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Credito inesistente: la Cassazione chiarisce la colpa

Un imprenditore, condannato per l’indebita compensazione di un credito d’imposta per Ricerca e Sviluppo, ha presentato ricorso in Cassazione. Sosteneva che il credito fosse solo “non spettante” e non “inesistente”, e di aver agito senza dolo, fidandosi di consulenti esterni. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, confermando la natura di credito inesistente in quanto mancavano i presupposti costitutivi oggettivi. Ha inoltre ribadito che l’affidamento a professionisti non esonera automaticamente dalla responsabilità penale, poiché la non esistenza del credito è un forte indizio della volontà di frodare il Fisco.

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Pubblicato il 29 ottobre 2025 in Diritto Penale, Diritto Tributario, Giurisprudenza Penale

Credito Inesistente: Cassazione Conferma la Responsabilità Anche con Consulenti

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 34063/2025, torna su un tema cruciale del diritto penale tributario: la distinzione tra credito inesistente e credito non spettante, e le conseguenze sulla responsabilità penale dell’imprenditore. La pronuncia chiarisce che l’affidamento a consulenti fiscali non è sufficiente a escludere il dolo quando i presupposti per il credito mancano del tutto, delineando un perimetro netto per l’applicazione dell’art. 10-quater del D.Lgs. 74/2000.

Il Percorso Giudiziario del Caso

La vicenda processuale ha origine dalla condanna di un imprenditore da parte del Tribunale di Isernia, confermata in appello dalla Corte di Campobasso, per il reato di indebita compensazione. L’imprenditore aveva utilizzato in compensazione un credito d’imposta per attività di Ricerca e Sviluppo che, secondo l’accusa, era privo dei requisiti costitutivi previsti dalla legge.

Contro la sentenza di secondo grado, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, basando la sua difesa su tre argomenti principali.

I Motivi del Ricorso dell’Imputato

La difesa ha articolato il ricorso sostenendo:

1. Errata qualificazione del credito: Si contestava che il credito fosse “inesistente”. Secondo il ricorrente, si trattava al massimo di un credito “non spettante”, una fattispecie meno grave, poiché la società aveva effettivamente svolto delle attività, seppur non correttamente qualificabili ai fini del beneficio fiscale. A sostegno di ciò, si richiamavano le nuove definizioni introdotte dal D.Lgs. 87/2024.
2. Assenza dell’elemento psicologico (dolo): L’imprenditore affermava di aver agito in buona fede, essendosi affidato a una società di consulenza per la verifica dell’idoneità degli investimenti e a un organo di revisione che aveva certificato le attività. Queste cautele, a suo dire, avrebbero dovuto escludere la coscienza e la volontà di commettere il reato.
3. Riqualificazione del reato: In subordine, si chiedeva di riclassificare il fatto nella fattispecie meno grave del primo comma dell’art. 10-quater, applicando le nuove disposizioni più favorevoli.

Le Motivazioni della Cassazione e la Definizione di Credito Inesistente

La Suprema Corte ha dichiarato infondati tutti i motivi di ricorso, fornendo importanti chiarimenti sulla materia. La decisione si fonda su due pilastri argomentativi: la corretta definizione di credito inesistente e la valutazione dell’elemento soggettivo del reato.

La Distinzione tra Credito Inesistente e Credito Non Spettante

La Corte ha ribadito che un credito si definisce inesistente quando mancano, in tutto o in parte, i presupposti costitutivi, ovvero i requisiti oggettivi e soggettivi specificamente indicati dalla normativa di riferimento. In questo caso, l’Agenzia delle Entrate aveva accertato che il progetto realizzato non rientrava nelle “attività ammissibili” di Ricerca e Sviluppo. Di conseguenza, il credito non era mai sorto giuridicamente.

I giudici hanno precisato che la nuova definizione introdotta dal D.Lgs. 87/2024 non rappresenta una novità, ma si pone in linea di continuità con il precedente orientamento giurisprudenziale, che considera “inesistente” un credito ancorato a una situazione non reale o non vera.

Un credito è, invece, “non spettante” quando, pur esistendo i presupposti di base, viene utilizzato in violazione delle modalità procedurali o in misura eccedente a quella consentita. La distinzione è fondamentale, poiché la sanzione penale è differente.

La Responsabilità dell’Imprenditore Nonostante i Consulenti

Sul secondo motivo, la Cassazione è stata altrettanto netta. L’affidamento a un professionista per gli adempimenti fiscali non esonera il contribuente dalla sua responsabilità penale. Il dovere di corretta gestione fiscale è considerato personale e non delegabile.

Secondo la Corte, l’inesistenza stessa del credito costituisce un forte indice rivelatore della coscienza e volontà di bilanciare i propri debiti con una posta creditoria fittizia, ingannando il Fisco. Salvo prova contraria, che nel caso di specie non è stata fornita, si presume la sussistenza del dolo. Affidarsi a un consulente non è, di per sé, una prova sufficiente a dimostrare la buona fede, soprattutto quando la mancanza dei requisiti è macroscopica.

Infine, la Corte ha specificato che le circolari amministrative (come quella del MISE citata dalla difesa) non sono vincolanti per il giudice penale, ma possono essere utilizzate come mero ausilio interpretativo, come correttamente fatto dalla Corte d’appello.

Conclusioni

La sentenza consolida un principio di estrema importanza per imprenditori e professionisti. La responsabilità per l’utilizzo di un credito inesistente è personale e difficilmente superabile invocando la consulenza di terzi. La decisione sottolinea l’onere per il contribuente di verificare, con la massima diligenza, la sussistenza effettiva dei presupposti che danno origine a un credito d’imposta, prima di procedere alla sua compensazione. Per i consulenti, emerge la necessità di un’analisi ancora più rigorosa e documentata, data la potenziale esposizione a responsabilità solidali o concorsuali. In definitiva, la Suprema Corte traccia una linea chiara: l’assenza dei fatti costitutivi del credito rende la compensazione un reato grave, e la buona fede deve essere provata con elementi concreti, non potendo essere presunta dalla semplice delega a un professionista.

Quando un credito d’imposta si considera “inesistente” anziché “non spettante”?
Un credito si considera “inesistente” quando mancano i presupposti costitutivi per la sua stessa nascita, cioè i requisiti oggettivi e soggettivi previsti dalla legge. Si considera invece “non spettante” quando, pur esistendo, viene utilizzato in violazione delle modalità procedurali o per un importo superiore a quello consentito.

Affidarsi a un consulente fiscale esclude la responsabilità penale dell’imprenditore per l’uso di un credito inesistente?
No. Secondo la Corte, l’affidamento a un professionista non esonera automaticamente il contribuente dalla responsabilità penale. L’obbligo di adempiere correttamente ai doveri fiscali è personale e non delegabile, e l’inesistenza del credito è considerata un forte indicatore della volontà di commettere il reato (dolo).

Le circolari amministrative (come quelle ministeriali) sono vincolanti per il giudice penale?
No, le circolari amministrative sono atti interni alla pubblica amministrazione e non hanno effetto vincolante per il giudice penale. Possono essere utilizzate come semplice ausilio interpretativo per comprendere il dato normativo, ma la decisione del giudice deve fondarsi esclusivamente sulla legge e sulle prove processuali.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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