Crediti Inesistenti: Quando il Ricorso in Cassazione è Inammissibile
L’utilizzo di crediti inesistenti per abbattere il carico fiscale rappresenta una grave violazione penale-tributaria. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i limiti del ricorso in sede di legittimità, confermando come la contestazione della ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito non trovi spazio in tale sede. Analizziamo insieme la decisione e le sue implicazioni.
I Fatti del Processo
Un imprenditore veniva condannato per il reato di indebita compensazione, previsto dall’art. 10 quater del D.Lgs. 74/2000. In particolare, la Corte d’Appello aveva dichiarato prescritti i reati relativi alle annualità 2014, 2015 e 2016, ma aveva confermato la responsabilità per l’annualità 2017, rideterminando la pena in un anno e sei mesi di reclusione. Secondo l’accusa, l’imputato aveva utilizzato in compensazione crediti d’imposta fittizi per un ammontare significativo, evadendo così l’erario.
Contro questa decisione, l’imprenditore proponeva ricorso in Cassazione, basando la sua difesa su due principali motivi.
I Motivi del Ricorso: Una Difesa Inefficace
La difesa dell’imputato si articolava su due fronti:
1. Violazione di legge e vizio di motivazione: Il ricorrente contestava l’affermazione di responsabilità, sostenendo l’inesistenza dell’intera operazione di compensazione e l’assenza di un debito tributario superiore a 200.000 euro per il 2017.
2. Mancata concessione delle attenuanti generiche e pena eccessiva: Si lamentava un trattamento sanzionatorio troppo severo e la mancata applicazione delle attenuanti nella loro massima estensione.
Queste argomentazioni, tuttavia, non hanno superato il vaglio di ammissibilità della Suprema Corte.
L’Analisi della Cassazione sull’uso di crediti inesistenti
La Corte di Cassazione ha dichiarato il primo motivo di ricorso inammissibile. I giudici hanno ribadito un principio fondamentale del nostro ordinamento processuale: la Corte di Cassazione è un giudice di legittimità, non di merito. Ciò significa che non può riesaminare le prove o sostituire la propria valutazione dei fatti a quella dei giudici dei gradi precedenti. Il suo compito è verificare che la legge sia stata applicata correttamente e che la motivazione della sentenza sia logica e non contraddittoria.
Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto che la sentenza d’appello avesse fornito una ricostruzione precisa e circostanziata dei fatti, basata su un’analisi completa delle risultanze processuali. L’affermazione di responsabilità per l’utilizzo di crediti inesistenti era, secondo la Cassazione, sorretta da una motivazione congrua ed esauriente, e come tale insindacabile in sede di legittimità.
La Valutazione della Pena
Anche il secondo motivo è stato respinto. La Corte ha giudicato congrua la pena di un anno e sei mesi di reclusione. I giudici di merito avevano correttamente considerato l’ingente ammontare dell’imposta evasa come indice di particolare gravità del fatto. Inoltre, avevano tenuto conto del comportamento dell’imputato, che non aveva attivato alcuna procedura di “ravvedimento operoso” per sanare la propria posizione, dimostrando così una persistente volontà di sottrarsi agli obblighi fiscali.
Le Motivazioni della Decisione
La Corte Suprema ha basato la sua decisione sul principio del numerus clausus delle censure deducibili in sede di legittimità. Il ricorso è stato giudicato inammissibile poiché le doglianze sollevate non rientravano tra i vizi consentiti dalla legge, ma si risolvevano in una richiesta di nuova valutazione del materiale probatorio, attività preclusa alla Cassazione. La motivazione della Corte d’Appello è stata ritenuta logica, completa e priva di vizi manifesti, avendo esaminato tutte le deduzioni difensive e giungendo a conclusioni ben argomentate sulla base degli elementi acquisiti nel processo.
Le Conclusioni
L’ordinanza conferma un orientamento consolidato: non è possibile utilizzare il ricorso in Cassazione come un terzo grado di giudizio sul merito della vicenda. Le contestazioni devono riguardare vizi di legittimità, come l’errata applicazione di una norma di legge o una motivazione manifestamente illogica, e non la semplice non condivisione della ricostruzione dei fatti. La decisione ribadisce la gravità del reato di indebita compensazione con crediti inesistenti e sottolinea come l’entità del danno erariale e la condotta post-reato siano elementi centrali nella commisurazione della pena. Per l’imprenditore, l’inammissibilità del ricorso si traduce non solo nella definitività della condanna, ma anche nell’obbligo di pagare le spese processuali e una sanzione pecuniaria alla Cassa delle ammende.
È possibile contestare in Cassazione la ricostruzione dei fatti compiuta dai giudici di merito?
No, la Corte di Cassazione non può riesaminare i fatti o le prove. Il suo compito è verificare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione della sentenza impugnata. Un ricorso che si limita a contestare la valutazione delle prove viene dichiarato inammissibile.
Quali sono le conseguenze di un ricorso in Cassazione dichiarato inammissibile?
La dichiarazione di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria (in questo caso, 3.000 euro) a favore della Cassa delle ammende, a meno che non si dimostri l’assenza di colpa nel proporre il ricorso.
In base a quali criteri viene determinata la pena per l’indebita compensazione di crediti inesistenti?
La pena viene determinata tenendo conto di vari fattori, tra cui l’ingente ammontare dell’imposta evasa, che indica la gravità del danno all’erario, e il comportamento successivo del reo, come l’eventuale mancata attivazione di procedure di ravvedimento operoso per sanare la violazione.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 35714 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 35714 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 30/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 22/11/2024 della CORTE APPELLO di SALERNO
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
COGNOME NOME ricorre per cassazione avverso la sentenza in epigrafe indicata con la quale la Corte di appello di Salerno, in parziale riforma della sentenza pronunciata dal primo giud ha dichiarato di non doversi procedere per il reato di cui all’art 10 quater decreto legisla del 2000 con riferimento alle annualità 2014, 2015 e 2016 perché estinti per intervenu prescrizione e per l’effetto ha ridetermiNOME la pena con riferimento alla residua annualit 2017 in anni 1 e mesi 6 di reclusione.
Il ricorrente deduce con il primo motivo violazione di legge vizio della motivazione in or all’affermazione della responsabilità affermando l’inesistenza dell’intera operazion compensazione e ritenendo di non aver alcun debito tributario ammontante a oltre euro 200.000 per il 2017. Con il secondo motivo lamenta la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche nella massima estensione e l’eccessività del trattamento sanzioNOMErio.
Si osserva che la prima doglianza non rientra nel numerus clausus delle censure deducibili in sede di legittimità, investendo profili di valutazione della prova e di ricostruzione riservati alla cognizione del giudice di merito, le cui determinazioni, al riguardo, sono insind in cassazione ove siano sorrette da motivazione congrua, esauriente ed idonea a dar conto dell’iter logico-giuridico seguito dal giudicante e delle ragioni del decisum. Nel caso di dalle cadenze motivazionali della sentenza d’appello è enucleabile una ricostruzione dei fa precisa e circostanziata, avendo i giudici di secondo grado preso in esame tutte le deduzio difensive ed essendo pervenuti alle loro conclusioni, in punto di responsabilità, attraverso disamina completa ed approfondita delle risultanze processuali, in nessun modo censurabile, sotto il profilo della razionalità, e sulla base di apprezzamenti di fatto non qualificabili di contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacabili in questa sede, come si d dalle considerazioni formulate dal giudice a quo, laddove ha affermato la responsabilità c riferimento all’annualità del 2017, in quanto il ricorrente nella dichiarazione presentata i 29/12/2017 utilizzava in compensazione crediti d’imposta inesistenti, in tal modo evadend l’erario.
Né il ricorrente, nel contestare genericamente l’affermazione della responsabilità, uht dedotto in modo specifico il travisamento della prova dalifltjA desumere che i crediti compens non sono relativi ad IVA ma altri debiti erariali e contributivi e dai quali trarre che l non aveva prodotto un debito da portare in compensazione dell’ammontare di oltre seicentomila euro.
In ordine alla seconda doglianza, il giudice a quo, nel rideterminare il trattam sanzioNOMErio e concedere le circostanze attenuanti generiche, ha ritenuto congrua la pena di anni uno e mesi sei di reclusione con riferimento alla sola annualità residua del 2017, essen le restanti prescritte, pari alla misura della pena base irrogata dal primo giudice per l’an del 2016, in ragione dell’ingente ammontare dell’imposta evasa e del comportamento del ricorrente che non ha attivato alcuna procedura di ravvedimento operoso.
Stante l’inammissibilità del ricorso, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., non ravvisan assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. Sent. n. 1
del 13/06/2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, di 3.000 euro in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 30/05/2025
Il consigliere estensore
Il Presidente