Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 10387 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 10387 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 06/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
Mazzatosta NOMECOGNOME nato a Roma il 06/05/1970
avverso il decreto emesso dal Tribunale di Roma il 10/06/2024;
udita la relazione svolta dal Consigliere, NOME COGNOME
lette la conclusioni del Sostituto Procuratore Generale, dott. NOME COGNOME che ha chiesto l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato;
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Roma, in sede di giudizio di rinvio, ha rigettato l’opposizione avvers il diniego di ammissione del credito vantato dall’Avv. NOME COGNOME allo stato passivo nell’ambito del procedimento di prevenzione nei riguardi di NOME COGNOME in favore del quale l’Avv. COGNOME aveva prestato attività difensiva.
Il tema attiene al sequestro dell’autovettura BMW TARGA_VEICOLO inizialmente sequestrata e successivamente restituita al ricorrente.
La richiesta di ammissione al passivo è stata rigettata perché, secondo il Tribunale, non vi sarebbe prova che il credito professionale del ricorrente – parzialmente soddisfatto con il trasferimento dell’autovettura indicata – fosse, cosi come invece
prospettato dall’Avv. COGNOME effettivamente di consistenza maggiore rispetto al valore della macchina.
In particolare, secondo il Tribunale, non sarebbero idonee a provare il maggior credito dedotto le due fatture (n. 27-28 del 22.5.2020) per complessivi 18.200 euro, allegate dallo stesso COGNOME alla richiesta di ammissione, emesse successivamente al sequestro, attesa la loro natura di mero documento contabile.
2. Ha proposto ricorso COGNOME deducendo violazione di legge.
Assume il ricorrente che, diversamente dagli assunti del Tribunale, le fatture, nell’ambito dei rapporti tra imprenditori, sarebbero dimostrative dell’attività da svolta, peraltro mai contestata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è infondato.
Come già affermato dalla Corte di cassazione (Sez. 2, n. 24311 del 01/04/2022, COGNOME, Rv. 283626) il giudizio relativo alla verifica dei crediti nell’ambito procedimento di prevenzione si connota per l’obiettivo della realizzazione dell’effettivit della misura reale, assicurando al contempo la tutela dei terzi, a condizione che «le forme della tutela siano realizzate alla stregua del Codice antimafia entro i procedimento di prevenzione: ne consegue che il secondo periodo del primo comma dell’art. 45 d. Igs. n. 159 del 2011 pone, tecnicamente, una riserva, quanto alla tutela dei terzi, in capo al giudice della prevenzione» (nella motivazione, § 2.1.).
Si fa riferimento ad «un sistema organico di tutela esteso alla generalità dei creditori del proposto, imperniato su un procedimento incidentale di verifica dei crediti in contraddittorio e sulla successiva formazione di un ‘piano di pagamento’, secondo cadenze mutuate in larga misura dai corrispondenti istituti previsti dalla legge fallimentare», che attraverso la disciplina dettata dagli artt. 52 ss. d. Igs. n. 159 2011 «rappresenta il frutto del bilanciamento legislativo tra i due interessi che in materi si contrappongono: da un lato, l’interesse dei creditori del proposto a non veder improvvisamente svanire la garanzia patrimoniale sulla cui base avevano concesso credito o effettuato prestazioni; dall’altro, l’interesse pubblico ad assicurare l’effett della misura di prevenzione patrimoniale e il raggiungimento delle sue finalità, consistenti nel privare il destinatario dei risultati economici dell’attività illecita» cost., n. 94 del 28/5/2015).
Ciò spiega il senso e la rilevanza del “controllo” affidato al giudice della prevenzione sulla effettività del credito, sull’eventuale utilizzo, da parte del proposto, di prestan che vantino fittiziamente diritti sui beni soggetti alla misura reale, in modo
riottenerne il controllo (Corte cost. n. 26 del 27/2/2019, ove si fa espresso richiamo alla «giusta esigenza di evitare manovre collusive con il debitore sottoposto a procedimento di prevenzione – manovre in ipotesi finalizzate a porre in salvo una parte dei suoi beni dalla prospettiva del sequestro e della successiva confisca – », esigenza che è «soddisfatta attraverso la verifica delle condizioni già imposte in via general dall’art. 52 del d.lgs. n. 159 del 2011 per il soddisfacimento dei diritti di credito terzi»).
La peculiarità del procedimento incidentale di verifica dei crediti (ribadita dalle Sezioni unite (cfr., n. 40797 del 22/06/2023, Fall. RAGIONE_SOCIALE, Rv. 285144, § 7.1.) trova una conferma nella struttura del giudizio, definita dalle norme del d. Igs. 159/2011; si tratta di procedimento che presuppone sì una domanda giudiziale (l’istanza del creditore di ammissione, con il necessario corredo degli elementi a sostegno della stessa: art. 58, comma 2, d. Igs. 159/2011), ma è caratterizzato da un potere di accertamento diverso rispetto a quello del giudizio civile ordinario (che si fonda sul principio dell’iniziativa delle parti), atteso l’espresso riconoscimento dei poteri offici riconosciuti al giudice della prevenzione (art. 59, comma 1, d. Igs. 159/2011), in sintonia con la natura pubblicistica dell’intero procedimento di prevenzione.
Si è correttamente affermato che se è condivisibile l’opinione secondo la quale la procedura per la tutela dei creditori disciplinata dal 4 d. Igs. 159/2011 «è autonoma rispetto al procedimento di prevenzione ed è governata, ove non sia diversamente disposto, da principi mutuati dal diritto civile e fallimentare» (Sez. 5, n. 1841 de 24/11/2016, dep. 2017, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 269123 – 01, nella motivazione, § 3.3.), è allo stesso tempo chiaro che «la tutela dagli artt. 52 e segg. del d.lgs. n. 15 del 2011 apprestata per i creditori che intendano soddisfare le loro ragioni sul patrimonio di debitore oggetto di sequestro ovvero di confisca di prevenzione si modella su quella relativa al fallimento dell’imprenditore, ma la profonda differenza di natura e funzione proprie di tali misure comporta inevitabili diversità nel regime di accertamento dei crediti e nelle modalità di svolgimento dei procedimenti interni alla procedura di liquidazione dei beni nell’interesse dello Stato» (Sez. 1, n. 16145 del 20/3/2018, RAGIONE_SOCIALE n.m.).
È decisivo considerare che il giudice della prevenzione, «assunte anche d’ufficio le opportune informazioni, verifica le domande, indicando distintamente i crediti che ritiene di ammettere, con indicazione delle eventuali cause di prelazione, e quelli che ritiene di non ammettere, in tutto o in parte, esponendo succintamente i motivi dell’esclusione» (art. 59, comma 1, d. Igs. 159/2011).
L’interesse pubblico sotteso al procedimento di verifica dei crediti nel giudizio di prevenzione implica il riconoscimento di poteri d’ufficio idonei ad evitare che il prevenuto precostituisca creditori di comodo per rientrare surrettiziamente nella disponibilità della
ricchezza illecita, vanificando l’efficacia della confisca (così testualmente, Sez. 2, n 46099 del 13/9/2023, COGNOME, Rv. 285821)
Nel caso di specie, correttamente è stata ritenuta non provata l’esistenza del credito.
La giurisprudenza civile è assolutamente consolidata nel ritenere, in tema di crediti professionali, che la fattura è titolo idoneo per l’emissione di un decreto ingiuntivo in favore di chi l’ha emessa, ma nell’eventuale giudizio di opposizione la stessa non costituisce prova dell’esistenza del credito, che dovrà essere dimostrato con gli ordinari mezzi di prova dall’opposto (cfr., Sez. 6, n. 19944 del 12/07/2023, Rv. 668145).
In particolare, in base al combinato disposto degli artt. 633 e 636 cod. proc. civ., la domanda monitoria relativa a crediti per prestazioni professionali deve essere comunque accompagnata dalla parcella delle spese e prestazioni, munita della sottoscrizione del ricorrente e corredata dal parere della competente associazione professionale, mentre la fattura non può ritenersi idonea prova scritta, in relazione a tali crediti (cfr., Sez. 2, n. 22655 del 31/10/2011, Rv. 620135).
Nel caso di specie, non solo sono state poste a fondamento del credito professionale fatture emesse successivamente al sequestro, ma, soprattutto, non esiste nessuna prova né della effettività e della consistenza delle prestazioni che sarebbero state compiute dall’Avv. COGNOME e neppure della congruenza della somma indicata nelle fatture rispetto all’attività svolta.
Né è obiettivamente chiaro perché il ricorrente non si sia munito nemmeno di un parere della competente associazione professionale volto a comprovare la esistenza del credito e del suo ammontare.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P. Q. M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma il 6 novembre 2024.