Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 8653 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 8653 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 17/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME, nato a Cologno Monzese il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 14/03/2023 della Corte d’appello di Milano
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO generale NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; udito per il ricorrente l’AVV_NOTAIO, in sostituzione dell’AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso e l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 14 marzo 2023 la Corte d’appello di Milano ha confermato, rigettando l’impugnazione proposta da NOME COGNOME, la sentenza del 20 gennaio 2022 del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Monza, con la quale lo stesso COGNOME, a seguito di giudizio abbreviato, era stato dichiarato responsabile del reato di cui all’art. 3, primo comma, d.lgs. n. 74 del 2000 (ascrittogli per avere, quale rappresentante legale della RAGIONE_SOCIALE e a fine di evasione, indicato, nella dichiarazione fiscale di tale società relati all’anno 2015, crediti di imposta inesistenti, ceduti dalla società RAGIONE_SOCIALE), ed era stato condannato alla pena di otto mesi di reclusione, con l’applicazione RAGIONE_SOCIALE pene accessorie di cui all’art. 12 d.lgs. n. 74 del 2000 e la confisca del profitto de reato.
Avverso tale sentenza l’imputato ha proposto ricorso per cassazione mediante l’AVV_NOTAIO, che lo ha affidato a quattro motivi.
2.1 Con il primo motivo ha denunciato la violazione di disposizioni di legge processuale e un vizio della motivazione, conseguenti alla violazione del principio devolutivo che regola il processo di appello.
Si prospetta un errore metodologico che sarebbe presente nella motivazione della sentenza impugnata la quale, anziché esaminare i punti della sentenza impugnata devoluti al giudice di secondo grado con l’atto di gravame, avrebbe considerato esclusivamente i motivi di appello, in violazione di quanto disposto dall’art. 597, primo comma, cod. proc. pen.
2.2 Con il secondo motivo si denuncia la violazione di disposizioni di legge penale, e in particolare dell’art. 43 cod. pen., con riferimento alla ritenu sussistenza dell’elemento soggettivo del reato contestato, evidenziando come tale componente soggettiva non possa ritenersi integrata per una pluralità di ragioni.
In primo luogo, l’elemento soggettivo del dolo specifico sarebbe incompatibile con l’esborso economico sostenuto dal ricorrente, perché è massima di comune esperienza che nessuno pagherebbe una somma cospicua (euro 240.000,00) per qualcosa che sa essere inesistente, e tale aspetto non sarebbe stato considerato adeguatamente dai giudici di merito.
Inoltre, la sentenza impugnata non avrebbe tenuto conto di elementi di legittimo affidamento, idonei a escludere l’elemento soggettivo, quali l’assistenza di esperti professionisti che avevano offerto ampie rassicurazioni sulla legittimità dell’operazione, la consegna del documento da parte dell’RAGIONE_SOCIALE attestante l’esistenza del credito di imposta ceduto, e, soprattutto, la denuncia per truffa presentata dal ricorrente nei confronti dei soggetti ai quali si era affidato p il buon esito dell’operazione.
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Tali elementi sarebbero idonei, ad avviso del ricorrente, a dimostrare la sua buona fede e l’assenza del dolo specifico, contrariamente a quanto ritenuto dai giudici di merito, che non li aveva considerati adeguatamente nella loro effettiva portata dimostrativa.
2.3 Con il terzo motivo di ricorso si lamenta un vizio della motivazione, conseguente alla mancata considerazione di un’ipotesi alternativa concretamente sostenuta dalle prove acquisite, la quale sarebbe stata idonea a determinare un ragionevole dubbio sulla penale responsabilità del ricorrente, condannato in violazione della regola di giudizio dettata dall’art. 533, primo comma, cod. proc. pen.
2.4 Infine, con il quarto motivo, ha denunciato un ulteriore vizio della motivazione, lamentando il mancato esercizio di poteri d’ufficio da parte della Corte d’appello, con riferimento alla mancata applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131 bis cod. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso non è fondato.
Il primo motivo, mediante il quale sono stati denunciati la violazione di disposizioni di legge processuale, con riferimento all’art. 597, primo comma, cod. proc. pen., e, segnatamente, la violazione del principio devolutivo che regola il processo di appello, e un vizio della motivazione, per avere la Corte di appello esaminato i motivi di appello anziché i punti della sentenza impugnata oggetto del gravame, è infondato.
Ad avviso del ricorrente, l’inosservanza di detta disposizione di legge processuale avrebbe determinato un vizio della motivazione nella parte in cui, limitandosi a confutare i motivi di appello, la Corte d’appello di Milano non sarebbe occupata dei presupposti giuridici e fattuali della affermazione di responsabilità penale dell’imputato.
In realtà la Corte d’appello, contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, dopo aver compiuto un’analisi approfondita dei motivi di appello, ha ribadito la sussistenza di tutti gli elementi necessari per confermare l’addebito di penale responsabilità dell’imputato.
La sentenza impugnata ha, anzitutto, richiamato integralmente la sentenza di primo grado, di cui ha recepito e condiviso criticamente l’impianto motivazionale, dando conto adeguatamente, in tal modo, RAGIONE_SOCIALE ragioni del proprio convincimento e della conferma della configurabilità del reato ascritto al ricorrente.
Va, infatti, ricordato che nel giudizio di appello è consentita la motivazione per relationem, con riferimento alla pronuncia di primo grado, nel caso in cui, come
quello in esame, le censure formulate dall’appellante non contengano elementi di novità rispetto a quelle già condivisibilmente esaminate e disattese dalla sentenza richiamata (Sez. 2, n. 30838 del 19/03/2013, Autieri, Rv. 257056 – 01, nonché Sez. U, n. 17 del 21/06/2000, COGNOME, Rv. 216664 – 01).
Nel caso in esame, i motivi di appello ripropongono la medesima prospettazione difensiva, incentrata sull’insussistenza dell’elemento soggettivo del reato contestato al ricorrente, senza presentare effettivi elementi di novità rispetto alla contestazione RAGIONE_SOCIALE motivazioni addotte dal giudice di primo grado.
La Corte d’appello, dopo aver dato atto della ripetitività dei motivi d’appello rispetto a quanto sostenuto nel giudizio di primo grado, ha, comunque, evidenziato, con ampia e analitica motivazione, la sussistenza degli elementi costitutivi del reato contestato.
In particolare la Corte territoriale ha sottolineato sia la radicale inesistenz dei crediti d’imposta relativi a investimenti in aree svantaggiate ai sensi della I. 296 del 2006, ceduti dalla RAGIONE_SOCIALE e dalla RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE amministrata dal ricorrente, utilizzati in compensazione nella misura di euro 43.463,00, a completo abbattimento dell’Ires dovuta, inesistenza desunta da una serie di elementi ritenuti in modo logico univocamente dimostrativi di tale circostanza (costituiti dalla assenza di potere rappresentativo della RAGIONE_SOCIALE in capo a NOME COGNOME che stipulò entrambi gli atti di cessione; dalla veste di evasore totale della RAGIONE_SOCIALE, che aveva presentato dichiarazioni fiscali solo per gli anni 2009 e 2016 e aveva depositato il bilancio solamente per il 2009; dalla veste di evasore totale della RAGIONE_SOCIALE; dalla mancata osservanza RAGIONE_SOCIALE formalità necessarie per ottenere il beneficio fiscale ceduto alla società amministrata dal ricorrente; dalla assenza del necessario nulla osta alla cessione da parte della RAGIONE_SOCIALE); sia la consapevolezza da parte del ricorrente di tale inesistenza, desunta dalle caratteristiche della RAGIONE_SOCIALE (sconosciuta al fisco, che non aveva mai presentato alcuna dichiarazione fiscale, né depositato alcun bilancio, e non aveva ottenuto alcun nulla osta alla cessione), oltre che dalla sproporzione del corrispettivo di tali cessioni (pari a eur 240.000,00 a fronte del valore dei crediti ceduti, pari a euro 1.625.065,00) e dalle anomalie presenti nell’utilizzo di tale corrispettivo (ceduto alla RAGIONE_SOCIALE sottoposto a custodia giudiziaria, e poi versato a due avvocati, NOME COGNOME e NOME COGNOME, per una generica attività di consulenza fiscale e contabile); sia la mancanza di concludenza degli elementi allegati dall’imputato a sostegno della propria buona fede (per l’irrilevanza del certificato di regolarità contributiv essendo i crediti ceduti stati utilizzati in compensazione del debito Ires; l mancanza di pertinenza dei documenti relativi a un credito d’imposta rilasciati dalla RAGIONE_SOCIALE Caltanisetta, trattandosi di crediti diversi da quell utilizzati; la possibilità di utilizzare anche in anni d’imposta successivi i cre Corte di Cassazione – copia non ufficiale
acquistati; l’irrilevanza dell’esposto presentato dall’imputato alla Procura della Repubblica di Milano nel 2018, dal quale, in realtà, emergono profili di macroscopica anomalia RAGIONE_SOCIALE operazioni).
Si tratta di motivazione certamente idonea, al di là della ripetitività dei motivi d’appello e della conseguente sufficienza del richiamo critico alla motivazione della sentenza di primo grado, a dare conto della conferma della affermazione di responsabilità, per la ritenuta sussistenza di tutti gli elementi costitutivi del reat contestato, che è stata ampiamente e logicamente illustrata, con la conseguenza che le censure sollevate con il primo motivo di ricorso, circa la violazione dell’art. 597 cod. proc. pen. e la carenza della motivazione, risultano infondate.
Il secondo e il terzo motivo di ricorso, mediante i quali il ricorrente lamenta, rispettivamente, l’erronea applicazione dell’art. 43 cod. pen., in relazione all’art. 3 d.lgs. n. 74 del 2000, e la manifesta illogicità della motivazione, conseguente all’inosservanza della regola di giudizio del ragionevole dubbio, nella parte in cui si omette di considerare un’ipotesa alternativa concretamente sostenuta dalle prove acquisite, sono inammissibili.
In particolare, con il secondo, articolato, motivo di ricorso si denuncia la violazione dell’art. 43 cod. pen., sulla base del rilievo che la Corte d’appello avrebbe erroneamente desunto la sussistenza dell’elemento psicologico senza tenere conto di una serie di elementi idonei a escludere in radice il dolo del ricorrente, sottolineando, in particolare, il pagamento di una somma rilevante da parte del ricorrente medesimo per l’acquisto dei crediti ritenuti inesistenti, a dimostrazione della sua buona fede.
La sussistenza dell’elemento soggettivo è stata, però, come già evidenziato al par. 2, giustificata attraverso la considerazione di una pluralità di elementi, ritenuti, in modo non manifestamente illogico, dimostrativi sia della piena consapevolezza da parte del ricorrente della inesistenza dei crediti ceduti, sia della finalità di evasione sottesa al loro acquisto.
L’argomento, sostanzialmente riproposto con il ricorso per cassazione, della illogicità della affermazione della consapevolezza della inesistenza dei crediti d’imposta acquistati a fronte del pagamento della somma di euro 240.000,00 quale corrispettivo di tale acquisto, è stato adeguatamente confutato dalla Corte d’appello, che, con una motivazione non manifestamente illogica, ha sottolineato che tale acquisto era strumentale al conseguimento di un risparmio di imposta che, nel corso degli anni, sarebbe stato sicuramente superiore all’esborso effettuato e che, per conseguire tale obbiettivo, il ricorrente necessitava di un supporto documentale (gli atti di cessione dei crediti inesistenti) apparentemente regolare e (almeno auspicabilmente, secondo una valutazione ex ante effettuata al momento della condotta fraudolenta) utilizzabile a fini fraudolenti.
La censura mossa con il secondo motivo di ricorso si risolve, dunque, in una mera rivalutazione del compendio probatorio, considerato in modo non manifestamente illogico dai giudici di merito, rivalutazione non consentita in sede di legittimità, in particolare attraverso la prospettazione di un’ipotesi alternativa già disattesa in modo logico dalla Corte d’appello.
Anche l’affermazione, già contenuta nell’atto d’appello e sostanzialmente replicata con il ricorso per cassazione senza particolari elementi di novità, secondo cui sarebbe stato mosso all’imputato un addebito di colpa, fondato sull’essere venuto meno alla diligenza media dell’imprenditore, che sarebbe tenuto a operare adeguate e preventive verifiche sui crediti d’imposta primo del loro acquisto, è manifestamente infondata, sia perché, come evidenziato, riproduttiva di un profilo di censura già adeguatamente considerato e motivatamente disatteso dalla Corte d’appello; sia perché smentita dai plurimi elementi indicati dai giudici di merito a sostegno della affermazione della piena consapevolezza della inesistenza dei crediti acquistati e della finalità di evasione che aveva caratterizzato la condotta dell’imputato.
La Corte territoriale, infatti, dopo aver ricostruito il meccanismo e la procedura necessaria per utilizzare i crediti di imposta relativi a investimenti in are svantaggiate, disciplinati dalla I. n. 296 del 2006, ha evidenziato la evidente inesistenza dei crediti utilizzati in compensazione, desumendola da una serie di macroscopiche anomalie, relative alla procedura di utilizzazione dei crediti in questione (assenza di una “prenotazione”, da effettuare mediante il così detto modulo FAS, del credito di imposta da utilizzare; e mancanza del rilascio del “nulla osta” alla fruizione del beneficio); dalla veste del soggetto cedente (privo di poteri di rappresentare una RAGIONE_SOCIALE società cedenti); dalla totale assenza di informazioni su una RAGIONE_SOCIALE società cedenti (evasore totale e totalmente sconosciuta al Fisco).
Sulla base di tali elementi la Corte d’appello ha ribadito l’affermazione della sussistenza dell’elemento soggettivo in capo all’imputato, ed essa è stata censurata, anche a questo proposito, in modo non consentito, mediante la prospettazione di una lettura alternativa dei medesimi elementi già considerati e valutati in modo non manifestamente illogico dalla Corte d’appello.
La Corte territoriale, infatti, ha evidenziato gli elementi dimostrativi dell’esistenza di un meccanismo truffaldino al quale aveva preso parte anche il ricorrente, avvalendosi di professionisti, evidenziando che il ricorrente faceva pervenire a costoro moduli F24 con indicazione dei debiti di imposta e detti professionisti si procuravano dei crediti da utilizzare in compensazione, il tutto senza che alcun atto di cessione fosse stato stipulato, fino a quando, nei primi mesi del 2015, non era avvenuto un incontro in Gela con il presunto titolare RAGIONE_SOCIALE società disposte a cedere i crediti, il quale aveva rassicurato il ricorrente circa l possibilità di ingannare l’Erario retrodatando la data degli atti di cessione,
ottenendo la sua adesione al meccanismo truffaldino: si tratta, anche a questo proposito, di ricostruzione idonea a giustificare l’affermazione della sussistenza dell’elemento intenzionale in capo al ricorrente, fondata sulla analisi e sulla sottolineatura di una serie di elementi fattuali, dimostrativi del pieno inserimento del ricorrente nel sistema fraudolento, che è stata, nuovamente, censurata sul piano della lettura degli elementi di prova, dunque in modo non consentito in questa sede di legittimità.
Ne consegue, in definitiva, l’inammissibilità del secondo motivo di ricorso, in quanto affidato a censure non consentite nel giudizio di legittimità, oltre che chiaramente infondate.
Il terzo motivo di ricorso, mediante il quale si lamenta la violazione del criterio di giudizio del ragionevole dubbio, a causa della omessa considerazione di un’ipotesi alternativa concretamente sostenuta dalle prove acquisite, è inammissibile, in quanto si risolve in una mera lettura alternativa RAGIONE_SOCIALE prove, non consentita in sede di legittimità, nel quale è esclusa la possibilità di una nuova valutazione RAGIONE_SOCIALE risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch’essa logica, dei dati processuali, o una diversa ricostruzione storica dei fatti, o un diverso giudizio di rilevanza, o comunque di attendibilità RAGIONE_SOCIALE fonti di prova (Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, COGNOME, Rv. 276970; Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, COGNOME, Rv. 262575; Sez. 3, n. 12226 del 22/01/2015, G.F.S., non massimata; Sez. 3, n. 40350, del 05/06/2014, C.C. in proc. M.M., non massimata; Sez. 3, n. 13976 del 12/02/2014, P.G., non massimata; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, COGNOME, Rv. 253099; Sez. 2, n. 7380 del 11/01/2007, Messina ed altro, Rv. 235716).
In ogni caso, inoltre, l’ipotesi alternativa prospettata dal ricorrente è stat adeguatamente considerata, e motivatamente confutata, dalla Corte d’appello, che ha ritenuto l’ipotesi priva di fondamento, ricostruendo un meccanismo truffaldino di cui l’imputato era parte integrante. Alla luce di tale ricostruzio fattuale, il giudice di secondo grado ha ritenuto smentita in fatto l’ipotes alternativa avanzata dalla difesa (di un inganno di cui l’imputato sarebbe stato vittima), concludendo per l’addebito di responsabilità penale oltre ogni ragionevole dubbio.
Ne consegue la manifesta infondatezza, oltre che il contenuto non consentito, dei rilievi sollevati con il terzo motivo di ricorso.
5. Il quarto motivo di ricorso, mediante il quale è stato denunciato un vizio della motivazione, nella parte relativa alla omessa considerazione della applicabilità della causa di esclusione della punibilità per la particolare tenuità de fatto di cui all’art. 131 bis cod. pen., è inammissibile, non essendo l’applicazione
di tale causa di non punibilità stata oggetto di alcuna richiesta o istanza, né con l’atto d’impugnazione, né nel corso del giudizio di secondo grado.
La questione dell’applicabilità della causa di esclusione della punibilità prevista dall’art. 131 bis cod. pen. non può essere dedotta per la prima volta nel giudizio di legittimità, ostandovi quanto stabilito dall’art. 606, terzo comma, cod. proc. pen., che comporta l’inammissibilità dei motivi di impugnazione con cui, come nel caso in esame, venga dedotta una violazione di legge che non sia stata eccepita nemmeno con l’atto di appello (cfr. Sez. 2, n. 17693 del 17/01/2018, Corbelli, Rv. 272821; Sez. 2, n. 53630 del 17/11/2016, NOME, Rv. 268980; Sez. 5, n. 4184 del 20/11/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 262180; Sez. 3, n. 21920 del 16/05/2012, NOME, Rv. 252773).
La disposizione, nella sua attuale formulazione, era già in vigore alla data della deliberazione della sentenza impugnata, e quindi l’imputato avrebbe potuto chiederne l’applicazione, giacché sul giudice di merito non grava, in difetto di una specifica richiesta, alcun obbligo di pronunciare comunque su tale causa di esclusione della punibilità (Sez. 5, n. 4835 del 27/10/2021, dep. 2022, Polillo, Rv. 282773- 01; ex pluribus Sez. 3, n. 19207 del 16/03/2017, Celentano, Rv. 269913 – 01; cfr. pure Sez. 2, n. 21465 del 20/03/2019, Semmah, Rv. 275782 – 01; Sez. 5, n. 57491 del 23/11/2017, Moio, Rv. 271877 – 01).
In conclusione il ricorso deve essere rigettato, a cagione della infondatezza del primo motivo di ricorso e della inammissibilità di quelli residui.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali.
Così deciso il 17/1/2024