Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 24085 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 24085 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 13/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a Torre del Greco il 07/05/1979
avverso la sentenza del 31/10/2024 della Corte d’appello di Napoli
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Lette le conclusioni del Procuratore generale, COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso.
Lette le conclusioni dell’Avv. NOME COGNOME per la parte civile, che ha chiesto il rigetto del ricorso, ferme le statuizioni civili.
RITENUTO IN FATTO
La sentenza impugnata è stata deliberata il 31 ottobre 2024 dalla Corte di appello di Napoli, che ha confermato la condanna inflitta a NOME COGNOME anche agli effetti civili, dal Tribunale di Napoli per i reati di diffamazione e minaccia commessi ai danni di NOME COGNOME
La diffamazione, per come riconosciuta sussistente dai Giudici di merito, consiste nell’aver offeso la reputazione della COGNOME, pubblicando – il 28 luglio 2020 – sulla pagina “Succede ad Ercolano” del social network Facebook, il post dal titolo «Che cazzo ti ho fatto di male donna senza onore».
Nello stesso contesto – di qui la condanna per minaccia – COGNOME aveva scritto «Ok è la più piccola che ho come denuncia, aspetta ancora perché ci stanno ancora cose da dire e da fare, così metti tutto insieme, visto che devo scendere a carro armato con una campagna elettorale con NOME COGNOME Sindaco…, stai attenta io lavoro da 25 anni se vuoi ti mando un faldone di buste paghe di 25 anni di servizio….. ci rivediamo al solito posto».
L’imputato ha proposto ricorso avverso detta decisione, con COGNOME ministero del difensore di fiducia, che ha sviluppato tre motivi.
2.1. Il primo motivo di ricorso lamenta violazione di legge, vizio di motivazione e mancata assunzione di prova decisiva.
Il ricorrente critica la sentenza impugnata laddove ha negato la scriminante del diritto di critica politica, svalutando la circostanza che l’espressione “donna senza onore” era rivolta ai noti cambi di casacca politica della parte civile e non già alla sua sfera personale. La Corte di merito avrebbe errato nel non contestualizzare l’espressione e nel darne una valutazione avulsa dallo sfondo di contrapposizione politica in cui si inquadrava ed avrebbe errato altresì nel negare l’acquisizione di tutti i messaggi che imputato e persona offesa si erano scambiati, limitandosi a vagliare solo quella frase. Quest’ultima sarebbe espressione del diritto di esprimere una critica, che – in quanto tale – non attiene a fatti specifici e che, pertanto, è necessariamente ispirata ad una prospettiva soggettiva
La frase «Ci vediamo al solito posto» si riferirebbe al luogo ove ‘avveniva lo spoglio delle schede elettorali, come ben noto alla COGNOME; la frase “stai attenta” non è una minaccia ma un veicolo per rendere edotta la persona offesa della attività di imprenditore del Filosa.
2.2. Il secondo motivo di ricorso lamenta gli stessi vizi quanto, in particolare, al vaglio della Corte distrettuale circa la portata minatoria delle frasi di cui al capo b), anche queste ultime erroneamente decontestualizzate rispetto alla conversazione in cui si inserivano. La motivazione sarebbe sostanzialmente inesistente.
2.3. Il terzo motivo di ricorso denunzia violazione di legge e vizio di motivazione quanto al diniego delle circostanze attenuanti generiche, cui la Corte territoriale era giunta trascurando la rilevanza pro reo della ammissione dei fatti, in spregio agli insegnamenti di Corte Cost. n. 183 del 2011. .
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è parzialmente fondato, nei termini di seguito precisati.
Non lo è quanto al reato di diffamazione, per varie, concorrenti ragioni.
1.1. In primo luogo il ricorrente pretende una conteseualizzazione nell’ambito del confronto politico, senza tuttavia fornire le necessarie’ coordinate fattuali che consentano a questa Corte, nel sostanziale silenzio delle sentenze di merito sul punto (ove il tema è solo accennato), di collocare l’imputato stesso e la persona offesa all’interno di un agone politico piuttosto che di una contrapposizione di carattere personale.
1.2. In secondo luogo, e anche a voler superare questo primo limite del ricorso, è opinione del Collegio che la sentenza impugnata resista alle doglianze del ricorrente e che la frase abbia un obiettivo contenuto diffamatorio, non scriminato dal legittimo esercizio del diritto di critica quand’anche inserita all’interno di un confronto politico e, quindi, valutando la proposizione incriminata attraverso la lente del diritto di critica, appunto, politico.
A questo riguardo, pare opportuno rievocare l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui, in materia di diffamazione, la Corte di cassazione può conoscere e valutare l’offensività della frase che si assume lesiva della altrui reputazione, perché è compito del giudice di legittimità procedere in primo luogo a considerare la sussistenza o meno della materialità della condotta contestata e, quindi, della portata offensiva delle frasi ritenute diffamatorie, dovendo, in caso di esclusione di questa, pronunciare sentenza di assoluzione dell’imputato (Sez. 5, n. 11669 del 5/12/22, dep. 2023, COGNOME, non massimata; Sez. 5, n. 7829 del 20/11/22, dep. 2023, COGNOME; Sez. 5, n. 33115 del 14/10/2020, non massimate; Sez. 5, n. 2473 del 10/10/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278145; Sez. 5, n. 48698 del 19/09/2014, COGNOME, Rv. 261284. In particolare, Sez. 5 COGNOME, Sez. 5 COGNOME e Sez. 5 COGNOME hanno altresì precisato che tale approccio nel vaglio della regiudicanda deve essere adottato anche quando a dover essere vagliata è la sussistenza della scriminante del diritto di critica, che è il tema di odierno interesse.
Tanto premesso, la frase reputata inescusabilmente diffamatoria dai Giudici di merito attribuisce alla “donna” destinataria la mancanza di onore, con un riferimento al profilo personale della destinataria piuttosto che a quello politico che, come correttamente sostenuto dalla Corte territoriale, evoca una carenza di moralità collegata, appunto, alla persona e non già al comportamento politico eventualmente scorretto della COGNOME. D’altronde, le sentenze di merito e il
ricorso nulla offrono a sostegno della tesi del ricorrente secondo cui quella mancanza di onore si riferirebbe al cambio di casacca politica della persona offesa, sì da lasciare l’enunciato privo della necessaria base conOscitiva per interpretare la frase come auspicherebbe l’impugnativa.
Ad ogni buon conto, anche a volerlo riguardare come espressione di critica politica, l’enunciato, così come formulato, esorbita dai confini della scriminante invocata, in particolare perché trascende il limite della continenza, che, pur con il necessario adattamento al contesto specifico in cui si svolge, deve connotare anche l’esposizione del pensiero critico in ambito politico.
A questo riguardo, vanno richiamati gli insegnamenti di questa Corte, secondo cui la configurabilità dell’esimente dell’esercizio del diritto di critica politica, che trova fondamento nell’interesse all’informazione dell’opinione pubblica e nel controllo democratico nei confronti degli esponenti politici o pubblici amministratori, richiede comunque che l’elaborazione critica non trascenda in attacchi personali finalizzati ad aggredire la sfera morale altrui (Sez. 5, n. 31263 del 14/09/2020, COGNOME, Rv. 279909). Secondo Sez. 5, n. 46132 del 13/06/2014, COGNOME, Rv. 262184, sussiste l’esimente dell’esercizio del diritto di critica politica qualora l’espressione usata consista in un dissenso motivato, anche estremo, rispetto alle idee ed ai comportamenti altrui, nel cui ambito possono trovare spazio anche valutazioni non obiettive, Purché non trasmodi in un attacco personale lesivo della dignità morale ed intellettuale dell’avversario. Nella sentenza COGNOME si è ricordato, altresì, che sussiste il delitto di diffamazione solo quando i limiti della necessità dell’affermazione e della diffusione delle idee politiche siano oltrepassati, trasformando la competizione politica in una mera occasione per aggredire la reputazione degli avversari, con affermazioni che non si risolvono in critica, anche estrema, delle idee e dei comportamenti altrui – nel cui ambito possono trovare spazio anche valutazioni e commenti tipicamente “di parte”, cioè non obiettivi – ma che sfociano in espressioni apertamente denigratorie della dignità e della reputazione altrui ovvero che si traducono in un attacco personale o nella pura contumelia. Negli stessi sensi si è espressa Sez. 5, n. 8824 del 01/12/2010 (dep. 2011, COGNOME, Rv. 250218), secondo cui non sussiste l’esimente dell’esercizio del diritto di critica politica qualora l’espressione usata consista non già in un dissenso motivato espresso in termini misurati e necessari, bensì in un attaccò personale lesivo della dignità morale ed intellettuale dell’avversario. In linea: con questi precedenti si pone anche Sez. 5, n. 4938 del 28/10/2010, dep. 2011, COGNOME, Rv. 249239, secondo cui il limite immanente all’esercizio del diritto di critica è, essenzialmente quello del rispetto della dignità altrui, non potendo lo stesso costituire mera occasione per gratuiti attacchi alla persona ed arbitrarie Corte di Cassazione – copia non ufficiale
aggressioni al suo patrimonio morale, anche mediante l’utilizzo di argumenta ad hominem.
Né giova alla tesi del ricorrente il pur necessario inquadramento della frase all’interno del contesto in cui essa è stata pronunziata, inquadramento che si impone nel vagliare il superamento del limite della continenza (tra tutte, Sez. 5, n. 4530 del 10/11/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 283964 – 02, in motivazione). A questo riguardo, il ricorrente insiste sul fatto che la frase è stata isolata nell’ambito di un botta e risposta informatico con la COGNOME, ma di questo scambio non vi è alcuna traccia nelle sentenze di merito né la parte, nel dolersi dell’enucleazione della sola frase “incriminata”, chiarisce quale fosse il concreto e specifico confronto dialettico nel quale essa si inseriva.
In definitiva, il confronto politico tra COGNOME e la COGNOME avrebbe tollerato espressioni astrattamente lesive dell’altrui reputazione, anche veicolate attraverso l’utilizzo di toni aspri e sferzanti, a condizione, però, che esse fossero coerenti rispetto al confronto politico e non si risolvessero – come avvenuto nella specie – in un’espressione generica, che attribuiva alla personà offesa una mancanza di onore, cioè – secondo la comune accezione del termine – un difetto di valore morale, di merito e di meritevolezza della stima e della considerazione altrui.
Il ricorso è, invece, fondato, quanto alla minaccia, cui la Corte territoriale dedica poche battute, riportando il contenuto della frase e scrivendo che il suo tenore era «obiettivamente idoneo ad intimorire e turbare la vittima».
Ebbene, partendo proprio dal contenuto della frase, il Collegio ritiene che il suo significato letterale non rimandi, inequivocabilmente, alla minaccia di un male ingiusto e che una conclusione in tal senso, laddove alla frase si fosse inteso attribuire una portata quantomeno evocativa, avrebbe richiesto che i Giudici di appello si diffondessero precipuamente circa le ragioni della conferma del giudizio di penale responsabilità.
La frase – lo si ricorda è «Ok è la più piccola che ho comè denuncia, aspetta ancora perché ci stanno ancora cose da dire e da fare, così metti tutto insieme, visto che devo scendere a carro armato con una campagna elettorale con NOME COGNOME Sindaco… .stai attenta io lavoro da 25 anni se vuoi ti mando un faldone di buste paghe di 25 anni di servizio….. ci rivediamo al solito posto».
Nell’ambito di questa proposizione, i sintagmi di possibile interesse per la riconduzione al reato di minaccia possono essere «stai attenta» e «Ci rivediamo al solito posto». Ebbene, la prima espressione, a fortiori laddove seguita immediatamente dall’ulteriore proposizione « io lavoro da 25 anni se vuoi ti mando un faldone di buste paghe di 25 anni di servizio» non richiama
inequivocabilmente un danno ingiusto ma appare – pur essendo oscuro l’oggetto della polemica specifica – al più una sollecitazione a prestare attenzione alla
posizione professionale dell’imputato.
La frase finale, poi, non è inequivoca, rimandando ad un possibile, futuro incontro tra soggetti che – questo lo si comprende – gravitano nello stesso
contesto ambientale e, quindi, hanno occasione di incontrarsi, ma senza che a questa previsione possa automaticamente ricollegarsi un proposito bellicoso.
Queste perplessità, che la motivazione della Corte di appello non ha chiarito se non con una proposizione sibillina e, pertanto, non realmente giustificativa,
impongono di annullare, in parte qua,
la sentenza impugnata, con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Napoli, che dovrà
nuovamente esaminare la regiudicanda con ampio margine di giudizio e con il solo limite di non dare nuovamente luogo al vizio segnalato.
il
3. Il motivo di ricorso sulle circostanze attenuanti generiche è assorbito e governo delle spese di parte civile è rimesso alla definizione del procedimento.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al reato di minaccia con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Napoli; rigetta nel resto il ricorso. Spese di parte civile al definitivo.
Così deciso il 13/05/2025.