Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 1757 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 1757 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 10/12/2024
•
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: NOME nato in Romania il 26/03/1989 COGNOME NOME nato a MILANO il 18/09/1977 NOME nato in Marocco il 14/07/1975
NOME COGNOME nato in Nigeria il 04/04/1978
1
2025
avverso la sentenza del 27/03/2024 della CORTE APPELLO di ROMA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del grado e di un’ulteriore somma a favore della Cassa delle ammende.
RITENUTO IN FATTO
1, Con sentenza in data 27/3/2024, la Corte d’appello di Roma confermò la sentenza del GUP del Tribunale di Latina in data 14/1/2022, che aveva ritenuto NOME COGNOME Monte Maurizio, NOME COGNOME e NOME COGNOME colpevoli dei reati di cui all’art. 10 quater comma 2 d.lgs. 74/2000 loro
•
rispettivamente ascritti per non aver versato, quali amministratori delle socRAGIONE_SOCIALE indicate in imputazione, somme dovute utilizzando in compensazione crediti inesistenti, condannandoli, riconosciute le attenuanti generiche ed applicata la riduzione prevista per il rito, alla pena di mesi otto di reclusione ciascuno con pena sospesa.
Avverso la sentenza hanno proposto ricorso per Cassazione gli imputati, a mezzo del difensore di fiducia, che, con il primo motivo, deducono la violazione dell’art. 10 quater d.lgs. 74/2000 e dell’art. 620 comma 1 lett. h) in relazione all’art. 606 comma 1 lett. b) cod. proc. pen. nonché il deficit di motivazione con riferimento all’elemento soggettivo del reato e “all’omessa valutazione” della sentenza in data 24/6/2020 del Tribunale di Pavia. GLYPH
reA’t
Si assume che i ricorrenti erano delle teste di legno chiamerà schermare l’amministratore di fatto, “individuato verosimilmente in Bolondi NOME“, il quale non aveva mai portato a conoscenza dei predetti elementi inerenti all’attività gestionale e, ancor meno, dati che potessero destare sospetti in ordine all’integrazione di reati.
Si deduce, inoltre, che:
COGNOME con sentenza del Tribunale di Pavia in data 24/6/2020, era stato mandato assolto dall’imputazione di cui agli art. 10 quater d.lgs. 74/2000, come era stato messo in evidenza con la memoria depositata al GUP del Tribunale di Latina il 1/12/2021;
il compendio probatorio non forniva prova alcuna “né della partecipazione diretta né della consapevolezza dei ricorrenti in ordine alla indebita compensazione loro contestata e tantomeno di una loro possibile ingerenza nella gestione delle cooperative dagli stessi formalmente rappresentate” per cui non potevano essere chiamati a rispondere di un reato, quale quello ritenuto, integrato da “condotte commissive ed artificiose mediante deduzione creativa di titoli”, di cui non avevano avuto consapevolezza.
Con il secondo motivo si denuncia la violazione dell’art. 10 quater d.lgs. citato e il deficit di motivazione in relazione alla valutazione dei crediti posti compensazione come inesistenti in luogo di non spettanti. Si assume che dalla produzione documentale della difesa, e segnatamente dalle stesse buste paga di Bouhali, era emerso che il cd. bonus Renzi era stato effettivamente erogato ai dipendenti e si lamenta che la Corte territoriale aveva disatteso la richiesta difensiva, avanzata con uno specifico motivo di gravame, di sussunzione delle condotte nella previsione del comma 1 dell’art. 10 quater citato senza procedere a un controllo contabile ammnistrativo ma facendo proprie le presunzioni utilizzate dall’Agenzia delle Entrate.
Con il terzo motivo, si denuncia la violazione dell’art. 175 cod. pen e il deficit motivazionale in relazione all’omessa concessione della non menzione della
condanna. Si osserva che gli argomenti utilizzati dalla Corte territoriale per escludere il beneficio o erano inconferenti, in quanto l’entità dei debiti poteva spiegare i suoi effetti sulla dosimetria ma non ai fini del beneficio negato, o insussistenti, non “rinvenendosi in sentenza alcun concreto elemento dal quale ricavare la presunta perseveranza”, mentre non si era tenuto conto dello stato d’incensuratezza e della condizione personale degli imputati, tutti dediti al lavoro e privi delle conoscenze necessarie per comprendere le conseguenze che sarebbero potute derivare dall’accettazione della carica.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono infondati.
Ponendo in ordine logico le questioni sollevate, va rilevato che entrambi i giudici di merito hanno messo in evidenza che l’ammontare degli importi evasi era stato calcolato mettendo a raffronto l’ammontare massimo dei crediti che le cooperative potevano aver maturato a titolo di recupero del c.d. “bonus Renzi” elargito ai dipendenti, determinato tenendo conto degli stessi dati comunicati dalle società agli enti previdenziali e assicurativi, e quanto portato in compensazione per “debiti fiscali e previdenziali inerenti ai sostituti d’imposta”.
Entrambe le sentenze di merito, inoltre, danno ampio risalto al fatto che le cooperative erano “scatole vuote”, prive di scritture contabili e di una sede, risultando domiciliate presso uno studio professionale dove non “era presente neppure la casetta per la ricezione della posta”.
Tali risultanze, non contestate dai ricorrenti, disvelano già l’infondatezza del secondo motivo d’impugnazione.
I crediti opposti in compensazione non trovano riscontro alcuno in dati contabilipatrimoniali-finanziari dedotti dal contribuente e la loro non veridicità non era rilevabile, come riconosce lo stesso ricorso, attraverso i controlli automatizzati o formali condotti utilizzando i dati in possesso dell’anagrafe tributaria. Ricorrono, pertanto, entrambi i requisiti contemplati dall’art. 13, comma 5, D.Igs. n. 471/1997, nella formulazione antecedente alla novella introdotta dal d.lgs. 87/2024, secondo cui si intende “inesistente il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non sia riscontrabile mediante controlli di cui agli articoli 36-bis e 36-ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e all’articolo 54-bis del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633”. Giova ricordare che questa Corte, richiamando anche precedenti della Sezione Tributaria, proprio muovendo dal dato normativo appena esposto, ha precisato che “per poter qualificare un credito come inesistente è necessario che lo stesso sia ancorato ad una situazione non reale o non vera, ossia priva di elementi giustificativi
fenomenicamente apprezzabili, se non anche con connotazioni di fraudolenza” (Sez. 3, n. 45558 del 16/11/2022, Poste Italiane, Rv. 284054 – 01 in motivazione).
La qualificazione in termini di inesistenza dei crediti opposti in compensazione non trova neppure ostacolo nella previsione dell’art. 1 comma 1 lett. g quater d.lgs. 74/2000, introdotto dal d.lgs. 87/2024, continuando la norma, nella parte che qui rileva, ad ancorare la nozione di credito inesistente all’insussistenza dei .. presupposti costitutivi. LA >f ( Co(4.44 “^-1 ok: v -0 -i; t+ 4^:Zo-A-44 Ovio<4.41,44. — ;. Ve ..-A-x
Risulta inammissibile il primo motivo del ricorso che propone una lettura alternativa di alcuni dei dati probatori senza confrontarsi realmente con la motivazione posta dai giudici di merito a fondamento del giudizio di responsabilità.
Nel ricorso si lamenta che "il dolo richiesto dalla norma incriminatrice" non poteva discendere "dall'apposizione della firma su un atto notarile", lasciando così intendere che si era pervenuti al verdetto di condanna solo per il fatto che gli imputati avevano accettato di ricoprire la carica di amministratori di società da altri gestite. Sennonché, il ragionamento probatorio fondante la condanna valorizza non soltanto il ruolo di prestanome svolto dagli imputati ma anche il fatto che le società formalmente da loro amministrate erano "scatole vuote". Tale risultanza, indice inequivoco della macroscopica illiceità della funzione svolta dalle cooperative, e l'individuazione quali legali rappresentanti nonostante l'incompetenza in materia societaria costituivano, ad avviso dei giudici di merito, elementi che avrebbero dovuto indurre gli imputati a non assumere il ruolo di amministratori o, in alternativa, ad esercitare i poteri di controllo e gestione derivanti dalla carica ricoperta. La posizione di prestanome, quindi, costituisce uno degli elementi del ragionamento probatorio che, unitamente all'insussitenza delle società, all'incompetenza gestoria e al disinteresse nei confronti dell'amministrazione societaria, fonda il concorso degli imputati, ex art. 40 comma 2 cod. pen. e 2392 cod. civ., a titolo di dolo eventuale nei delitti ritenuti, avendo Dolofan, Monte, Bouhali e Akintunde accettato di esporsi alle conseguenze dell'operato dei gestori reali. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Non contrasta il predetto ragionamento probatorio, infine, la sentenza del Tribunale di Pavia nei confronti di Bolondi, risultando l'intervenuta assoluzione (pag. 30 della sentenza della Corte d'appello di Milano del 17/6/2022) fondata su un'esegesi dell'art. 17 d.lgs. 241/1997 che la sentenza impugnata disattende con motivazione priva di salti logici e aderente al prevalente orientamento di legittimità.
Con tale processo inferenziale i ricorsi non si confrontano realmente, obliterando la rilevanza data dai giudici di merito al fatto che le società cooperative amministrate dagli imputati erano delle scatole vuote, e ciò comporta l'inammissibilità del motivo. La mancanza di specificità del motivo va valutata e
GLYPH
ritenuta, infatti, non solo per la sua genericità, intesa come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, dal momento che quest’ultima non può ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità che conduce, a norma dell’art. 591, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., alla inammissibilità della impugnazione (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268822-01; nello stesso senso v. Sez. U, n. 24591 del 16/07/2020, COGNOME Rv. 280027-01, in motivazione; Sez. II, n. 5506 del 3/11/2023, dep. 2024, Ewansiha).
Inammissibile risulta anche il terzo motivo d’impugnazione.
Il rigetto della non menzione trova nella sentenza spiegazione nella gravità della condotta, tratta “dall’ingente quantità dei crediti inesistenti portati compensazione”, e nell’intensità del dolo, desunto dalla “pluralità delle condotte” contestate e dalla loro “continuità”.
Tale motivazione non presenta profili di manifesta incongruenza e risulta in linea con il consolidato orientamento di legittimità secondo il quale la concessione del beneficio in parola è rimessa all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito che, a tale fine, deve tener conto degli elementi di cui all’art. 133 cod. pen. (Sez. 3, n. 13110 del 22/1/2020, P., Rv. 279094; Sez. 2, n. 16366 del 28/03/2019, COGNOME, Rv. 275813 -01) senza che il diniego possa trovare ostacolo nel riconoscimento della sospensione della condizionale della pena, trattandosi di benefici diversi aventi differenti finalità ( Sez. 2, n. 11992 de 18/2/2020, Nether, Rv. 278572 – 01; Sez. 2, n. 16366 del 28/03/2019, COGNOME, Rv. 275813 – 01).
Risultano, quindi, manifestamente infondate le censure difensive che si risolvono nella inammissibile richiesta di rivalutazione del compendio probatorio senza individuare fratture logiche manifeste e decisive nella motivazione.
L’esito del giudizio comporta, per il disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Così deciso il 10/12/2024