGNOME e COGNOME si risolvono nella riproposizione dei temi critici che, già sottoposti all’attenzione del giudice di appello, sono stati, in quella sede, disattesi in forza di considerazioni aderenti alle evidenze istruttorie e scevre da sintomi di manifesta illogicità o contraddittorietà.
3.1. Il direttore dei lavori pone, in particolare, l’accento sulla ricostruzione secondo cui il crollo dello stabile sarebbe da addebitare ad una canna fumaria, precedentemente sconosciuta, presente sul muro di confine tra l’immobile dei Mesolella e l’adiacente immobile dei Testa, che avrebbe favorito lo scivolamento tra le due murature e determinato, quindi, il collassamento e il conseguente crollo del fabbricato.
Una volta individuata, nei termini testé indicati, la reale causa del crollo, verrebbe meno il nesso causale tra le violazioni della normativa prevenzionale addebitate al professionista e l’evento lesivo, derivato da cause che egli non conosceva né avrebbe potuto o dovuto conoscere, per neutralizzare le quali avrebbero dovuto essere adottati, piuttosto, accorgimenti diversi ed ulteriori rispetto a quelli asseritamente omessi che, pure ove posti in essere, non avrebbero evitato il crollo.
La Corte di appello ha, in proposito, escluso, in ossequio a quanto già rilevato dal Tribunale ed in termini di perfetta coerenza logica, dei quali il ricorrente mostra di non avere in alcun modo tenuto conto, che la presenza della canna fumaria abbia giocato un ruolo rilevante nella rovina del fabbricato, che non può essere dipesa dal cedimento dell’immobile Testa, molto più basso di quello adiacente, e perciò, non in grado di trascinare con sé una parete di otto metri di altezza, come eloquentemente spiegato, nel corso della sua deposizione dibattimentale, da NOME COGNOME, tecnico del comune di Sparanise (sul punto, cfr. la sentenza di primo grado, pag. 10).
Considerazione, questa, la cui decisiva significatività è agevolmente apprezzabile e con la quale, nondimeno, il ricorrente rinuncia a confrontarsi, preferendo insistere nell’attribuire – in forza di un convincimento soggettivo che non è suffragato dalle emergenze istruttorie – alla presenza della canna fumaria
un’importanza che, alla luce di quanto motivatamente affermato dai giudici di merito, non può esserle riconosciuta.
3.2. Non meno fragili sono le obiezioni che, sempre sul piano della prevedibilità e prevenibilità dell’evento lesivo, COGNOME muove alla sentenza impugnata, con specifico riferimento all’idoneità delle cautele omesse ad evitare il crollo.
La sentenza impugnata, anche in questo caso in linea con quella di primo grado, è, invero, chiara nello spiegare che la predisposizione di un POS e di un PSC adeguati alle caratteristiche del caso concreto, che facessero tesoro, cioè, di quanto enunciato nelle ordinanze sindacali e concretamente riscontrabile sui luoghi, e la loro pedissequa attuazione avrebbero indotto non soltanto la realizzazione (in concreto, omessa) di ponteggi e puntelli, ma anche l’esecuzione di opere di rafforzamento, che sarebbero state senz’altro idonee ad evitare il cedimento dell’edificio.
Il percorso motivazionale sotteso alla decisione impugnata, nitido e coerente, stigmatizza l’atteggiamento inerte degli imputati i quali, lungi dal porre in essere le doverose attività cui sarebbero stati tenuti in virtù dei ruoli da loro rispettivamente assunti, sono venuti meno agli obblighi di legge, così serbando un contegno omissivo eziologicamente connesso al crollo, cagionato dall’omessa adozione degli imprescindibili presidi finalizzati alla messa in sicurezza dell’area in vista dell’esecuzione delle opere di demolizione.
Tale intervento era, infatti, improcrastinabile, stante la prevedibile imminenza del cedimento strutturale, preannunciato, nella sostanza, dalla più recente tra le ordinanze sindacali emesse in proposito, come chiaramente spiegato dal consulente tecnico del pubblico ministero, NOME COGNOME onde è del tutto privo di rilievo, stante la concatenazione degli eventi, il fatto che il crollo si sia verificato in un momento di stallo dell’attività.
3.3. Per quanto attiene, poi, alla responsabilità di NOME, il ricorso, imperniato sulla scissione tra le opere di demolizione, demandate all’impresa di COGNOME, e quelle che, in un frangente successivo, sarebbero state eseguite da quella dell’odierno ricorrente, pecca di genericità nella parte in cui omette di considerare il rilievo, fondamentale nella prospettiva della sentenza impugnata, della conclusione, precedente all’avvio dell’attività materialmente posta in essere da COGNOME e dai suoi collaboratori e dipendenti, di un accordo tra COGNOME e NOME, suggellato dal versamento di un acconto, avente ad oggetto, come plasticamente confermato dalla causale del bonifico, l’intera operazione.
Il dato testé segnalato concorre ad attestare, unitamente alle residue emergenze istruttorie, ivi comprese le dichiarazioni rese da NOME COGNOME
(cfr. la sentenza di primo grado, pagg. 11-12) e dallo stesso COGNOME (cfr. la
sentenza di primo grado, pag. 12-13), la piena responsabilità di NOME nell’accaduto, che non risulta elisa né, tantomeno, esclusa per il fatto che, stante
l’urgenza dell’intervento e la contingente indisponibilità delle maestranze di
NOME, le opere di demolizione erano state da questi – rimasto, comunque, unica controparte del committente – delegate ad altro imprenditore.
4. Dal rigetto dei ricorsi discende la condanna di COGNOME e Geremia al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616, comma 1, primo periodo,
cod. proc. pen. ed alla rifusione, in favore della costituita parte civile, delle spese legali relative all’azione civile ed al grado, liquidate nella misura indicata in
dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Condanna, inoltre, i ricorrenti, in solido tra loro, alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, che liquida in complessivi euro 4.000,00, oltre accessori di legge. Così deciso il 05/03/2025.