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Credito e confisca: la tutela della banca in buona fede

Un istituto di credito si è opposto alla confisca dei beni di un proprio cliente, a garanzia di un finanziamento concesso prima del sequestro. La Corte di Cassazione ha annullato la decisione dei giudici di merito che negava la tutela alla banca. La Suprema Corte ha stabilito che, per escludere i diritti del creditore, non basta una mera coincidenza temporale tra il prestito e il reato, ma serve una prova concreta del nesso di strumentalità. Inoltre, la valutazione della buona fede della banca non può basarsi su generiche affermazioni sulla notorietà del debitore alle forze dell’ordine, ma deve fondarsi su un’analisi rigorosa degli elementi a disposizione dell’istituto al momento dell’erogazione del credito e confisca.

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Pubblicato il 14 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Credito e Confisca: Quando la Banca Può Salvare le Proprie Garanzie?

Il rapporto tra credito e confisca penale rappresenta un terreno complesso, dove si scontrano l’esigenza dello Stato di colpire i patrimoni illeciti e la necessità di tutelare i terzi che, in buona fede, hanno concesso finanziamenti. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 18577/2024) fa luce sui criteri che i giudici devono seguire per bilanciare questi interessi, rafforzando le garanzie per gli istituti di credito diligenti.

I Fatti di Causa

Un istituto di credito aveva concesso nel 2010 un finanziamento di oltre 900.000 euro a un proprio correntista. Quest’ultimo vantava una solida posizione patrimoniale, con crediti per circa 10 milioni di euro e titoli per 1 milione, e aveva fornito adeguate garanzie reali (pegni su strumenti finanziari). La richiesta di finanziamento era motivata dalla necessità di liquidità immediata senza dover smobilizzare gli investimenti in un momento di mercato sfavorevole.

Pochi giorni dopo l’erogazione, il cliente effettuava bonifici per importi significativi verso società terze e verso una propria azienda. Anni dopo, nel 2013, tutti i beni del correntista venivano sottoposti a sequestro preventivo nell’ambito di un’indagine per reati fiscali (emissione di fatture per operazioni inesistenti). All’esito del processo, l’uomo veniva condannato e i suoi beni definitivamente confiscati.

A questo punto, la banca avviava un procedimento per veder riconosciuta la propria posizione di creditore in buona fede e poter così escutere le garanzie a tutela del proprio credito. Tuttavia, il giudice dell’esecuzione rigettava la richiesta, ritenendo il finanziamento “strumentale” all’attività criminosa e la banca priva della buona fede richiesta.

La Decisione della Cassazione sul Credito e Confisca

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso della banca, annullando il provvedimento impugnato e rinviando il caso alla Corte d’Appello per un nuovo esame. La Suprema Corte ha ritenuto la motivazione del giudice di merito “inesistente” e “apodittica”, stabilendo principi chiari per la valutazione del nesso di strumentalità e della buona fede del creditore.

Il Nesso di Strumentalità: Un Legame da Provare, non da Presumere

Il primo punto critico affrontato dalla Cassazione riguarda il presupposto della “strumentalità” del credito rispetto al reato. Il giudice di merito aveva desunto questo legame dalla sola corrispondenza temporale tra l’erogazione del finanziamento e i successivi bonifici.

Secondo la Suprema Corte, questo approccio è errato. Per dimostrare la strumentalità, non è sufficiente una mera vicinanza temporale. È necessario un accertamento concreto e preciso che colleghi funzionalmente il finanziamento all’attività illecita. Nel caso di specie, i reati contestati erano stati commessi tre e diciotto mesi dopo il finanziamento, un lasso di tempo che rendeva la motivazione del giudice ancora più debole e generica.

La Buona Fede del Creditore e l’Onere della Prova

Il secondo e cruciale aspetto riguarda la valutazione della buona fede della banca. Il giudice dell’esecuzione aveva negato la buona fede affermando che il cliente era “già pregiudicato e noto alle forze di polizia” e che la banca non aveva svolto approfondimenti sulla destinazione delle somme.

Anche su questo punto, la Cassazione ha censurato la decisione. La motivazione è stata definita apodittica perché non faceva riferimento a elementi concreti presenti negli atti (come il certificato del casellario giudiziale) né spiegava perché la banca avrebbe dovuto essere a conoscenza di tali informazioni. Affermazioni generiche come “noto alle forze di polizia” sono irrilevanti, in quanto si tratta di informazioni non accessibili a un operatore commerciale.

Il giudice avrebbe dovuto, invece, condurre una valutazione ponderata, analizzando gli elementi che la banca aveva a disposizione al momento dell’erogazione del credito: la solidità patrimoniale del cliente, l’adeguatezza delle garanzie e la plausibilità della motivazione addotta per la richiesta di finanziamento. Solo dimostrando una negligenza concreta nello svolgimento dei controlli relativi all’affidabilità commerciale del debitore si può escludere la buona fede del creditore.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano sulla necessità di un giudizio rigoroso e basato su prove concrete, sia per affermare la strumentalità del credito sia per negare la buona fede del terzo. Un’affermazione di responsabilità o di collegamento con l’attività illecita non può derivare da mere presunzioni o da affermazioni generiche. Il giudice deve esplicitare il percorso logico seguito, indicando gli elementi fattuali specifici su cui si basa la sua decisione. La tutela del terzo creditore, prevista dal D.Lgs. 159/2011, richiede un accertamento che vada oltre il sospetto, ancorando il giudizio a evidenze puntuali che dimostrino un collegamento effettivo tra il credito e il reato, o una colpevole negligenza del creditore nel non averlo rilevato.

Le Conclusioni

Questa sentenza rappresenta un importante punto di riferimento nel dibattito sul rapporto tra credito e confisca. Essa chiarisce che la tutela dei creditori terzi non può essere vanificata da motivazioni superficiali o presuntive. I giudici hanno l’onere di dimostrare in modo puntuale e concreto sia il nesso di strumentalità del credito con il reato, sia l’eventuale carenza di buona fede del creditore. Per gli operatori finanziari, la decisione ribadisce l’importanza di una scrupolosa istruttoria creditizia, ma al contempo li protegge da responsabilità basate su informazioni non ragionevolmente accessibili o su ricostruzioni a posteriori che non tengono conto del contesto informativo esistente al momento della concessione del finanziamento.

Quando un credito bancario è considerato “strumentale” a un’attività illecita?
Un credito è considerato “strumentale” quando esiste un collegamento concreto e funzionale tra la somma erogata e la commissione del reato. Secondo la sentenza, non è sufficiente una mera coincidenza temporale; il giudice deve fornire una prova puntuale di questo nesso, basandosi su elementi specifici e non su generiche presunzioni.

Cosa deve fare una banca per dimostrare la sua “buona fede” in caso di confisca dei beni del cliente?
La banca deve dimostrare di aver agito con la diligenza richiesta a un operatore professionale. Ciò significa aver condotto un’adeguata istruttoria per valutare l’affidabilità commerciale e la solvibilità del debitore al momento della concessione del credito. La buona fede viene esclusa solo se si prova una negligenza concreta della banca nell’eseguire tali controlli.

Il fatto che un cliente abbia precedenti penali è sufficiente per escludere la buona fede della banca?
No. La sentenza chiarisce che un dato come l’esistenza di precedenti penali non è di per sé sufficiente a escludere la buona fede, soprattutto se non è accompagnato da una valutazione specifica della loro incidenza sull’operazione richiesta. Affermazioni generiche come “soggetto noto alle forze di polizia” sono considerate irrilevanti, in quanto si tratta di informazioni non accessibili a un operatore commerciale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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