Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 26367 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 26367 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 03/06/2025
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dalla consigliera NOME COGNOME Letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso; letta la memoria difensiva proposta nell’interesse del ricorrente dall’avvocato NOME COGNOME e dall’avvocato NOME COGNOME i quali insistono sulle ragioni poste a fondamento del ricorso e ne chiedono l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, con l’ordinanza indicata in epigrafe, ha rigettato l’opposizione presentata da RAGIONE_SOCIALE avverso il provvedimento di non ammissione dei crediti vantati dalla società ricorrente nella massa passiva delle società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE e, per l’effetto, ha confermato il decreto del giudice delegato.
In particolare, NOME COGNOME in qualità di legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE aveva impugnato il provvedimento con il quale il giudice delegato, in sede di verifica dello stato passivo delle società innanzi indicate, aveva rigettato la richiesta di insinuazione al passivo, per crediti di importo ascendenti, rispettivamente a euro 87.230,50, euro 911.830,08 e euro 2.895.567,94.
In sintesi, il rigetto era motivato dalla mancata prova del rapporto sottostante, in presenza di documentazione artefatta (con l’uso del correttore) essendo insufficienti a dimostrare la risalenza del credito le iscrizioni a bilancio, in presenza di una situazione documentale confusa, con operazioni intervenute tra le società e le persone fisiche della famiglia del prevenuto, NOME COGNOME.
2.Con i motivi di ricorso, sintetizzati ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. pro pen. nei limiti strettamente indispensabili ai fini della motivazione, NOME COGNOME denuncia violazione di legge e cumulativi vizi di motivazione del provvedimento impugnato nonché erronea applicazione della legge processuale per la mancata assunzione di una prova decisiva.
Sostiene la ricorrente che il decreto impugnato è sorretto da motivazione apodittica con la quale sono state condivise, omettendo l’esame dei rilievi critici della difesa, le confuse osservazioni del decreto del giudice delegato.
In particolare:
2.A) con riferimento al credito di euro 87.230.50 – derivante dalla cessione del credito da RAGIONE_SOCIALE alla società ricorrente- la prova del finanziamento della società RAGIONE_SOCIALE rinveniva dalle copie dei bonifici ricevuti dalla società i liquidazione e dall’atto di cessione del 20 novembre 2014, ritenuti dal Tribunale inadeguati a denotare la effettività delle operazioni. Sostiene, viceversa, la ricorrente che le operazioni trovano piena corrispondenza nella contabilità della società RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e nel bilancio presentato dal dottor COGNOME che chiaramente evidenzia tale debito, bilancio il cui contenuto è stato assertivamente pretermesso, dal giudice delegato prima e dal Tribunale poi, per la mancanza di riscontro sulla causale dei trasferimenti, causale che, tuttavia, non deve risultare dalla mera indicazione nei bonifici (che non è vincolante) potendo, invece, essere ricostruita attraverso gli estratti conto e il contratto di cessione dei crediti, documentazione a disposizione del giudice delegato ma non esaminata.
Non sussistendo tra le parti altri rapporti, la causale dei bonifici poteva essere solo quella del “finanziamento” di terzi, e, come tale infatti, iscritta nel bilan della società RAGIONE_SOCIALE La contabilità era stata oggetto di analisi da parte degli incaricati del Tribunale e ritenuta attendibile e non rileva che talune delle operazioni non siano state chiarite.
La prova del credito di cui si è chiesta l’insinuazione al passivo si fonda “sul complesso” dei documenti acquisiti e l’ operazione di cessione dei crediti va letta alla stregua delle appostazioni di bilancio che fugano ogni dubbio sulla ragione giuridica del passaggio di denaro, che costituisce un’operazione di finanziamento di terzi.
2.B) Considerazioni analoghe valgono con riferimento alla domanda di ammissione allo stato passivo, per l’importo di euro 911.830,08, nei confronti della RAGIONE_SOCIALE: la S.D.P. s.r.lRAGIONE_SOCIALE agiva in qualità di cessionaria dei credi derivanti dal contratto di pubblicità intercorso tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE
Erroneamente il Tribunale distingue tra i crediti maturati ente sequestro e quelli realizzati in costanza di confisca, ingenerando confusione poiché, invece, i crediti erano riportati in bilancio ed erano riferibili al contratto di concession pubblicitaria, prorogato dalla stessa amministrazione giudiziaria che, infatti, lo aveva utilizzato.
E’, dunque, erronea l’operazione del Tribunale di distinguere tra crediti maturati nel corso della procedura e crediti precedenti, in realtà rivenienti dalla medesima fonte (il contratto di pubblicità), documentati da fatture, dal contratto di cessione dei crediti e dal contratto di concessione pubblicitaria intercorso tra RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE e, infine, corroborati dalle iscrizioni bilancio.
2.C) Con riferimento allo stato passivo di RAGIONE_SOCIALE la RAGIONE_SOCIALE ha chiesto l’inserimento al passivo per euro 2.895.567,94 derivanti, in parte dall’operazione di cessione di crediti a S.D.RAGIONE_SOCIALE sRAGIONE_SOCIALErRAGIONE_SOCIALElRAGIONE_SOCIALE del 2014, vantati da RAGIONE_SOCIALE nei confronti di RAGIONE_SOCIALE e, in parte, da movimentazioni bancarie. La domanda è stata respinta evidenziando la non correttezza della causale e la mancanza di buona fede della società fondata sul presupposto che la RAGIONE_SOCIALE
rappresentata da NOME COGNOME avrebbe ceduto il credito a RAGIONE_SOCIALE rappresentata dalla moglie (NOME COGNOME, una quota parte del maggior credito vantato nei confronti di RAGIONE_SOCIALE ricostruzione, tuttavia, smentita dalle ragioni che avevano condotto al dissequestro della RAGIONE_SOCIALE sul rilievo che tale società aveva origine lecita e operatività prevalentemente lecita.
Sulla scorta di tale presupposto è, dunque, erronea la motivazione con la quale il giudice delegato prima e il Tribunale poi, hanno ritenuto di poter applicare i criteri della interposizione fittizia che devono, comunque, essere fondati su solidi argomenti dimostrativi e che è diversamente regolata tra terzi e persone di famiglia, al momento dell’operazione.
Rispetto all’operazione in esame, il Tribunale applica erroneamente i criteri individuati in giurisprudenza in materia, valorizzando che l’operazione era stata
compiuta nel periodo di pericolosità sociale di NOME COGNOME ma trascurando che gli importi richiesti erano stati indicati correttamente tra i debiti finanziari.
Non rileva la causale indicata nei bonifici e ben poteva, alla stregua della documentazione in atti, lo stesso Tribunale verificare la natura effettiva dei diritti di credito vantati da RAGIONE_SOCIALE
Ulteriore vizio del procedimento deriva dalla mancata valutazione delle osservazioni dell’amministratore giudiziario.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è proposto per motivi complessivamente infondati e, pertanto, deve essere rigettato.
2.Va premesso che gli artt. 52 e ss. del d. Igs. n. 151 del 6 settembre 2011, hanno dettato una specifica disciplina per la verifica dei crediti anteriori a sequestro di prevenzione vantati nei confronti del proposto o dei soggetti giuridici coinvolti nell’azione di prevenzione, verifica modellata su quella della insinuazione al passivo in ambito fallimentare: si tratta, come precisato dal Giudice delle leggi e dalla giurisprudenza, di un giudizio tendente ad accertare la natura effettiva, e non artificiosa o simulata dei diritti di credito sorti nell’ambito dell’attività pro del proposto con la particolarità che il presupposto dell’anteriorità del credito, assolve alla specifica funzione di “evitare che gli effetti della misura di prevenzione patrimoniale vengano elusi attraverso la simulazione di crediti incidenti sul valore del bene confiscato” (Corte Cost., sentenza n. 26 del 2019; Sez. U, n. 29847 del 31/05/2018, Island, in motivazione).
In particolare, l’art. 52 d. Igs. n. 159 cit., soffermando l’attenzione sull fattispecie che rilevano ai fini dell’esame dei motivi di ricorso, afferma che la confisca non pregiudica i diritti di credito dei terzi che risultano da atti aventi da certa anteriore al sequestro… ove ricorrano le seguenti condizioni: …; b) che il credito non sia strumentale all’attività illecita o a quella che ne costituisce il fru o il reimpiego, sempre che il creditore dimostri la buona fede e l’inconsapevole affidamento; ….d) nel caso di titoli di credito, che il portatore provi il rappo fondamentale e quello che ne legittima il possesso.
La giurisprudenza di questa Corte, in relazione ai poteri del giudice nel giudizio di ammissione, ha precisato che il giudizio di verifica si caratterizza per l’attribuzione al giudice di poteri officiosi di accertamento funzionali a contemperare l’esigenza di tutela dei creditori con l’interesse pubblico ad evitare la surrettizia precostituzione di crediti di comodo finalizzati a far rientrare
proposto nel possesso della ricchezza di illecita provenienza (cfr. Sez. 6, n. 10387 del 06/11/2024, dep. 2025, COGNOME, Rv. 287710).
Il ricorso in esame pone una serie di questioni fra le quali rilevano sia quella dei poteri del giudice delegato in funzione dell’accertamento della ricorrenza della data certa dei crediti anteriore al sequestro ex art. 52 d.lgs. n. 159 cit. sia quello della valutazione, in sede di verifica dei crediti, dei dati risultanti dal bilancio e, generale, dalle scritture contabili della società o dalle fatture, aspetti, questi venuti all’attenzione della giurisprudenza di legittimità prevalentemente in ambito civile, in relazione all’ammissione al passivo nelle procedure fallimentari, ammissione sulla quale, come anticipato, è modellata la procedura disciplinata dagli artt. 52 e ss. d. Igs. n. 159 cit.
Sono fondamentali, a tal riguardo, in ambito civile, le disposizioni in materia di rilevanza probatoria delle scritture private, quindi la disposizione di cui all’ar 2704 cod. civ. e quelle recate dagli artt. 2709 e 2710 cod. civ.
L’art. 2704 cod. civ. prevede che «La data della scrittura privata della quale non è autenticata la sottoscrizione non è certa, non è computabile riguardo ai terzi, se non dal giorno in cui la scrittura è stata registrata o dal giorno della morte o della sopravvenuta impossibilità fisica di colui o di uno di coloro che l’hanno sottoscritta o dal giorno in cui il contenuto della scrittura è riprodotto in atti pubbl o, infine, dal giorno in cui si verifica un altro fatto che stabilisca in mo egualmente certo l’anteriorità della formazione del documento.
La data della scrittura privata che contiene dichiarazioni unilaterali non destinate a persona determinata può essere accertata con qualsiasi mezzo di prova.
Per l’accertamento della data nelle quietanze il giudice, tenuto conto delle circostanze, può ammettere qualsiasi mezzo di prova».
Gli artt. 2709 e 2710 cod. civ. concernono, invece, l’efficacia probatoria dei libri e delle altre scritture contabili delle imprese soggette a registrazione, secondo cui i libri e le altre scritture contabili delle imprese soggette a registrazione fanno prova contro l’imprenditore. Tuttavia chi vuol trarne vantaggio non può scinderne il contenuto.
La giurisprudenza civile, in materia di accertamento dello stato passivo, ai fini della decisione circa l’opponibilità al fallimento di un credito documentato con scrittura privata non di data certa, ha precisato che il giudice di merito, quando voglia darsi la prova del momento in cui il negozio è stato concluso e sia dedotto un fatto diverso da quelli tipizzati nell’art. 2704 cod. civ., ha il compito valutarne, caso per caso, la sussistenza e l’idoneità a stabilire la certezza della data del documento, con il limite del carattere obiettivo del fatto, che non deve
essere riconducibile al soggetto che lo invoca e deve essere, altresì, sottratto alla sua disponibilità (Cass. Sez. 1, 22/03/2024, n. 7753, Rv. 670649).
Si tratta di principio al quale corrisponde l’affermazione, in relazione ai poteri del giudice delegato ai fini di ammissione al passivo nella materia in esame, secondo cui il giudice delegato deve tener conto di tutte le ipotesi contemplate dall’art. 2704 cod. civ. e, dunque, non solo dei fatti tipici, quali la registrazione la riproduzione in atto pubblico, ma anche di tutti quei fatti non previsti dalla norma che consentano di stabilire, in modo certo, l’anteriorità della formazione del documento. (Sez. 5, n. 22618 del 07/03/2022, Gruppo, Rv. 283137).
Senza procedere ad un’analisi casistica, può affermarsi che mentre l’art. 2704 cod. civ. prevede delle regole che “tipizzano” i casi di certezza della data con riferimento alle scritture private, quando non sussista uno dei fatti dalla norma stessa indicati specificamente come idonei a conferire siffatta certezza alla data della scrittura privata non autenticata e debba, invece, apprezzarsi, da parte del giudice, il ricorso ad altri fatti dai quali sia desumibile in modo egualmente certo l’anteriorità della formazione del documento all’evento suddetto, è necessario che tali ultimi fatti abbiano carattere di obbiettività e soprattutto che non possano farsi risalire al soggetto stesso che li invoca e siano sottratti alla sua portata.
Si è, così, ritenuto, con riferimento alle cambiali, che tali requisiti non sono riscontrabili in caso di semplice annotazione della scrittura in libri contabili alla cu tenuta tale soggetto sia obbligato per legge, salvo che di essi vi sia stata vidimazione da parte di pubblico ufficiale, in data anteriore alla dichiarazione di fallimento, attestante la regolarità dei libri stessi (Cass. Sez. 1, 27/01/1993, n. 1016, Rv. 480496).
Più articolato, invece, il ragionamento svolto dalla giurisprudenza in materia di fatture.
Si è affermato, infatti, che la fattura commerciale ha non soltanto efficacia probatoria nei confronti dell’emittente, che vi indica la prestazione e l’importo del prezzo, ma può costituire piena prova nei confronti di entrambe le parti dell’esistenza di un corrispondente contratto allorché risulti accettata dal contraente destinatario della prestazione che ne è oggetto e annotata nelle scritture contabili (Cass. Sez. 2, 08/02/2024, n. 3581, Rv. 670294).
Questo principio evidenzia due condizioni chiave per attribuire piena efficacia probatoria alla fattura: l’accettazione da parte del destinatario e l’annotazione nelle scritture contabili, la prima delle quali (accettazione da parte del destinatario) può manifestarsi in vari modi (pagamento della fattura; mancata contestazione entro un termine ragionevole; riconoscimento esplicito del debito).
Il silenzio e la mancata contestazione, peraltro, non equivalgono automaticamente all’accettazione dovendo accompagnarsi ad un comportamento
concludente da parte del destinatario che dimostri l’accettazione della fattura e del debito in essa indicato.
Anche l’annotazione nelle scritture contabili risulta, secondo la giurisprudenza, particolarmente rilevante nel contesto delle transazioni tra imprese -stante la natura confessoria, ai sensi dell’art. 2720 cod. civ. (ex multis, Cass. Sez. L., 12/01/2001, n. 376, Rv. 543092).
Il principio generale che può trarsi dalla giurisprudenza civile, innanzi richiamata, è, in conclusione, quello che le scritture contabili, pur se regolarmente tenute, non hanno valore probatorio a favore dell’imprenditore che le ha redatte: qualora egli intenda utilizzarle nei confronti dell’altra parte ex art. 2770 cod. civ., le stesse scritture sono soggette al libero apprezzamento del giudice, al quale spetta stabilire – nei singoli casi – se e in quale misura siano attendibili e idonee, eventualmente in concorso con altre risultanze atte a dimostrare la fondatezza della pretesa.
Anche tale affermazione trova corrispondenza nella giurisprudenza di legittimità in cui, con riferimento all’art. 52, comma 1, lett. b), d.lgs. 6 settembr 2011, n. 159, esclude ogni pregiudizio dei diritti di credito dei terzi preesistenti al sequestro, “a meno che” – come recita il nuovo testo della disposizione – non risulti accertata la strumentalità del credito da insinuare rispetto all’attività illecita o quella che ne costituisce il frutto o il reimpiego, solo in tal caso incombendo sul creditore, ai fini dell’insinuazione al passivo della procedura, l’onere di dimostrare l’ignoranza in buona fede di tale nesso di strumentalità privilegiata (Sez. 6, n. 30153 del 18/05/2023, Banca Ifis s.p.a., Rv. 285079).
In tale evenienza, come precisato in parte motiva, il tribunale deve fornire analitica dimostrazione del requisito della strumentalità muovendo dalla condotta e delle cointeressenze del proposto, ricostruendo l’operazione negoziale da cui il credito è sorto e segnalando gli indicatori in fatto che consentono di pervenire alla ritenuta sua finalizzazione illecita.
3.Alla stregua di tali coordinate, le conclusioni cui è pervenuto il Tribunale, sulla base di una piena valutazione di tutte le circostanze rilevanti ai sensi dell’art. 52, d Igs. n. 159 cit. e sulla scorta di un congruo percorso motivazionale, non sono censurabili in questa sede rivelandosi infondate le deduzioni difensive sulla valutazione della prova del rapporto sottostante, con riferimento al credito vantato dalla ricorrente RAGIONE_SOCIALE nei confronti di RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE nonché quella dell’anteriorità dei crediti, rispetto al sequestro di prevenzione, vantati dalla società RAGIONE_SOCIALE verso la RAGIONE_SOCIALE e sulla mancata prova del rapporto sottostante rispetto ai crediti verso la RAGIONE_SOCIALE
Le deduzioni difensive, secondo cui il giudice delegato avrebbe fatto cattivo uso dei suoi poteri in materia, eccedendo dai poteri di ufficio che gli sono conferiti e facendo ricorso ad una “prova a sorpresa”, sono del tutto generiche non essendo indicati elementi che in positivo denotino, per la soluzione delle questioni proposte dalla società istante, la valutazione di prove ulteriori sulle quali non si è attivato contraddittorio: il giudice delegato, infatti, ha esaminato (e ve ne è diffuso richiamo nell’ordinanza impugnata nella parte in cui riassume la decisione del giudice delegato), la documentazione prodotta dalla società istante procedendo alla comparazione con quella della procedura di sequestro e confisca.
Men che mai è fondata la censura di nullità del procedimento per la mancata valutazione delle deduzioni dell’amministratore giudiziario, di cui, peraltro, la società ricorrente non spiega la incidenza e rilevanza ai fini delle allegazioni difensive sulle quali si fondava l’istanza di ammissione al passivo, anche tenuto conto del ruolo che l’amministratore giudiziario – rispetto alla corrispondente figura del curatore fallimentare – svolge nella procedura in esame, ruolo, disciplinato dall’art. 59 del d. Igs. n. 159 cit., che non prevede la facoltà di eccepire fatti estintivi, modificativi o impeditivi del diritto fatto valere come pure l’ineffic del titolo su cui è fondato il credito.
In particolare, con riferimento alla valenza dell’argomento “bilancistico” (la società opponente aveva allegato a riprova della esistenza del credito e della sua anteriorità rispetto al sequestro che il credito di cui al punto A) era annotato nel bilancio di esercizio chiuso al 31 dicembre 2019 e che il bilancio delle società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, cessionaria del credito, fossero stati ritenu attendibili anche all’esito della “due diligence” utilizzata per la relazione ai sens dell’art. 41, d. Igs. n. 159 cit, dell’amministratore giudiziario, dottor COGNOME l’ordinanza impugnata ha ritenuto che non si tratti di argomento decisivo che necessariamente, con riguardo alla ricostruzione del rapporto sottostante, passa attraverso un’analisi dinamica del rapporto stesso. Né il Tribunale ha mancato di sottolineare che NOME COGNOME, dominus delle varie società oggetto della misura patrimoniale, era stato denunciato per appropriazione indebita in relazione all’accertata natura fittizia di operazioni (indicate come rimborso soci), tanto a comprova della generale inaffidabilità delle annotazioni contabili.
L’analisi dinamica del rapporto sottostante ha comportato, a cura dei giudici del merito, un esame specifico della ulteriore documentazione contabile (in particolare, delle fatture e degli estratti conto con riferimento al credito di cui punto A); del contratto tra la società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE e delle fatture allegate, sempre con riferimento al credito di cui al punto A); dei
bonifici bancari e della vicenda societaria della società RAGIONE_SOCIALE e del rapporto con la società RAGIONE_SOCIALE con riferimento al credito di cui al punto C).
Ed è con specifico riferimento alle caratteristiche e al contenuto degli specifici documenti (la causale delle fatture; le cancellature che contrassegnavano gli estratti conto, con riferimento al credito di cui al capo A); la data di emissione delle fatture e la esplicita contestazione delle fatture, da parte dell’amministratore giudiziario, con riferimento al credito di cui al punto A); il rapporto di subentro di NOME COGNOME e della moglie nelle partecipazioni societarie e le anomalie contabili), che i giudici di merito hanno motivato il rigetto dell’opposizione, dopo un adeguato esame delle deduzioni difensive che il ricorso, in buona sostanza reitera, insistendo per la valutazione, quale prova decisiva, ai limiti della prova legale, della documentazione contabile e dei dati di bilancio.
6.A) Con riferimento alla mancata ammissione del credito (euro 87.230,50) vantato verso la RAGIONE_SOCIALE il motivo di ricorso, sintetizzato al punto A) del Ritenuto in fatto, è infondato, ai limiti della manifesta evidenza.
Il ricorso, a riscontro della effettività dell’operazione di finanziamento sottostante, sottolinea la valenza della documentazione prodotta allegando l’atto di cessione dei crediti del 20 novembre 2014, avente data certa; i dati, appostati sia nella contabilità della RAGIONE_SOCIALE che nel bilancio presentato dal dottor COGNOME, che evidenziava il debito, per crediti finanziari, nei confronti della RAGIONE_SOCIALE dell’importo di euro 87.230,50. Il difensore ha richiamato la documentazione già prodotta, in sede di ammissione allo stato passivo, consistente nella produzione (per stralcio) degli estratti conto con indicazione dei bonifici effettuati in favore di RAGIONE_SOCIALE
Le allegazioni difensive non sono idonee a superare le argomentazioni poste a fondamento della corretta decisione del Tribunale che non attengono solo alla scarsa rilevanza delle appostazioni di bilancio, per le ragioni che sono innanzi indicate, ma che evidenziano incongruenze dei dati documentali specificamente riferibili all’operazione sottostante (cioè l’operazione di finanziamento), sia per la genericità delle indicazione recate dalle fatture in ragione della descrizione generica (saldo fatture o acconto fatture 2013); alle cancellazioni con bianchetto dei cd. estratti conto, simili piuttosto a distinte bancarie e, infine, la generic dell’operazione di cessione del 24 novembre 2014 intercorsa tra RAGIONE_SOCIALEr.lRAGIONE_SOCIALE S.D.P. s.r.l. in cui si fa riferimento a un credito di “soli 20.000 euro” in carenza d ulteriori indicazioni, non rinvenibili neppure nella relazione COGNOME relativa al bilanci 2019 della società RAGIONE_SOCIALE, caratteristiche che inducono a dubitare della genuinità della documentazione prodotta e, comunque, della certezza del rapporto sottostante.
Con riferimento, poi, alle fatture, il Tribunale ha evidenziato, confermando la ricostruzione del giudice delegato, che i relativi bonifici possono essere ricondotti a corrispettivi per prestazioni ricevute e, quindi, pagamenti effettuati a estinzione di un debito, piuttosto che come prova del credito verso la società.
Ad avviso del Collegio, il Tribunale, integrando le valutazioni del giudice di primo grado, ha evidenziato aspetti incompatibili con l’onere, imposto al debitore, di documentare il rapporto sottostante, ai sensi dell’art. 58, d. Igs. n. 159 cit., onere che non può ritenersi assolto neppure con la produzione degli estratti conto che, come espressamente enunciato nel ricorso (pag.4) indicano la causale in termini generici (“pag. fatture”) e che la società ricorrente riconduce ad un rapporto di finanziamento, per mera presunzione, “in mancanza di una causale diversa poiché tra le due società non intercorrevano altri rapporti”.
6B) Rispetto al credito vantato dalla società ricorrente verso la RAGIONE_SOCIALE – che si fonda sull’operazione di cessione dei crediti da RAGIONE_SOCIALE alla società opponente di una quota parte di maggior importo – il Tribunale non ha trascurato la circostanza che la società RAGIONE_SOCIALE era stata dissequestrata nel momento in cui, nel 2020, aveva ceduto i crediti all’opponente ma ha valorizzato, da un lato, che tali crediti erano relativi al contratto di concessione pubblicitaria tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE del 22 dicembre 2017, quando le due società erano, entrambe, amministrate da NOME COGNOME e, soprattutto, le incongruenze che, sul piano documentale, contrastavano la pretesa del creditore poiché, mentre la decorrenza di tale contratto era prevista al 1 gennaio 2018, l’operazione era avallata da una fattura recante data precedente, cioè 27 dicembre 2017 ed altre fatture per servizi resi o note di credito del emesse in costanza dell’esecuzione del contratto di concessione pubblicitaria.
Il Tribunale ha anche valorizzato la circostanza che l’amministratore giudiziario aveva contestato le fatture, sulla base della interpretazione dell’art. 7 della convenzione (che le parti avevano, ciascuno, interpretato a proprio favore sul “plafond” di acquisto di spazi pubblicitari).
Il ricorso, attraverso le argomentazioni sintetizzate al punto B) contrasta, in particolare, l’affermazione del Tribunale nella parte in cui ha distinto tra i crediti maturati ante sequestro e quelli realizzati in costanza del provvedimento di confisca poiché l’amministratore giudiziario aveva prorogato il contratto sostenendo che si confonde il piano effettuale della cessione dei crediti da RAGIONE_SOCIALE alla società ricorrente e l’origine causale e temporale, dei crediti oggetto di cessione.
Anche tali rilievi risultano infondati alla stregua della precisazione del Tribunale secondo la quale l’art. 3 del contratto di proroga era molto chiaro nell
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definizione dell’accordo economico e delle corrispondenti fatture che comprovano l’accordo sottostante.
La valutazione del Tribunale è fondata, quanto alla riferibilità del credito “certo, liquido ed esigibile” al rapporto con l’amministrazione giudiziaria e, dunque, si riferisce ad un credito da azionare con modalità specifiche, diversamente dalla quota parte del credito anteriore che non risulta debitamente documentato con riferimento al rapporto sottostante.
6C) Anche il credito azionato da RAGIONE_SOCIALE verso RAGIONE_SOCIALE si fonderebbe, secondo le allegazioni difensive, svolte al punto C) del ricorso, in parte (euro 1.973.076) su una cessione del 2014 a RAGIONE_SOCIALE da parte di RAGIONE_SOCIALE nei confronti di RAGIONE_SOCIALE e in parte (per l’importo di 922.491) su una serie di movimentazioni bancarie.
Le argomentazioni del Tribunale sulla insussistenza del requisito di cui all’art. 52, lett. b) d Igs. n. 159 cit., con riferimento al credito azionato da RAGIONE_SOCIALE ne confronti di RAGIONE_SOCIALE per l’importo di euro 1.973.076, fondato sull’operazione di cessione di crediti del 2014 a favore di RAGIONE_SOCIALE, all’epoca amministrata dalla moglie di NOME COGNOME, NOME COGNOME, da parte di RAGIONE_SOCIALE, si fondano sull’analisi dell’operazione di cessione. Il ricorso contrasta le conclusioni del Tribunale, dopo la enunciazione di principi generali in materia di interposizione fittizia sottolineando la necessità di distinguere dai casi di in cui la misura sia ricondotta ai soggetti pericolosi qualificati per appartenenza ad associazione mafiosa i casi di pericolosità cd. generica in cui l’accusa deve fornire la prova non solo della incapienza patrimoniale del terzo, anche legato da vincolo di parentela o convivenza con il proposto, ma anche da indici che denotino la disponibilità del bene in capo al proposto.
La ricorrente ha evidenziato che la società RAGIONE_SOCIALE non presentava alcuna di tali caratteristiche tanto è vero che il Tribunale aveva dissequestrato la società – nata nel 1989 -evidenziandone l’origine lecita e sottolineando che la società si era occupata essenzialmente di attività professionale sul piano funzionale, senza subire contaminazioni tali da rendere possibile l’intervento della confisca.
Le argomentazioni della difesa non sono, tuttavia, risolutive e, soprattutto, non si confrontano con la motivazione dell’ordinanza impugnata nella parte in cui il Tribunale ha esaminato “la genesi” del credito azionato dalla ricorrente, derivante da un’operazione riconducibile a RAGIONE_SOCIALE ricostruendo, con riferimento a tale società, tutti i passaggi che ne denotavano la riconducibilità a NOME COGNOME e alla moglie (avvicendatisi nelle cariche sociali, fino alla cessione delle quote, alla fine del 2014, ai predetti) e, infine, il ruolo di holding che la società RAGIONE_SOCIALE aveva rivestito negli asset patrimoniali del RAGIONE_SOCIALE.
La società RAGIONE_SOCIALE, secondo l’analisi patrimoniale svolta dalla Guardia di Finanza, richiamata alla pag. 40 dell’ordinanza impugnata, e nel pieno periodo di pericolosità sociale di NOME COGNOME, che va dal 2005 al 2016, aveva costituito il mezzo attraverso la quale, unitamente alla società RAGIONE_SOCIALE, transitavano i finanziamenti alle altre società facendo registrare un “continuo andirivieni di risorse” dalle persone alle società e dalle società alle persone, anche per flussi modesti.
E’ in tale contesto, e dopo l’analisi del bilancio RAGIONE_SOCIALE relativo all’anno 2014 , che l’ordinanza impugnata ha collocato l’operazione di cessione a favore della S.D.P. s.r.I., azionato per l’ammissione al passivo della RAGIONE_SOCIALE evidenziando che, secondo l’analisi del consulente del Pubblico Ministero, il bilancio registrava un’anomalia contabile a seguito dell’operazione di acquisto quote effettuato dal COGNOME e dalla moglie delle partecipazioni in altre società del gruppo, senza che questi subentrassero nei crediti e debiti (che, difatti, non indicati nel bilancio RAGIONE_SOCIALE) mentre i crediti venivano ceduti ad altre società.
L’ordinanza impugnata ha, quindi evidenziato, anche sulla scorta dell’aumento di capitale di RAGIONE_SOCIALE, che tale società non era estranea alle attività criminali del COGNOME e della moglie e la decisiva circostanza che l’operazione societaria, condotta attraverso l’acquisto delle partecipazioni delle società, con le descritte modalità, faceva registrare la estinzione del debito di RAGIONE_SOCIALE e la sua “riviviscenza” in capo a RAGIONE_SOCIALE che, all’epoca era partecipata dagli stessi soggetti fisici sicché non poteva ritenersi soddisfatto il requisito di cui all’art. 52 lett. b), d. Igs. n. 159 cit..
In tale contesto, secondo le argomentazioni affatto illogiche dell’ordinanza impugnata, rientravano anche i due bonifici dell’8 aprile 2015 e 18 maggio 2015, del complessivo importo di euro diecimila, recanti la causale “finanziamento soci”, ritenuti operazioni strumentali dell’attività illecita della società finanziata considerato anche il momento in cui erano stati effettuati e pienamente rientrante nel periodo di pericolosità di NOME COGNOME.
Le conclusioni del Tribunale sulla corretta esclusione dei crediti azionati dalla società ricorrente, hanno fatto, in conclusione, applicazione di principi di diritto che non solo sono in linea con la giurisprudenza civilistica in materia ma anche con la ratio dell’istituto di cui all’art. 52, d. Igs. n. 159 cit.
Segue al rigetto del ricorso la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 3 giugno 2025
La Consigliera relatrice
Il Pfefidpnte