Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 27853 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 27853 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 02/07/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: NOME nata a Napoli il 23/03/1971 NOME NOME NOME nato a Milano il 23/12/1974
avverso la sentenza del 12/11/2024 de lla Corte d’Appello di Milano visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale, NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto dei ricorsi;
udito, per la parte civile, NOME COGNOME l’avv. NOME COGNOME la quale, riportandosi anche alla memoria scritta, ha chiesto il rigetto del ricorso e la conferma della sentenza impugnata, nonché il riconoscimento delle spese, come da nota depositata;
udito, per i ricorrenti, l’avv. NOME COGNOME il quale, anche come sostituto processuale dell’avv. NOME COGNOME ha insistito per l’accoglimento dei ricorsi;
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata la Corte d’Appello di Milano ha confermato la pronuncia di condanna di primo grado dei ricorrenti, quanto alla Leone, per il delitto di diffamazione pluriaggravata (dall’attribuzione di un fatto determinato e dall’offesa recata con il mezzo della stampa on line) in danno di NOME COGNOME e, all’COGNOME, in qualità di direttore responsabile della testata per l’omesso controllo sulle relative pubblicazioni.
In particolare, secondo la prospettazione accusatoria, ritenuta dalle conformi decisioni di merito, la COGNOME, nella veste di giornalista del quotidiano on line tvzoom.it, in data 11 novembre 2019, comunicando con più persone, mediante la pubblicazione sul predetto quotidiano dell’articolo dal titolo ‘La pietosa compravendita delle nomine della Rai dimostra che la politica e INDIRIZZO sono una cosa sola’, aveva offeso la reputazione di NOME COGNOME, nominato vice direttore dell’informazione di R ai 1, attribuendo una connotazione marcatamente politica all’incarico ricevuto dallo stesso e svalutandone la portata e il prestigio ( ‘…alla vicedirezione di Rai 1, la scorsa estate erano attivati con tanto di nomina il leghista NOME COGNOMEcon il compito di occuparsi di rubriche, informazioni e territorio, che è un po’ come quando ti dico che fanno il consulente! ‘ ), nonché gettando discredito sulla sua professionalità e sulla sua regolare presenza in ufficio ( ‘ comunque nessuno li ha mai visti al quinto piano. Non hanno nemmeno un ufficio ‘ ).
Avverso la richiamata sentenza hanno proposto ricorsi per cassazione di analogo tenore gli imputati, con i comuni difensori di fiducia avv. NOME COGNOME e NOME COGNOME affidandosi a quattro motivi, di seguito ripercorsi, entro i limiti strettamente necessari per la decisione.
2.1. Con il primo denunciano violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) , cod. proc. pen., per violazione del principio di correlazione tra la prospettazione accusatoria e la sentenza, degli artt. 125, comma 3, 192, comma 2, 417, commi 1 e 3, 597 cod. proc. pen.
A riguardo, deducono che il vaglio dei giudici di merito si è fondato anche su un precedente articolo, allegato alla denuncia-querela della parte civile scritto in data 23 luglio 2019 e non richiamato nel capo di imputazione.
Soggiungono che, invero, la sentenza impugnata ha ritenuto che la consapevolezza e volontà di danneggiare l’immagine della parte civile si ritrae
anche dal rimando ad un altro indirizzo internet contenente un diverso articolo parimenti ‘ canzonatorio ‘ nei confronti dell’ Infante.
Deducono, inoltre, che la sentenza impugnata conferma pedissequamente quella di primo grado, limitandosi così ad avallare la ricostruzione della parte civile, anche in assenza di elementi probatori che possano consentire di affermarne la responsabilità penale al di là di ogni ragionevole dubbio.
2.2. Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano inosservanza o erronea applicazione della legge penale e, in particolare, del combinato disposto degli artt. 595 e 51 cod. pen. in tema di scriminante per il diritto di cronaca/critica nonché vizio di motivazione, ponendo in rilievo che l’articolo aveva la finalità non già di deni grare l’Infante, bensì di evidenziare, mediante il riferimento anche a diverse nomine effettuate in quel periodo presso la Rai, la connessione delle stesse con gli assetti politici.
Inoltre, la notizia della mancata presenza della parte civile a Roma per l’espletamento del proprio incarico era stata fornita alla Leone da una fonte interna alla Rai già altre volte utilizzata e non avrebbe potuto escludersi, come era avvenuto, la verità putativa della stessa solo perché non aveva indicato il nome della fonte.
2.3. Con il terzo motivo gli imputati lamentano inosservanza o erronea applicazione dell’art. 131 -bis cod. pen. e manifesta illogicità della motivazione in relazione agli atti del processo.
In particolare, deducono che la Corte territoriale ha escluso la particolare tenuità del fatto senza adeguata motivazione nonostante la ricorrenza di una serie di elementi deponenti in concreto in tale direzione (quali l’assenza di precedenti condotte diffamatorie da parte degli imputati; la rimozione dell’articolo subito dopo la presentazione della denunciaquerela; la limitata diffusione dell’articolo, che ha avuto circa trecento visualizzazioni; la natura generalista dell’articolo ricostruente un fatto di cronaca incentrato sulle nomine e sulle variazioni dei palinsesti all’interno della Rai, con l’inserime nto di una pluralità di nominativi di soggetti interessati, anche appartenen ti a diversi partiti; l’utilizzo di es pressioni come ‘poltrone da arraffare’, ‘pietosa compravendita’, riferite al plurale con l’indicazione di vari nominativi, non destinate al singolo; l’assenza di danno per l’COGNOME , che continua a ricoprire la stessa posizione professionale di successo).
2.4. Con l’ultimo motivo i ricorrenti denunciano manifesta illogicità della pronuncia sul risarcimento del danno laddove è stata riconosciuta alla parte civile, facendo applicazione delle tabelle del Tribunale di Milano, la somma di 12.000 euro senza considerare, nella modulazione in concreto del potere del giudice di graduare l’entità del risarcimento, che : le visualizzazioni erano state solo trecento; non vi era stato alcun nocumento sul piano processuale per il diffamato; non
doveva essere considerata solo la notorietà del diffamato ma anche quella del diffamante.
Deducono, inoltre, la sproporzione dell’ordine di pubblicazione della sentenza di condanna su un quotidiano a diffusione nazionale stante la limitata diffusione della loro testata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono fondati per le ragioni di seguito indicate.
Al riguardo, occorre premettere che, in materia di diffamazione, la Corte di cassazione può conoscere e valutare l’offensività della frase che si assume lesiva della altrui reputazione perché è compito del giudice di legittimità procedere, in primo luogo, a considerare la sussistenza o meno della materialità della condotta contestata e, quindi, a vagliare la portata offensiva delle frasi ritenute diffamatorie, dovendo, in caso di esclusione di questa, pronunciare sentenza di assoluzione dell’imputato (Sez. 5, n. 2473 del 10/10/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278145 -01; Sez. 5, n. 41869 del 14/02/2013, COGNOME, Rv. 256706 -01).
L’indicata valutazione può e deve essere compiuta anche quanto al profilo del dolo e della sussistenza della scriminante del diritto di cronaca o di critica, allorquando gli stessi elementi evidenziati nella sentenza impugnata depongano per la mancanza della componente soggettiva del reato (Sez. 5, n. 2473 del 10/10/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278145 – 01).
Nell’esaminare la problematica occorre considerare che nel processo in esame vengono in rilievo, ed occorre operarne un delicato bilanciamento, due diritti costituzionalmente e convenzionalmente garantiti, quali sono quelli alla riservatezza della persona offesa e quello alla libera manifestazione del pensiero, declinata nell’eser cizio, da parte del giornalista, della c.d. critica politica.
3.1. Nell’ambito della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, nel compiere tale complesso bilanciamento tra il diritto al rispetto della vita privata (del quale il diritto alla riservatezza è componente essenziale) , assicurato dall’art. 8 CEDU, e quello della libertà di espressione di cui all’art. 1 0 della stessa Convenzione, la Corte di Strasburgo ha affermato che il rispetto della vita privata dei soggetti sui quali vengono veicolate le informazioni giornalistiche deve essere assicurato nel suo nucleo essenziale ( ex multis , COGNOME e altri c. Francia, n. 64915/01, par. 70, CEDU, 2004, VI).
A tal fine, tuttavia, l’attacco alla reputazione di una persona deve raggiungere un certo livello di gravità, e deve essere effettuato in modo tale da arrecare
pregiudizio al godimento personale del diritto al rispetto della vita privata (CEDU 9 aprile 2009, A. c. Norvegia, n. 28070/06, par. 64).
In particolare, è stato posto in rilievo che l’art. 10, comma 2, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo comporta che i limiti alla libertà di espressione debbano essere ancora più rigorosi allorché le informazioni e le opinioni riguardino il dibattito politico e le questioni di interesse generale (Siirek c. Turchia (n. 1) , n.26682 /95, par. 61, CEDU 1999-IV, COGNOME, COGNOME e July c.Francia , n.21279/02 e 36448/02, par. 46, CEDU 2007-IV, RAGIONE_SOCIALE c. Germania , n.39954/08, par. 90, 7 febbraio 2012, e COGNOME, sopra citata, par. 125).
Tali principi generali sono stati più di recente confermati, in ordine all’art. 10 della Convenzione e alla libertà di stampa, nella sentenza NOME COGNOME e RAGIONE_SOCIALE c. Finlandia (, n. 931/13, parr. 125-128, 27 giugno 2017), la quale ha sottolineato che la libertà di espressione è soggetta ad eccezioni, che richiedono tuttavia un’interpretazione restrittiva, e la necessità di limitarla deve essere dimostrata in modo convincente. Ciò in quanto è fondamentale che la stampa svolga il suo indispensabile ruolo di ” cane da guardia ” (NOME RAGIONE_SOCIALE c. Ungheria , n. 18030/11, par. 165, 8 novembre 2016).
3.2. Non si può inoltre trascurare, nell’esaminare la problematica, che nella giurisprudenza costituzionale è stato ripetutamente sottolineato che la libertà di manifestazione del pensiero costituisce un diritto fondamentale riconosciuto come coessenziale al regime di libertà garantito dalla Costituzione, pietra angolare dell’ordine democratico ( ex multis , Corte Cost., sent. n. 132 del 2020, n. 206 del 2019, n. 126 del 1985, n. 84 del 1969, n. 11 del 1968 e n. 1 del 1956). In particolare, è stato sottolineato, che, nell’ambito della libertà di manifestazione del pensiero, la libertà di stampa assume un’importanza peculiare, in ragione del suo ruolo essenziale nel funzionamento del sistema democratico, nel quale al diritto del giornalista di informare corrisponde un correlativo “diritto all’informazione” dei cittadini, quest’ultimo qualificato in riferimento ai princìpi fondanti della forma di Stato delineata dalla Costituzione, i quali esigono che la nostra democrazia sia basata su una libera opinione pubblica e sia in grado di svilupparsi attraverso la pari concorrenza di tutti alla formazione della volontà generale. Tale sistema, è stato ulteriormente puntualizzato, è caratterizzato dal pluralismo delle fonti cui attingere conoscenze e notizie in modo tale che il cittadino possa essere messo in condizione di compiere le sue valutazioni avendo presenti punti di vista differenti e orientamenti culturali contrastanti (tra le tante, Corte Cost. sent. n. 132 del
2020, n. 206 del 2019, n. 155 del 2002, n. 112 del 1993, n. 1 del 1981 e n. 172 del 1972).
Del resto, è proprio nel solco dei riferiti e generali principi, che si pone da lungo tempo anche la giurisprudenza di questa Corte, che, ai fini dell’operatività della scriminante di cui all’art. 51 cod. pen., riconosce il diritto alla critica politica, con il solo limite della continenza espressiva che postula che la critica stessa non trasmodi nella gratuita ed immotivata aggressione dell’altrui reputazione. Limite della continenza espressiva che, si è precisato, non può ritenersi superato per il solo fatto dell’utilizzo di termini che, pur avendo accezioni indubitabilmente offensive, hanno però anche significati di mero giudizio critico negativo del quale deve tenersi conto anche alla luce del complessivo contesto in cui il termine viene utilizzato (Sez. 5, n. 37397 del 24/06/2016, Rv. 267866 -01).
E’ stato inoltre puntualizzato che il rispetto della verità del fatto assume, in riferimento all’esercizio del diritto di critica politica, un rilievo più limitato e necessariamente affievolito rispetto al diritto di cronaca, in quanto la critica, ed ancor più quella politica, quale espressione di opinione meramente soggettiva, ha per sua natura carattere congetturale, che non può, per definizione, pretendersi rigorosamente obiettiva ed asettica (tra le altre, Sez. 5, n. 25518 del 26/09/2016, dep. 2017, P.C. in proc. COGNOME, Rv. 270284; Sez. 5, n. 49570 del 23/09/2014, COGNOME, Rv. 261340; Sez. 5, n. 4938 del 28/10/2010, dep. 2011, P.M. in proc. COGNOME e altri, Rv. 249239).
Donde il limite immanente all’esercizio del diritto di critica è, pertanto, essenzialmente quello del rispetto della dignità altrui, non potendo lo stesso costituire mera occasione per gratuiti attacchi alla persona ed arbitrarie aggressioni al suo patrimonio morale, anche mediante l’utilizzo di argumenta ad hominem (Sez. 5, n. 4938 del 28/10/2010, dep. 2011, P.M. in proc. COGNOME e altri, Rv. 249239).
Nel caso in esame, d alla lettura dell’articolo rispetto al quale è stata presentata dall’COGNOME tempestiva querela si evince che esso ha ad oggetto il tema, oggetto di ampio dibattito nella stampa e all’interno dell’opinione pubblica, dell ‘ influenza politica sulle nomine della RAI.
Tema sul quale, peraltro, il dibattito ha una grande rilevanza a fronte del diritto dei cittadini a sapere se il servizio pubblico è o meno influenzato nel rendere le notizie dalle convergenze politiche.
Per quanto osservato nei precedenti paragrafi, sussiste invero un elevato livello di protezione della libertà di espressione quando le osservazioni formulate vertono su un argomento di interesse generale, quale è senza dubbio -con riferimento alla fattispecie che ne occupa -quello che riguarda le ipotizzate interferenze della politica nelle nomine dei vertici del servizio pubblico di informazione radiotelevisivo, atteso che vi è un diritto del cittadino ad essere informato sull’incidenza che dette interfe renze possono assumere rispetto al proprio diritto ad una informazione pluralista.
Come ha chiarito da ultimo la Corte costituzionale, difatti, il pluralismo dell’informazione, valore centrale in un ordinamento democratico, va ricondotto all’art. 21 Cost. e allo stesso carattere democratico della Repubblica , in quanto l’informazione, nei suoi risvolti attivi e passivi (libertà di informare e diritto ad essere informati) esprime una condizione preliminare (o un presupposto insopprimibile) per l’attuazione ad ogni livello, centrale o locale, della forma propria dello Stato democratico (Corte Cost., sent. n. 44 del 2025).
Deve di conseguenza essere enunciato il principio in forza del quale, in tema di diffamazione, qualora la notizia abbia ad oggetto l’influenza della politica o di altri fattori sugli stessi mezzi di informazione, la scriminante di cui all’art. 51 cod. pen. deve essere vagliata tenendo conto dell’esigenza, portato essenziale di uno Stato democratico, di assicurare un pubblico dibattito sul pluralismo informativo, rinvenendosi, dunque, l’unico limite ad essa in un at tacco aggressivo alla persona privo di ogni giustificazione nel contesto della più ampia critica politica che si vuole veicolare ai cittadini.
6.1. Ciò posto, nel caso in esame occorre considerare che l’articolo scritto dalla ricorrente aveva in particolare ad oggetto il ritardo nelle nomine di alcuni vertici della RAI dovuto, secondo la prospettazione della giornalista, all’esigenza dei partiti di accordarsi sulle nomine più rilevanti da effettuare.
Insieme a quello di altri giornalisti è stato indicato, di qui, anche il nome dell’COGNOME, associandolo al partito politico della Lega, e di un altro giornalista, che si assumeva essere vicino al Movimento Cinque Stelle, evidenziando che i relativi incarichi di vice-direzione non avevano un contenuto preciso e che tali professionisti non avevano neppure un ufficio presso la sede romana della RAI, dove non erano stati visti.
Sennonché queste affermazioni non possono essere isolate, come è stato fatto dalle decisioni di merito, individuando così nelle stesse un’aggressione ad hominem nei confronti dell’COGNOME .
La lettura complessiva dell’articolo e delle finalità ad esso sottese fa ben comprendere, infatti, anche ad un lettore medio, che il senso di tali considerazioni era effettuare una critica di carattere squisitamente politico, volta a porre in rilievo che all’interno della RAI erano stati creati posti apicali o semi-apicali, anche non necessari, per soddisfare le molteplici e diversificate aspettative dei partiti politici, aspettative tanto numerose da causare ritardi nelle nomine.
Collocate in tale contesto, tali affermazioni, allora, non si traducono in un attacco alla professionalità della persona offesa, poiché esse sono osservazioni funzionali alla tesi sostenuta nella generale prospettiva della critica politica alle modalità di individuazione dei giornalisti preposti alla direzione del servizio pubblico di informazione della RAI.
Lo stesso requisito della verità putativa, dunque, avrebbe dovuto essere vagliato non già sull’effettiva presenza in ufficio dell’Infante bensì sulla notizia che mirava a veicolare ai lettori, insieme ad altre, quella informazione, ossia sulla c.d. lottizzazione delle nomine presso la RAI, argomento, questo, di costante e grande rilevanza nel dibattito pubblico da molti anni.
7. La sentenza impugnata deve dunque essere annullata senza rinvio, perché il fatto non costituisce reato.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché il fatto non costituisce reato.
Così deciso il 02/07/2025