Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 46354 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 46354 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 29/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nata a Firenze il 24/01/1983
avverso l’ordinanza del 23/04/2024 del Tribunale di Firenze visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con il provvedimento in epigrafe indicato, il Tribunale di Firenze ha confermato il decreto emesso in data 15 settembre 2023 dal Giudice delle indagini preliminari del medesimo Tribunale, con il quale è stato disposto il sequestro preventivo della somma di euro 227.000 nei confronti del ricorrente per il reato di cui all’art. 640-bis cod. pen., da eseguirsi sul conto corrente dell’indagato o in subordine dei beni mobili o immobili, finalizzato alla confisca per equivalente, fino alla concorrenza di detto importo.
Al COGNOME è stato contestato il reato di cui all’art. 640-bis cod. pen., quale direttore dei lavori nominato dalla RAGIONE_SOCIALE, in concorso con i rappresentanti della predetta società appaltatrice ed i committenti dei lavori di ristrutturazione di un immobile di proprietà, commissionati alla predetta società, per avere con falsa documentazione (falsi SAL e fatture per lavori non eseguiti), conseguito dei crediti di imposta di importo corrispondente, poi monetizz
tramite cessione all’Unipol, in applicazione delle normative sul c.d. superbonus al 110%, del bonus facciate ed ecobonus al 50%, senza rispettare i termini di esecuzione dei lavori alle scadenze dichiarate all’Agenzia dell’Entrate.
La Seconda Sezione della Corte di cassazione con la sentenza del 7 febbraio 2024 aveva annullato con rinvio l’ordinanza del Tribunale per il riesame emessa il 2 novembre 2023, avendo rilevato l’omesso esame della documentazione difensiva che afferiva alla contestata falsità dei due SAL del 2 settembre 2021 e del 25 novembre 2021 (Stati Avanzamento Lavori) e all’esecuzione parziale dei lavori.
Il Tribunale in sede di rinvio ha confermato il sequestro preventivo, avendo ritenuto che la documentazione prodotta non fosse idonea ad escludere la falsità dei due SAL attestanti l’esecuzione dei lavori al 30% ed al 60% in date incompatibili con l’affidamento dei lavori alla ditta subappaltatrice.
Ha, poi, ravvisato il c.d. periculum in mora in considerazione degli importi elevati oggetto del sequestro e dei ritardi della società “RAGIONE_SOCIALE” nei pagamenti dei lavori subappaltati alla RAGIONE_SOCIALE ed alle altre ditte che per questa ragione avevano interrotto le lavorazioni.
Tramite il proprio difensore di fiducia, NOME COGNOME ha proposto ricorso per i motivi di seguito indicati.
2.1. Con il primo motivo deduce la violazione di legge per avere il Tribunale ravvisato il presupposto del fumus commissi delicti in ordine al reato di cui all’art. 640-bis cod. pen. senza la sussistenza dei raggiri contestati.
In particolare, adduce il ricorrente che per quanto riguarda i bonus diversi dal 110°/0 non è prevista alcuna percentuale di esecuzione minima dei lavori, potendosi avanzare la richiesta del “bonus” in rapporto all’emissione di ogni singola fattura, mentre con riguardo alla comunicazione del SAL all’Agenzia dell’Entrate l’accertamento della sussistenza dei presupposti per la compensazione dei crediti di imposta rimane postuma, affidata al regime dell’accertamento tributario entro cinque anni. Da qui si assume che il completamento dei lavori può avvenire entro il predetto arco temporale di cinque anni e dunque entro il sesto anno successivo a quello in cui sono state sostenute le spese, e che, pertanto, è sufficiente che i lavori siano solo iniziati.
2.2. Con il secondo motivo denuncia violazione di legge in merito alla sussistenza del presupposto del periculum in mora.
Il Tribunale con motivazione apparente ha formulato mere congetture ponendo a fondamento del rischio di dispersione l’importo elevato del profitto e le notizie de relato apprese dai committenti circa il mancato pagamento dei lavori appaltati ad altre ditte, senza considerare che secondo la prospettazione
accusatoria gli stessi committenti sarebbero complici della consapevole sottoscrizione dei SAL falsi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere rigettato per infondatezza di entrambi i motivi con esso dedotti.
Con riferimento al primo motivo relativo al presupposto del fumus commissi delicti in ordine al reato di cui all’art. 640-bis cod.pen. si osserva quanto segue.
Innanzitutto, deve subito evidenziarsi la infondatezza della linea interpretativa propugnata dal ricorrente secondo cui la cessione del credito di imposta correlato ai benefici fiscali riferiti a specifiche tipologie di interventi n settore edile (i bonus ordinari diversi dal superbonus al 110%), possa avvenire prima dell’esecuzione dei lavori cui si riferiscono le spese ammesse al beneficio.
A tale riguardo va osservato che la materia è stata oggetto di interpretazioni contrastanti in sede tributaria con riferimento all’applicabilità del comma 1-bis dell’art.121 del d.l. 19 maggio 2020, n. 34 (c.d. decreto rilancio), convertito con modificazioni dalla I. 17 luglio 2020, n. 77, alle agevolazioni fiscali relative agl interventi edilizi disciplinati dal citato art.121, comma 2, diversi da quelli ammessi alla detrazione nella misura del 110 % (quest’ultimi descritti nell’art. 119 sempre del medesimo d.l. 34/2020), per i quali è stata estesa la facoltà di optare per lo “sconto in fattura” o per la cessione del credito, in alternativa alla detrazione dall’imposta dovuta da parte dello stesso contribuente che ha sostenuto la spesa, da ripartire in cinque quote annuali di pari importo.
Il citato comma 1-bis prevede testualmente che “L’opzione di cui al comma 1 può essere esercitata in relazione a ciascuno stato di avanzamento dei lavori. Ai fini del presente comma, per gli interventi di cui all’articolo 119 gli stati di avanzamento dei lavori non possono essere più di due per ciascun intervento complessivo e ciascuno stato di avanzamento deve riferirsi ad almeno il 30 per cento del medesimo intervento.”
La seconda parte della disposizione appena richiamata specifica che solo per “gli interventi di cui all’art.119” (ovvero gli interventi edilizi per l’effici energetica, sisma bonus, fotovoltaico e colonnine di ricarica di veicoli elettrici), che corrispondono a quelli per i quali è prevista la detrazione fiscale del 110% (c.d. superbonus), l’opzione per la cessione del credito – cui è equiparata quella dello sconto in fattura, che si sostanzia nella cessione del credito agli stessi fornitori che hanno effettuato l’intervento edilizio, ulteriormente cedibile da questi ad altri soggetti, compresi gli istituti di credito e gli altri intermediari finanzi richiede che le spese documentate dalle fatture siano relative a lavori
effettivamente eseguiti per stati di avanzamento (sal), divisi in non più di due, riferiti ciascuno ad almeno il 30% dell’importo complessivo del medesimo intervento edilizio.
Nella prima parte della disposizione, che pone come condizione per l’opzione della cessione del credito il riferimento a “ciascuno stato di avanzamento”, non sono previste distinzioni tra le diverse tipologie di interventi edilizi, e quindi tal disposizione andrebbe applicata anche agli interventi edilizi di cui al comma 2 dell’art. 121 cit., in cui sono richiamate le tipologie di interventi ammesse alle detrazioni inferiori al 110% secondo le normative previgenti (“bonus ordinari”).
A tale riguardo è però intervenuto il d.l. 16 febbraio 2023, n.11, convertito con modificazioni dalla I. 11 aprile 2023, n. 38, che con l’art. 2-ter, comma 1, lett. a), ha disposto che per garantire la certezza del diritto e prevenire e ridurre il contenzioso in materia di incentivi per le spese relative agli interventi di cui al citato decreto legge, l’art.121, comma 1-bis “si interpreta nel senso che, per gli interventi diversi da quelli di cui all’articolo 119 del citato decreto-legge, l liquidazione delle spese per i lavori in base a stati di avanzamento costituisce una mera facoltà e non un obbligo”.
Quindi, se è pur vero che per i benefici fiscali diversi dal c.d. superbonus può prescindersi dalla presentazione degli stati di avanzamento lavori, ciò non significa che l’opzione della cessione del credito sia esercitabile sulla base di fatture che non documentino spese relative a lavori o forniture effettivamente realizzate.
La diversità per i cc.dd. bonus ordinari (ecobonus, bonus facciate, sismabonus e bonus ristrutturazioni) attiene solo alla possibilità che le spese, oggetto della cessione del credito di imposta, non siano ripartite sulla base della presentazione di stati di avanzamento lavori per importi parziali predeterminati, potendo essere riferiti anche a prestazioni parziali di misura non predeterminata rispetto all’intero costo dell’intervento, e senza una ripartizione vincolata per numero di esecuzioni frazionate dell’intero importo delle opere ammesse al beneficio.
La comunicazione all’Agenzia dell’Entrate della opzione per la cessione del credito richiede però in ogni caso che le spese ammesse al beneficio siano comunque riferite a prestazioni effettivamente eseguite, essendo prevista dalla medesima disposizione di legge (art. 121, comma 1-ter, lett. b), l’asseverazione da parte di un tecnico abilitato della congruità delle spese documentate rispetto ai lavori eseguiti ai fini dell’esercizio della cessione del credito e la conseguente monetizzazione attraverso la riscossione del relativo importo versato da un intermediario finanziario che subentra nella titolarità del credito ceduto, dopo la rituale comunicazione all’Agenzia dell’Entrate.
La condizione della avvenuta esecuzione delle opere ammesse al beneficio fiscale non è richiesta nel solo caso in cui la detrazione fiscale sia operata dallo stesso contribuente che ha affrontato la spesa per l’intervento edilizio, quando non venga cioè esercitata l’opzione dello “sconto in fattura” o della cessione del credito di imposta.
Solo in tale caso, non trovando applicazione la disciplina dell’art. 121 cit., è ammessa la possibilità di estendere l’agevolazione fiscale anche ai pagamenti anticipati rispetto all’esecuzione delle opere in forza del “criterio di cassa”, secondo cui le spese fatturate, per potere essere detratte fiscalmente in base alle percentuali previste dai vari bonus, devono essere pagate durante il periodo di vigenza delle agevolazioni fiscali, salva evidentemente la revoca del beneficio ove le opere ammesse al beneficio fiscale non sia state poi effettivamente eseguite alle scadenze stabilite (come chiarito anche dalle circolari ministeriali, tra cui vedi Circolare 25/07/2021 n.7/E, in tema di bonus ristrutturazioni, ecobonus e ecosismabonus).
Peraltro, nel caso di specie il ricorrente neppure ha addotto che le fatture emesse erano riferite ad “acconti” per prestazioni ancora da eseguirsi, sicchè il tema dedotto non assume alcuna rilevanza neppure sotto il profilo della verifica dell’elemento soggettivo del reato per l’errata interpretazione della normativa tributaria sulle modalità e condizioni necessarie per usufruire delle agevolazioni fiscali.
Nel caso in esame, ciò che emerso dalle iniziali indagini in corso è che la cessione e monetizzazione del credito sono state operate sulla base di due stati avanzamento lavori, il primo del 2 settembre 2021 ed il secondo del 25 novembre 2021, per lavori non eseguiti a tali date, e quindi sulla base di fatture attestanti cose non vere circa la descrizione delle opere già eseguite.
A tale proposito il Tribunale per il riesame, in sede di giudizio di rinvio, investito dalla verifica della idoneità della documentazione difensiva a provare la esecuzione delle opere alle date attestate nei due SAL, e più in generale rispetto alle comunicazioni operate all’Agenzia dell’Entrate ai fini della cessione del credito di imposta, presupposto per la sua successiva monetizzazione, ha evidenziato l’incongruità delle attestazioni riferite ad opere eseguite ancora prima dell’affidamento in subappalto alla ditta (RAGIONE_SOCIALE) incaricata della loro esecuzione, oltre alle dichiarazioni rese dai committenti delle opere edilizie che, pur avendo assunto la veste di indagati, sono stati ritenuti credibili in ordine a quanto da essi denunciato, circa il fatto che alla data del primo SAL erano stati solo montati i ponteggi e che alla data del secondo SAL i lavori, seppure iniziati, non avevano raggiunto la percentuale del 60% dell’intero importo dell’intervento di ristrutturazione edilizia, che costituiva la condizione per poter operare la cessione
del credito ai fini della riscossione del relativo importo, monetizzato presso la Unipol.
Devesi rilevare che in sede di sequestro preventivo è sufficiente la sussistenza di elementi che consentano di ritenere fondata l’ipotesi di reato, fatti salvi i necessari approfondimenti nel corso del procedimento con riguardo sia alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato e sia alla verifica dei tempi di esecuzione dei lavori in rapporto alla problematiche interpretative riguardanti la rilevanza, nella determinazione delle percentuali dei SAL ai fini delle agevolazioni fiscali collegate al c.d. superbonus edilizio, delle spese relative all’acquisto dei materiali necessari per gli interventi edilizi prima della loro posa in opera.
Va ricordato che in sede di riesame dei provvedimenti che dispongono misure cautelari reali, al giudice è demandata una valutazione sommaria in ordine al “funnus” del reato ipotizzato relativamente a tutti gli elementi della fattispecie contestata; ne consegue che lo stesso giudice può rilevare anche il difetto dell’elemento soggettivo del reato, purchè esso emerga “ictu oculi” (da ultimo, vedi, Sez. 3, n. 26007 del 05/04/2019, COGNOME, Rv. 276015).
A tale proposito, deve essere altresì considerato che quando si tratti di aspetti controversi e di non facile lettura, il piano amministrativo dei rimedi e delle sanzioni correlate alla mancata osservanza delle condizioni richieste per usufruire dei bonus fiscali (l’art. 121, comma 5, del cit. d.l. 34/2020 prevede il recupero dell’importo della detrazione fiscale non dovuta nei confronti del primo cedente, e la responsabilità solidale dei cessionari nel caso di concorso nella violazione) non può essere assimilato a quello penale, in cui l’accertamento della responsabilità richiede la prova del dolo in rapporto anche al carattere indebito del percepimento dell’agevolazione fiscale.
Cionondimeno, nel caso in esame, allo stato delle valutazioni operate in sede di riesame della misura cautelare reale, le doglianze difensive appaiono infondate, ponendosi anche al di fuori dell’ambito cognitivo previsto dall’art. 325, cod. proc. pen., che limita la ricorribilità per cassazione al solo vizio di violazion di legge.
Assume, invece, rilevanza, ai fini della valutazione del c.d. fumus commissi delicti, sebbene non oggetto di deduzioni da parte del ricorrente, la qualificazione giuridica del reato, non potendosi ritenere corretto il riferimento operato nell’ordinanza impugnata all’art. 640-bis cod. pen.
Il tema centrale che qui deve essere affrontato non è tanto quello della delimitazione dell’ambito di rilevanza penale segnato dagli artt. 316-ter e 640-bis cod. pen. con riferimento al carattere chiuso o aperto della elencazione contenuta
nelle predette norme con riguardo alla descrizione delle forme di assistenza ed agevolazione economica che lo Stato concede e/o eroga a beneficio di determinati soggetti alle condizioni richieste per il conseguimento di detti benefici a carico della finanza pubblica.
Del resto, nel d.l. n.152 del 6/11/21, conv. con I. 29 dicembre 2021, n.233, recante «Disposizioni urgenti per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e per la prevenzione delle infiltrazioni mafiose», si definisce espressamente come contributo pubblico anche quello concesso sotto forma di credito di imposta.
Questo tema è stato già affrontato da questa Corte (Sez. 6, n. 2125 del 24/11/2021 dep. 2022, COGNOME, Rv. 282675) con argomenti che qui si condividono e che hanno portato a ritenere che nella nozione di “altre erogazioni…comunque denominate” contenuta sia nell’art. 316-ter che nell’art. 640-bis cod. pen. possano rientrare tutte le forme di agevolazioni che a prescindere dal nomen iuris del vantaggio economico goduto dal privato siano destinate a gravare sul bilancio economico dello Stato o di altro ente pubblico.
Come è noto, entrambe tali fattispecie fanno riferimento alla nozione di “contributi, finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate” e si distinguono tra loro per aspetti che riguardano non già la tipologia delle erogazioni a carico dello Stato o di altri enti pubblici o delle Comunità europee, che sono obiettivamente identiche, ma per le modalità con cui tali erogazioni vengono conseguite dai beneficiari.
Il problematico discrimine tra le due predette fattispecie incriminatrici ha trovato una condivisa soluzione nella sentenza delle Sezioni Unite n. 16568 del 19/04/2007, Carchivi, Rv. 235962, che, risolvendo il contrasto delineatosi nella giurisprudenza dell’epoca, relativo alla riconducibilità o meno delle sovvenzioni pubbliche a carattere assistenziale o previdenziale – nel caso scrutinato, il reddito minimo di inserimento – alle previsioni di cui agli artt. 316-ter e 640-bis cod. pen., hanno analizzato le differenze tra gli elementi costitutivi di tali delitti.
In epoca successiva la giurisprudenza ha confermato la linea esegetica, tracciata dalla sentenza COGNOME, evidenziando come il reato di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato si differenzi da quello di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche finalizzata al conseguimento delle stesse, previsto dall’art. 640-bis cod. pen. per la mancata inclusione, tra gli elementi costitutivi, della induzione in errore del soggetto erogatore, che invece connota la truffa.
Nel caso della indebita percezione di cui al primo reato il soggetto erogatore è chiamato esclusivamente ad operare una presa d’atto dell’esistenza della formale dichiarazione da parte del privato del possesso dei requisiti
autocertifìcati, e non anche a compiere un’autonoma attività di accertamento (tra le molte, Sez. 6, n. 51962 del 02/10/2018, Muggianu, Rv. 274510 – 02; Sez. 2, n. 23163 del 12/04/2016, COGNOME, Rv. 266979; Sez. 2, n. 23163 del 12/04/2016, Oro, Rv. 266979; Sez. F, n. 44878 del 06/08/2019, COGNOME, Rv. 279036 – 03).
L’aspetto che deve essere qui affrontato attiene piuttosto alla natura del reato previsto dall’art. 316-ter cod. pen., se debba cioè essere considerato come reato contro il patrimonio alla stessa stregua del reato di truffa.
Non vi è dubbio che il delitto di truffa di cui all’art. 640 cod. pen., richiamato espressamente anche dall’art. 640-bis, presuppone come suo elemento costitutivo il danno patrimoniale correlato al profitto ingiusto, che non può essere individuato nella sola assunzione dell’obbligazione da parte dello Stato, ma presuppone la deminutio patrimoni’ (cfr. Sez. U, n. 18 del 21/06/2000, COGNOME, Rv. 216429-01; Sez. 2, n. 31652 del 28/04/2017, COGNOME, Rv. 270606-01; Sez. 3, n.23402 del 07/03/2024, COGNOME, Rv. 286554)
Nel caso in esame il meccanismo fraudolento esule dalla fattispecie della truffa sia per la mancanza dell’elemento decettivo e sia del danno patrimoniale.
Sotto il primo profilo si deve osservare che per il conseguimento del credito di imposta non sono previsti controlli preventivi da parte dell’Agenzia dell’Entrate, quale necessaria condizione per il conseguimento del credito di imposta, essendo sufficiente la comunicazione all’Agenzia dell’Entrate dell’operazione negoziale agevolata.
L’Agenzia dell’Entrate si limita, infatti, a prendere atto della comunicazione del contribuente sulla base delle attestazioni della congruità delle spese sostenute e della conformità alle tipologie di interventi edilizi agevolati, salvo riservarsi di sospendere la procedura nei casi che presentino un rischio evidente di anomalie.
Tale potere di sospensione cautelativa è stato introdotto solo con il d.l. 11 novembre 2021, n. 157 (in G.U. 11/11/2021, n.269), che ha inserito l’art. 122-bis nel testo originario del cit. d.l. n.34/2020, prevedendo al comma 1, testualmente, che “L’Agenzia delle entrate, entro cinque giorni lavorativi dall’invio della comunicazione dell’avvenuta cessione del credito, può sospendere, per un periodo non superiore a trenta giorni, gli effetti delle comunicazioni delle cessioni, anche successive alla prima, e delle opzioni inviate alla stessa Agenzia ai sensi degli articoli 121 e 122 che presentano profili di rischio, ai fini del relativo control preventivo”.
Si tratta però di una procedura di controllo preventivo di tipo cautelativo, solo eventuale, che non si sostituisce a quella ordinaria di controllo che opera solo
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in una fase successiva alla cessione e monetizzazione del credito di imposta, fatta eccezione, come appena osservato, per le comunicazioni relative alle cessioni ritenute a rischio e sospese in via cautelativa proprio al fine di evitare la monetizzazione del credito e la sua circolazione attraverso successive cessioni.
La procedura di controllo preventivo di carattere eventuale che caratterizza la disciplina della concessione dell’agevolazione fiscale si distingue da quella attività di verifica preliminare, quale condizione imprescindibile generalizzata per l’erogazione del contributo pubblico, che rappresenta il presupposto della truffa, sotto il profilo dell’elemento dell’induzione in errore.
Nel caso di specie, la concessione del contributo pubblico è avvenuta sulla base della mera autodichiarazione mendace del committente dei lavori e il potere di controllo dell’Agenzia delle Entrate, per espressa previsione normativa, è solo successivo all’erogazione e opera nell’ordinario termine di decadenza per l’accertamento dei tributi.
Va però rimarcato in questa sede che anche sotto il profilo dell’elemento del danno patrimoniale la fattispecie in esame esula dal paradigma della truffa.
L’agevolazione fiscale, in cui consiste l'”erogazione” o il “contributo” pubblico, coincide in questo caso con l’acquisizione indebita del credito di imposta (diritto alla detrazione fiscale), prima ancora del suo utilizzo in compensazione nella dichiarazione fiscale relativa agli anni di imposta in cui tale detrazione verrà operata (nei cinque anni a seguire) da parte di un soggetto diverso dall’autore della frode ed estraneo al reato, salva prova contraria, tanto da vedere tutelato il suo diritto ad avvalersi del credito di imposta ai fini della compensazione con l’imposta dovuta nel corso del quinquennio successivo all’insorgenza del credito.
Solo quando i crediti ceduti sono stati materialmente riscossi o compensati può dirsi realizzato il danno per lo Stato, per essersi verificata la concreta perdita patrimoniale, siccome erogato a rimborso di un credito fittizio ovvero non incassato per effetto di compensazione con un credito fittizio.
Ma il danno patrimoniale nel caso in esame non è la diretta conseguenza della condotta decettiva, in quanto il cessionario del credito che lo utilizza ai fini della compensazione in sede di dichiarazione fiscale è di regola soggetto estraneo al meccanismo fraudolento, che si realizza in una fase che precede la cessione del credito ed alla quale non partecipa, quella dell’acquisizione del credito di imposta per effetto delle falsificazioni dei Sal o della emissione di fatture per operazioni inesistenti.
Quindi, il danno per lo Stato è un evento successivo ed eventuale rispetto alla indebita concessione del credito fiscale e non si pone come diretta
conseguenza delle condotte poste in essere dai soggetti che, attraverso la falsificazione dei SAL o la emissione di fatture per operazioni inesistenti, abbiano conseguito il credito di imposta, utile alla sua successiva monetizzazione presso gli istituti di credito.
Tutte le considerazioni che precedono inducono ad escludere la configurabilità del reato di truffa aggravata previsto dall’art. 640-bis cod. pen. e a ritenere integrato il reato previsto dall’art. 316-ter cod. pen.
Va ricordato che con il decreto n.13 del 25 febbraio 2022, entrato in vigore il 26 febbraio 2022 (poi abrogato dalla legge 28 marzo 2022 n.25, ma confluito nel decreto-legge 27 gennaio 2022, n. 4, convertito con la citata legge n.25/22, in particolare nell’allegato della legge di conversione sono stati introdotti i nuovi articoli 28, comma 1-bis, 28-bis, 28-ter, corrispondenti a quelli del decreto abrogato), sono state introdotte misure di contrasto alle frodi nel settore delle agevolazioni fiscali ed economiche, e sono state modificate le rubriche degli artt. 316-bis e 316-ter cod. pen. con la eliminazione delle parole “a danno dello Stato” per cui si definisce il reato di cui al 316-bis come “malversazione di erogazioni pubbliche” e non più come “malversazione a danno dello Stato”, ed il reato di cui al 316-ter come “indebita percezione di erogazioni pubbliche” anziché “indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato”, a rimarcare, quindi, che a differenza della truffa, non si tratta di reati contro il patrimonio, proprio perché la lor consumazione è anticipata rispetto al danno arrecato al patrimonio dello Stato.
Se si ritiene che l’esborso di denaro pubblico o il mancato incasso correlato alla detrazione di imposta siano elementi necessari per integrare il concetto di erogazione o contributo pubblico, quindi senza che rilevi la sola assunzione dell’obbligazione da parte dello Stato, dovrebbe escludersi anche la configurabilità del reato di cui all’art. 316-ter cod.pen., da considerare alla stregua di un reato di danno (come la truffa che presuppone la deminutio patrimoni°.
Il Collegio ritiene questa una soluzione contraria alla interpretazione estensiva della nozione di contributo pubblico seguita dalle Sezioni Unite nelle due sentenze COGNOME e COGNOME, che hanno escluso la necessità di un esborso, potendovi rientrare anche le agevolazioni concesse attraverso esenzioni fiscali ed in genere qualunque aiuto economico che finisce con gravare sulla finanza pubblica.
In particolare con la sentenza delle Sezioni Unite, n. 7537 del 16/12/2010, dep. 2011, COGNOME, Rv. 249104, la Corte ha ritenuto che integri il reato di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato la falsa attestazione dell’agente in ordine alle proprie condizioni reddituali, resa allo scopo di fruire dell’esenzione dal
pagamento della quota di partecipazione alla spesa per prestazioni sanitarie e ospedaliere (ticket).
Ed invero, nell’ambito della nozione onnicomprensiva di erogazioni pubbliche di natura assistenziale, devono ritenersi comprese – ad avviso delle Sezioni Unite – non solo l’ottenimento di una somma di denaro a titolo di contributo, ma anche l’esenzione dal pagamento di una somma dovuta ad enti pubblici, perché anche in tal caso il richiedente ottiene un vantaggio che ricade a carico della comunità, con correlato danno per l’ente pubblico.
Ciò che deve qui essere precisato ed esplicitato è che il danno allo Stato considerato dall’art. 316-ter, diversamente da quello della truffa aggravata ai danni dello Stato di cui all’art. 640-bis cod. pen., non è il danno patrimoniale, inteso come uscita o mancata entrata di cassa, ma il danno che viene arrecato alla programmazione economica finanziaria, al bilancio dello Stato, in relazione alla fruizione indebita di benefici che producono non una perdita di cassa ma una lesione alla finanza pubblica, in una prospettiva di ordine economico più che patrimoniale.
Si tratta di una interpretazione che si pone in linea con il recente intervento del legislatore che, con l’art. 28-bis d.l. 27 gennaio 2022, n. 4, convertito con I. 28 marzo 2022, n.25, sopra citato, ha operato una mera rimodulazione dei titoli di reato (degli artt. 316-bis e 316-ter), senza incidere sostanzialmente sulla descrizione delle condotte di reato, ma solo con l’intento di adeguare la rubrica dei predetti reati all’interpretazione da tempo consolidatasi dell’ambito di applicazione della norma penale in esame.
Mentre la modifica normativa apportata al testo dell’art. 316-bis cod. pen con l’aggiunta del riferimento alle “sovvenzioni” e della frase “o altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate”, potrebbe prestarsi anche a differenti interpretazioni, si deve osservare, invece, che rispetto all’originario contenuto dell’art. 316-ter cod. pen. che già prevedeva una elencazione aperta e non chiusa dei vari interventi di aiuti e sostegni economici a carico della finanza pubblica, proprio in ragione del già previsto riferimento ad altre “erogazioni dello stesso tipo comunque denominate”, la sola innovazione costituita dall’aggiunta della parola “sovvenzioni” al catalogo delle altre agevolazioni finanziarie espressamente richiamate a titolo esemplificativo, non ha certamente comportato alcun fenomeno di successione di legge penale nel tempo.
Inoltre, va sottolineato che l’orientamento più estensivo, fatto proprio già dalle Sezioni Unite della Cassazione nelle due succitate sentenze COGNOME e COGNOME appare in definitiva coerente – come già affermato con riferimento al caso del prestito bancario assistito dalla garanzia del Fondo per le PMI, ai sensi dell’art. 13, lett. m), d.l. 8 aprile 2020, n. 23, convertito dalla legge 5 giugno 2020, n. 40
(vedi la già citata, Sez. 6, n.2125, del 24/11/2021, COGNOME) – con la genesi del reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche, introdotto ad opera della legge 29 settembre 2000, n. 300, in attuazione degli obblighi di incriminazione previsti dalla Convezione sulla tutela degli interessi finanziari (PIF) delle Comunità europee del 26 luglio 1995, per reprimere gli abusi non fraudolenti posti in essere per il conseguimento di pubbliche sovvenzioni, siccome lesivi degli interessi finanziari dell’Unione.
7. GLYPH A conferma della correttezza di questa interpretazione si deve considerare che con il sopracitato d.l. n.13/2022 è stato previsto all’art. 3 (confluito nell’art. 28-ter del cit. d.l. n.4/2022 – Termini di utilizzo dei crediti imposta sottoposti a sequestro penale) una speciale disciplina degli effetti del sequestro penale del credito di imposta che tutela l’utilizzabilità del credito da parte del cessionario in buona fede con un allungamento dei periodi di imposta in cui può essere operata la detrazione del relativo importo, pari alla durata del sequestro, fermo il limite annuale per l’utilizzo del credito.
In sostanza, il quinquennio in cui la detrazione fiscale deve essere ripartita viene allungato per effetto del sequestro del credito adottato dall”A.G. al fine di impedire ulteriori cessioni del credito con aggravio delle conseguenze del reato.
Per questa ragione il sequestro, in linea di principio, non deve danneggiare il cessionario in buona fede che potrà, alla cessazione del sequestro, utilizzarlo ai fini della detrazione fiscale conseguita per effetto della cessione del credito.
A tale proposito va ribadito che è il solo contribuente cedente e non il cessionario che deve rimborsare all’Agenzia dell’Entrate l’indebita compensazione operata dal cessionario in buona fede (l’art. 121, comma 5, del cit. dl. 34/2020 prevede espressamente il recupero dell’importo della detrazione fiscale non dovuta nei confronti del cedente, e la responsabilità solidale dei cessionari nel solo caso di concorso nella violazione), e ciò spiega la tutela delle legittime aspettative del cessionario in buona fede che non devono essere pregiudicate dal sequestro penale.
D’altra parte, una diversa interpretazione avrebbe l’effetto di far ricadere non già sui responsabili della frode ma su coloro che, avendo fatto affidamento in buona fede sulla regolarità dei presupposti costitutivi del credito di imposta ne verrebbero a pagare le conseguenze, ove dovessero perdere il diritto ad avvalersi della detrazione fiscale legittimamente conseguita.
La diversa interpretazione non può essere condivisa perché si pone in contrasto con la disciplina introdotta dal d.l. 19 maggio 2020, n. 34, convertito con modificazioni dalla L. 17 luglio 2020, n. 77, con l’ulteriore risultato di trasformare quella che è una frode contro la finanza pubblica in una truffa ai danni del privato,
sebbene il meccanismo negoziale creato dal legislatore fosse chiaramente diretto ad agevolare la circolazione del credito di imposta, facendo salvo il diritto alla detrazione fiscale acquistato dal cessionario in buona fede.
8. In conclusione, il rapporto tra l’art. 316-ter e l’art. 640 bis, va risolto nel senso che l’ambito di applicazione dell’art. 316-ter differisce da quello della truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche non solo perché punisce l’indebita percezione di erogazioni conseguita senza l’induzione in errore, ma anche perché prescinde dalla produzione di un danno patrimoniale immediato per lo Stato.
Da ultimo va solo chiarito che il profitto del reato di cui all’art. 316-ter cod. pen. coincide con l’importo del prezzo della cessione del credito riscosso da colui che risponde della indebita percezione del diritto alla detrazione fiscale.
Va osservato che il profitto consegue alla stessa acquisizione indebita del diritto di credito (alla detrazione fiscale), che può essere oggetto di sequestro penale, al fine di impedirne la circolazione attraverso successive cessioni, come sopra chiarito in riferimento all’art. 3 del citato d.l. n.13/2022 (confluito nell’a 28-ter del cit. d.l. n.4/2022).
La cessione del credito di imposta rappresenta, quindi, un post factum rispetto alla consumazione del reato che coincide con l’indebita acquisizione del diritto alla detrazione fiscale.
D’altra parte, la riscossione del prezzo della cessione del credito, in quanto provento della sua negoziazione, rappresenta anch’esso profitto del reato di cui all’art. 316-ter cod. pen., perché provento della cessione del credito di imposta indebitamente acquisito e come tale suscettibile di confisca diretta.
A tale riguardo giova richiamare la decisione delle Sezioni Unite n. 10208 del 25 ottobre 2007, dep. 06/03/2008, COGNOME, Rv. 238700, con riferimento alla confisca-misura di sicurezza del profitto della concussione, risolvendo un contrasto giurisprudenziale fra l’indirizzo nomofilattico secondo cui, ai fini della confisca prevista dall’art. 240 cod. pen., il profitto avrebbe richiesto una stretta e diretta correlazione del bene da aggredire con l’oggetto del reato (non potendo attribuirsi rilievo ad ogni altro legame di derivazione meramente indiretto e mediato), ed altro orientamento più estensivo, che aveva, invece, considerato profitto anche i beni acquisiti con l’impiego dell’immediato prodotto del reato, ha recepito quest’ultimo indirizzo, affermando che non era possibile ritenere che le utili trasformazioni dell’immediato prodotto del reato e gli impieghi redditizi del denaro di provenienza delittuosa potessero impedire la sottrazione al colpevole di ciò che era stato il preciso obiettivo del disegno criminoso perseguito.
Sebbene si tratti di decisione riferite alla trasformazione del denaro conseguito quale effetto diretto della commissione del reato, la nozione di profitto del reato è stata ampliata fino a comprendere in essa qualsiasi utilità che il reo realizzi come effetto mediato ed indiretto della sua attività criminosa, a condizione che detta trasformazione sia collegabile in modo diretto al reato stesso e al profitto immediato e sia soggettivamente attribuibile all’autore del reato, che quella trasformazione abbia voluto come precipua finalità del reato commesso, come avvenuto nel caso di specie, in cui l’acquisizione del credito è ab origine finalizzata alla sua immediata monetizzazione.
In ogni caso, essendo il reato previsto dall’art. 316-ter cod. pen. incluso nel novero dei reati per i quali ai sensi dell’art. 322-ter cod. pen. è ammessa anche la confisca per equivalente, il problema non assume concreta rilevanza, atteso che la trasformazione del credito indebitamente acquisito, attraverso la sua monetizzazione che costituisce lo scopo del reato, sarebbe comunque suscettibile di confisca per equivalente.
Per completezza, va osservato che deve essere esclusa la possibilità di configurare il reato tributario di emissione di fatture od altri documenti per operazioni inesistenti di cui all’art. 8 del d.l.vo 10 marzo 2000, n.74., atteso che detto reato richiede, secondo il tenore testuale della norma incriminatrice, che la condotta sia diretta “al fine di consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto”.
Nel caso in esame la condotta di emissione di fatture per operazioni inesistenti, mira a simulare il presupposto costitutivo del diritto alla detrazione fiscale del “superbonus 110%” non per consentire ad altri di operare una evasione dell’imposta, ma per fruire direttamente e personalmente del credito di imposta attraverso la sua monetizzazione mediante cessione o “sconto in fattura”.
L’inconfigurabilità di detto reato deriva dalla peculiare disciplina dei rimedi previsti nel caso di indebita fruizione del beneficio fiscale, perché la detrazione fiscale operata dal cessionario, che ha comunque sostenuto l’esborso del prezzo della cessione, non configura alcuna evasione dell’imposta in quanto l’acquisto del diritto alla detrazione fiscale da parte del medesimo non risulta inficiato dalla condotta fraudolenta posta in essere dal cedente, cui il cessionario sia rimasto estraneo.
Infatti, l’art. 121, comma 5, del cit. d.l. n. n. 34 del 2020, convertito, con modificazioni, in legge n. 77 del 2020, prevede che “Qualora sia accertata la mancata sussistenza, anche parziale, dei requisiti che danno diritto alla detrazione d’imposta, l’Agenzia delle entrate provvede al recupero dell’importo
corrispondente alla detrazione non spettante nei confronti dei soggetti di cui al comma 1″ (ovvero nei confronti del cedente).
Ed al comma 4 dello stesso art. 121 è stabilito che “I fornitori e i soggetti cessionari rispondono solo per l’eventuale utilizzo del credito d’imposta in modo irregolare o in misura maggiore rispetto al credito d’imposta ricevuto”.
Per analoghe ragioni, correlate sempre alla richiamata speciale disciplina della cessione del credito di imposta, neppure appare configurabile il delitto di indebita compensazione di cui all’art. 10-quater del d.l.vo 10 marzo 2000, n.74.
Innanzitutto, perché la condotta fraudolenta si realizza in una fase antecedente, prima che il diritto alla detrazione fiscale venga utilizzato in compensazione nella dichiarazione dei redditi da parte del cessionario.
In secondo luogo, perché il cessionario che utilizza in detrazione nella propria dichiarazione fiscale il credito di imposta acquistato in buona fede non opera alcuna indebita compensazione.
Come sopra osservato, la disciplina che regola la cessione del credito d’imposta, proprio al fine di favorire il finanziamento indiretto delle opere edilizie considerate quale presupposto dell’agevolazione fiscale, garantisce in linea di principio la validità ed efficacia della cessione del credito di imposta nei confronti dell’ente intermediario finanziario, anche ove scaturito da una frode iniziale posta in essere da parte del contribuente-proprietario-locatario dell’immobile oggetto dei lavori edili sovvenzionati con la previsione del superbonus, o da parte della impresa edile, prima cessionaria del credito stesso, ma dalla stessa a sua volta ceduto per conseguire il finanziamento dell’opera.
La frode di cui si discute interviene prima della compensazione tributaria e ne prescinde del tutto, non pregiudicando la validità ed efficacia della cessione del credito per il cessionario in buona fede, estraneo al reato di indebita percezione dell’agevolazione fiscale di cui all’art. 316-ter cod. pen,, che rimane legittimato ad operare la compensazione del credito fiscale conseguito in buona fede per effetto del pagamento del prezzo della cessione, essendo la monetizzazione del credito d’imposta operata a sue spese, sia pure dietro pagamento di un corrispettivo inferiore al valore nominale del credito stesso, in coerenza alla logica economica dell’operazione di finanziamento pubblico che presuppone un prezzo conveniente per il cessionario-intermediario finanziario, altrimenti non disposto a sobbarcarsi il costo economico dell’intervento edilizio agevolato dal bonus.
Ovviamente diverso è il caso in cui si dovesse ritenere ravvisabile un concorso del cessionario del credito nella condotta fraudolenta posta in essere dal cedente.
Solo in tal caso resterebbe precluso anche sul piano tributario l’esercizio del diritto a operare la detrazione fiscale da parte del cessionario, con la conseguente configurabilità del reato di indebita compensazione di un credito inesistente perché generato da una operazione fraudolenta con il concorso del cessionario del credito di imposta così indebitamente acquisito.
11. Il secondo motivo sul periculum in mora è inammissibile per genericità.
Con riferimento all’illustrazione delle ragioni per le quali, nelle more del giudizio, il bene potrebbe essere modificato, disperso, utilizzato od alienato, così da giustificare l’adozione del provvedimento ablatorio con funzione anticipatoria della confisca, la decisione impugnata appare sorretta da adeguata motivazione, avendo valorizzato il Tribunale come attendibili le indicazioni fornite dai committenti sulla mancata utilizzazione e destinazione delle somme di denaro incassate dalla ditta appaltatrice per dare corso all’esecuzione dei lavori oggetto dell’agevolazione fiscale indebitamente conseguita, così da fare ritenere elevato il rischio di dispersione.
Non potendosi in questa sede rilevare vizi della motivazione, né palesandosi una carenza di motivazione, il motivo di ricorso è inammissibile essendo in materia cautelare reale consentito il ricorso per cassazione solo per violazione di legge.
Al rigetto del ricorso consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 29 ottobre 2024
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