Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 34063 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 34063 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 16/09/2025
Sent. n.1302/2025
UDIENZA PUBBLICA
DEL
16/09/2025
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME, nato a Catanzaro il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 07/11/2024 della Corte di appello di Campobasso
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; letta la requisitoria scritta del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 07/11/2024, la Corte di appello di Campobasso confermava la sentenza emessa in data 09/10/2023 dal Tribunale di Isernia, all’esito di giudizio abbreviato, con la quale NOME era stato dichiarato responsabile del reato di cui all’art. 10-quater d.lgs 74/2000.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione NOME, a mezzo del difensore di fiducia, articolando tre motivi di seguito enunciati.
Con il primo motivo deduce erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 10-quater d.lgs 74/2000 in ordine alla affermata inesistenza del credito di imposta.
Argomenta che la sentenza impugnata aveva erroneamente ritenuto ‘inesistenti’ i crediti portati in compensazione dal contribuente, trattandosi, invece, di ‘crediti non spettanti’, avendo la società effettivamente svolto l’attività per le quali aveva operato la compensazione, in ragione della corretta interpretazione del dato normativo, alla luce della definizione di credito inesistente contenuta nell’art. 1, comma 1, lett. g-quater del d.lgs 74/2000, come modificato dall’art. 1, comma 1, del d.lgs n. 87/2024; deduce, inoltre, che la Corte di appello aveva richiamato i principi di cui alla sentenza RAGIONE_SOCIALE Sezioni Unite Civili (34419 del 12.9.2023), non estensibili in ambito penale; espone, poi, che la Corte di appello aveva dato rilievo alle indicazioni contenute nella circolare MISE n. 59990 del 9.2.2018, atto privo di effetto vincolante per il giudice penale in quanto atto interno alla pubblica amministrazione; conclude, quindi, che la fattispecie configurabile, nella specie, sarebbe quella meno grave di cui all’art. 10-quater, comma 1, d.lgs 74/2000.
Con il secondo motivo deduce erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 10-quater d.lgs 74/2000 ed all’art. 43 cod.pen. per insussistenza dell’elemento psicologico del reato.
Argomenta che erroneamente la Corte di appello aveva ritenuto sussistente l’elemento soggettivo del reato, in quanto la documentazione in atti comprovava che l’imputato, prima di procedere alla compensazione che si assume indebita, si era avvalso di una società di consulenza per ogni verifica circa l’idoneità dell’investimento e dei costi sostenuti ai fini dell’accessibilità al credito di imposta e che l’organo di revisione aveva certificato le attività svolte e la coerenza dei costi sostenuti.; tali circostanze erano idonee ad escludere la sussistenza del dolo.
Con il terzo motivo di ricorso, richiamando le argomentazioni del primo motivo, rimarca che, comunque, a seguito della richiesta riqualificazione del fatto ai sensi dell’art. 10-quater, comma 1, d.lgs 74/2000, deve trovare applicazione la disciplina dettata dall’art. 10-quater comma 2- bis del dlgs 74/2000 (comma aggiunto dall’art. 1, comma 1, lett. d) d.lgs n. 87/2024), in considerazione RAGIONE_SOCIALE peculiarità tecniche che avevano connotato la valutazione circa la spettanza del credito.
Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata.
3. Il PG ha depositato requisitoria scritta, nella quale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso è infondato.
Va osservato che questa Corte, anche dopo la riforma del 2015, ha condiviso l’indirizzo interpretativo che ritiene applicabile alla sola materia degli illeciti di natura amministrativa la definizione dell’art. 13 del D.lgs. 471/1997, imperniata sul duplice presupposto della mancanza totale o parziale del presupposto costitutivo dei crediti medesimi, e della non riscontrabilità della compensazione indebita mediante i controlli di cui agli artt. 36-bis e 36-ter del DPR 600/73 e all’art. 54-bis del DPR 633/72. Da tanto deriva che la fattispecie sanzionata penalmente dall’art. 10-quater, d.lgs. n. 74 del 2000, sviluppa una definizione costitutiva ed autonoma dei concetti di “crediti inesistenti” e di “crediti non spettanti”, preesistente alle modifiche introdotte dal d.lgs. n. 158 del 2015, laddove la definizione di “crediti inesistenti” di cui all’art. 13, comma 5, d.lgs. n. 471 del 1997, rileva ai soli fini dell’integrazione dell’illecito amministrativo specificamente introdotto dal medesimo d.lgs. n. 158, cit. (Cfr. sul punto in motivazione Sez. 3 n. 23083 del 22/02/2022, Beoni, Rv. 283236 – 01).
Questa Corte ha, inoltre, precisato che “per poter qualificare un credito come inesistente è necessario che lo stesso sia ancorato ad una situazione non reale o non vera, ossia priva di elementi giustificativi fenomenicamente apprezzabili, se non anche con connotazioni di fraudolenza” (Sez. 3, n. 7613 del 21/01/2022, Valori, Rv. 282844; Sez. 3, n. 45558 del 16/11/2022, Poste Italiane, Rv. 284054).
Rileva, poi, il Collegio che, più di recente, la nozione di ‘credito inesistente’ ha trovato collocazione nell’art. 1 lett. g quater, del d.Lgs n. 74 del 2000, come modificato dal d.lgs n. 87 del 2024.
Con il nuovo decreto, infatti, sono state aggiunte, all’art. 1 del D.lgs. 74/2000, RAGIONE_SOCIALE specifiche definizioni per “crediti inesistenti” (co. 1 lett. g-quater) e per “crediti non spettanti” (co. 1 lett. g-quinquies).
Rientrano nella prima categoria i crediti per i quali mancano, in tutto o in parte, i requisiti oggettivi o soggettivi specificamente indicati nella disciplina normativa di riferimento; i crediti per i quali i requisiti oggettivi e soggettivi di cui sopra sono oggetto di rappresentazioni fraudolente, attuate con documenti materialmente o ideologicamente falsi, simulazioni o artifici. Rientrano, invece, nella seconda categoria di “crediti non spettanti”, i crediti fruiti in violazione RAGIONE_SOCIALE modalità di utilizzo previste dalle leggi vigenti ovvero, per la relativa eccedenza, quelli fruiti in misura superiore a quella stabilita dalle norme di riferimento; i crediti che, pur in presenza dei requisiti soggettivi e oggettivi specificamente indicati nella disciplina normativa di riferimento, sono fondati su fatti non rientranti nella disciplina attributiva del credito per difetto di ulteriori elementi o particolari qualità richiesti ai fini del riconoscimento del credito; i crediti utilizzati in difetto dei prescritti adempimenti amministrativi espressamente previsti a pena di decadenza, nozione che ha recepito quella frutto dell’elaborazione giurisprudenziale.
Deve ritenersi che la qualificazione in termini di inesistenza dei crediti opposti in compensazione non trova ostacolo nella previsione dell’art. 1, comma 1, lett. gquater, n. 1), d.lgs. n. 74 del 2000, introdotto dal d.lgs. 87/2024, che, anzi, ha ribadito la nozione di credito inesistente, in linea di continuità con la precedente definizione, definendo come tale quel credito di cui siano insussistenti i presupposti costitutivi, vale a dire i requisiti oggettivi o soggettivi specificamente indicati nella disciplina normativa di riferimento.
Correttamente, pertanto, la Corte di appello, in conformità ai principi di diritto suesposti ed in aderenza al dato normativo di cui all’art. 1 lett. g quater, del d.Lgs n. 74 del 2000 ha ritenuto che ci si trovasse di fronte ad un ‘credito inesistente’ e non ad un ‘credito non spettante’, dal momento che l’accertamento in atti compiuti dall’RAGIONE_SOCIALE (atto utilizzabile in ragione del rito abbreviato scelto dall’imputato) aveva rilevato, in maniera condivisibile, l’inesistenza dei presupposti costituitivi oggettivi del credito opposto in compensazione, in quanto il progetto realizzato dalla RAGIONE_SOCIALE non poteva essere classificato di Ricerca e Sviluppo perchè non rientrante nelle ‘attività ammissibili’ di cui all’art. 3, commi 4 e 5 del dl n. 145/2013 (cfr pp 3,4,5,6 della sentenza impugnata).
Nè trova riscontro la deduzione difensiva che lamenta che la Corte di appello avrebbe basato la valutazione in ordine alla inesistenza del credito utilizzato sulla sola circolare del MISE del 9.2.2018 n. 59990. I Giudici di appello, infatti, hanno fondato la valutazione sul puntuale esame del dato normativo di riferimento e trovato riscontro a quanto osservato anche nel contenuto della predetta circolare che, dunque, è stata richiamata solo quale ausilio all’interpretazione del dato normativo, in conformità al principio di diritto, secondo cui la circolare
interpretativa è atto interno alla pubblica amministrazione che si risolve in un mero ausilio interpretativo e non esplica alcun effetto vincolante non solo per il giudice penale, ma anche per gli stessi destinatari poiché non può comunque porsi in contrasto con l’evidenza del dato normativo (v., in termini, Sez. 3, n. 6619 del 7.2.2012, Rv. 252541; Sez. 3, ord. n. 25170 del 13.6.2012, Rv. 252771; Sez. 3, n. 2757 del 6.12.2017, dep. il 23.1.2018, Rv. 272029).
2. Il secondo motivo di ricorso è infondato.
La Corte di appello ha ritenuto la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, dando rilievo alla inesistenza del credito opposto in compensazione e considerando irrilevante la circostanza che l’imputato si fosse affidato ad un consulente per l’accesso al beneficio fiscale.
La motivazione è congrua e logica ed in linea con i principi di diritto affermati da questa Corte in subiecta materia .
Va ribadito, infatti, il principio secondo cui (cfr. in termini Sez. 3, n. 5934 del 12/09/2018, dep. 2019, Rv. 275833 – 02), in tema di reato di cui all’art. 10 quater del d. lgs n. 74 del 2000, sotto il profilo soggettivo, l’inesistenza del credito costituisce di per sé, salvo prova contraria, un indice rivelatore della coscienza e volontà del contribuente di bilanciare i propri debiti verso l’Erario con una posta creditoria artificiosamente creata, ingannando il Fisco.
Inoltre, va richiamato al principio di diritto, secondo cui l’affidamento a un professionista dell’incarico di provvedere agli adempimenti fiscali non esonera il soggetto obbligato dalla responsabilità penale per l’omissione degli stessi, in quanto la norma tributaria considera come personale e indelegabile il relativo dovere (Sez. 3, n. 9417 del 14/01/2020, Quattri, Rv. 278421 – 01; Sez. 3, n. 37856 del 18/06/2015, COGNOME, Rv. 265087 01; Sez. 3, n. 9163 del 29/10/2009, dep. 2010, COGNOME, Rv. 246208 – 01, Sez.3, n. 102 del 24/11/1999, dep.11/01/2000, Rv.215304 – 01). Trattasi, infatti, di principio AVV_NOTAIO che, per identità di ratio , trova applicazione anche con riferimento al reato di cui all’art. 10quater d.lgs 74/2000, qualora il l’agente si sia avvalso di consulenza fiscale in ordine alla spettanza e compensabilità del credito opposto, concretizzandosi il reato nell’omesso versamento RAGIONE_SOCIALE somme dovute, utilizzando in compensazione crediti non spettanti o inesistenti.
3. Il terzo motivo di ricorso è infondato.
Esso di fonda sulla richiesta di qualificare il reato contestato ai sensi dell’art. 10-quater, comma 1, d.lgs 74/2000; la richiesta è stata già ritenuta infondata secondo le argomentazioni svolte al paragrafo 1, in sede di disamina del primo motivo di ricorso, al quale quello in esame si ricollega. Da tanto discende anche l’infondatezza del motivo di ricorso in esame.
Consegue, pertanto, il rigetto del ricorso e, in base al disposto dell’art. 616 cod.proc.pen, la condanna del ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali.
Così deciso il 16/09/2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
NOME COGNOME