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Crediti Fittizi e Rete d’Impresa: la Cassazione

La Corte di Cassazione ha confermato un sequestro preventivo a carico di un imprenditore accusato di aver creato crediti fittizi attraverso un contratto di rete con una società di comodo. La sentenza sottolinea come l’imprenditore fosse l’amministratore di fatto e il reale beneficiario della frode, utilizzata per compensare illecitamente debiti previdenziali e assistenziali. La Corte ha ritenuto inammissibile il ricorso, confermando sia la sussistenza del reato (fumus commissi delicti) sia il pericolo di dispersione dei beni (periculum in mora).

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Pubblicato il 31 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Crediti Fittizi e Contratto di Rete: la Cassazione Conferma il Sequestro

L’utilizzo di strumenti giuridici leciti, come il contratto di rete, per mascherare operazioni fraudolente è una pratica purtroppo diffusa. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 6001/2024) ha affrontato un caso emblematico, confermando un sequestro preventivo per un importo superiore a 270.000 euro. La vicenda riguarda la creazione di crediti fittizi IVA tramite una società di comodo, utilizzati poi per compensare illecitamente debiti previdenziali. Analizziamo la decisione per comprendere i principi affermati dalla Suprema Corte.

I Fatti: Lo Schema Fraudolento tramite Rete d’Impresa

Il caso ha origine da un’indagine su un imprenditore, rappresentante legale di una società di distribuzione alimentare. Questi aveva stipulato un “contratto di rete” con una società cooperativa di recente costituzione, il cui oggetto sociale (servizi di autoambulanza e sanitari) era completamente estraneo all’attività di supermercato.

In virtù di tale accordo, la cooperativa assumeva formalmente i dipendenti dei supermercati, diventandone il datore di lavoro formale (codatore di lavoro). Successivamente, emetteva fatture per prestazioni fittizie, generando un ingente credito IVA. Questo credito veniva poi utilizzato dall’impresa retista per compensare i debiti previdenziali e assistenziali relativi a quegli stessi lavoratori.

Le indagini hanno rivelato che la società cooperativa era una mera “scatola vuota”:
– Non aveva una sede operativa.
– Il suo rappresentante legale era irreperibile.
– Non aveva mai depositato bilanci.
– Era stata costituita una settimana prima della società di distribuzione e ha cessato ogni attività subito dopo la risoluzione del contratto di rete.

L’imprenditore della distribuzione alimentare è stato quindi identificato come l’amministratore di fatto della cooperativa e il reale beneficiario dell’intera operazione fraudolenta.

I Motivi del Ricorso e la Difesa dell’Imprenditore

L’imprenditore ha presentato ricorso in Cassazione contro l’ordinanza del Tribunale della Libertà che confermava il sequestro preventivo. La sua difesa si basava su due argomenti principali:

1. Assenza del fumus commissi delicti: Sosteneva di non essere consapevole delle operazioni illecite e di non poter essere considerato amministratore di fatto della cooperativa, dato che le due società erano entità distinte, unite solo da un contratto di rete legittimo.
2. Assenza del periculum in mora: Affermava che non vi fosse alcun rischio di dispersione del profitto del reato, poiché il contratto di rete, fonte dell’illecito, era già stato risolto.

Le Motivazioni della Cassazione sui Crediti Fittizi

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, rigettando entrambe le argomentazioni della difesa e fornendo importanti chiarimenti sui presupposti delle misure cautelari reali.

Il Fumus Commissi Delicti e il Ruolo dell’Amministratore di Fatto

In primo luogo, la Corte ha ricordato che il ricorso per cassazione in materia cautelare reale è consentito solo per “violazione di legge” e non per vizi di motivazione, a meno che questa non sia totalmente assente o meramente apparente. Nel caso di specie, il Tribunale aveva ampiamente motivato la sussistenza del reato.

Gli elementi a sostegno dell’accusa erano solidi: la totale estraneità dell’oggetto sociale della cooperativa, la gestione esclusiva del personale da parte dell’imprenditore (i dipendenti non avevano mai avuto contatti con la cooperativa), e il fatto che l’imprenditore fosse l’unico beneficiario della frode. Questi elementi, secondo la Corte, dimostrano in modo inequivocabile non solo l’esistenza di uno schema per la creazione di crediti fittizi, ma anche il ruolo centrale dell’imprenditore quale amministratore di fatto della società di comodo.

Il Periculum in Mora: un Pericolo Concreto e Oggettivo

Anche il secondo motivo di ricorso è stato respinto. La Cassazione ha ribadito che il periculum in mora deve essere inteso in senso oggettivo, come la probabilità concreta di un danno futuro. Questo pericolo non deriva solo dalla natura del bene sequestrato, ma anche dalla condotta dell’indagato.

Le modalità fraudolente e articolate con cui l’imprenditore ha eluso gli obblighi fiscali e contributivi sono state considerate un “indice di fraudolenza alquanto marcato” e una chiara “propensione a ricorrere a moduli fittizi per assicurarsi indebite utilità economiche”. Tale propensione, secondo i giudici, costituisce un pericolo concreto e attuale di dispersione dei beni, rendendo irrilevante la circostanza che lo specifico contratto di rete fosse stato risolto.

Le Conclusioni

La sentenza n. 6001/2024 offre due importanti lezioni. In primo luogo, la forma giuridica non può mai prevalere sulla sostanza delle operazioni. Un contratto di rete, sebbene lecito, non può fungere da scudo per coprire attività criminali finalizzate all’evasione fiscale e contributiva. In secondo luogo, la valutazione del periculum in mora non si limita all’episodio contestato, ma si estende alla personalità e alla condotta complessiva dell’indagato, la quale può rivelare una pericolosità sociale tale da giustificare il mantenimento di una misura cautelare reale come il sequestro preventivo.

Può un contratto di rete, di per sé lecito, essere utilizzato per commettere reati fiscali?
Sì. La sentenza chiarisce che la legittimità formale di uno strumento giuridico, come il contratto di rete, non impedisce che venga considerato parte di uno schema criminale se il suo scopo effettivo è quello di creare vantaggi illeciti, come la generazione di crediti fittizi per evadere imposte o contributi.

Come viene provato il ruolo di “amministratore di fatto” di una società?
Il ruolo di amministratore di fatto non dipende da nomine formali, ma dall’esercizio concreto dei poteri gestionali. Nel caso esaminato, è stato provato attraverso elementi come la gestione esclusiva del personale, l’assenza di contatti tra i dipendenti e il rappresentante legale formale, e il fatto che l’imprenditore fosse l’unico e reale beneficiario dello schema fraudolento.

Perché il sequestro preventivo è stato confermato anche se il contratto di rete era già stato risolto?
Il sequestro è stato confermato perché il pericolo di dispersione del profitto del reato (periculum in mora) è stato valutato non solo in relazione allo specifico contratto, ma alla condotta generale dell’indagato. Le modalità fraudolente utilizzate hanno rivelato una sua spiccata propensione a commettere illeciti economici, configurando un rischio concreto e attuale che giustifica il mantenimento della misura cautelare.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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