LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Crediti e confisca: la buona fede del creditore

La Corte di Cassazione, con la sentenza 43700/2024, analizza i ricorsi di diversi creditori esclusi dallo stato passivo a seguito di una confisca di prevenzione. La Corte ribadisce che per la tutela dei crediti e confisca, il creditore deve dimostrare sia la propria buona fede sia la non strumentalità del credito rispetto alle attività illecite del soggetto proposto. La sentenza annulla con rinvio le decisioni in cui la valutazione della buona fede è risultata apodittica, mentre conferma il rigetto dei ricorsi dove emergono chiari indici di anomalia negoziale o di mancata diligenza da parte del creditore.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 9 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Crediti e confisca: la buona fede del creditore secondo la Cassazione

La gestione dei crediti e confisca nell’ambito delle misure di prevenzione patrimoniale rappresenta uno dei terreni più complessi del nostro ordinamento. Da un lato, lo Stato ha la necessità di aggredire i patrimoni di provenienza illecita; dall’altro, vi è l’esigenza di tutelare i diritti dei terzi creditori che, in buona fede, hanno intrattenuto rapporti economici con il soggetto proposto. La recente sentenza della Corte di Cassazione n. 43700 del 2024 offre un’analisi dettagliata dei presupposti necessari per tale tutela, delineando i confini tra diligenza, buona fede e collusione.

I Fatti di Causa: una pluralità di creditori di fronte alla confisca

Il caso trae origine da un decreto del Tribunale di Roma che, nell’ambito di un procedimento di prevenzione, aveva rigettato le opposizioni di numerosi creditori all’esclusione dei loro crediti dallo stato passivo. I beni dei soggetti proposti erano stati infatti oggetto di confisca in quanto ritenuti frutto di attività illecite.

I creditori ricorrenti includevano diverse figure:
– Una società che aveva concesso in affitto con diritto di riscatto due immobili.
– Una società venditrice di un immobile, il cui pagamento era stato pattuito tramite il rilascio di un’unica cambiale con scadenza differita.
– Una persona fisica che aveva ceduto un’azienda commerciale, ricevendo in pagamento effetti cambiari.
– Istituti bancari che avevano concesso mutui per l’acquisto di immobili.

Tutti questi soggetti si sono visti negare l’ammissione del proprio credito, poiché il Tribunale ha ritenuto sussistente un nesso di strumentalità tra il credito e le attività illecite dei proposti e/o ha escluso la buona fede dei creditori stessi.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha esaminato singolarmente i vari ricorsi, giungendo a conclusioni differenziate. In alcuni casi, ha rigettato i ricorsi confermando la decisione del Tribunale; in altri, ha annullato il provvedimento con rinvio per un nuovo esame. Il fulcro della decisione risiede nella corretta applicazione dei due requisiti fondamentali previsti dall’art. 52 del D.Lgs. 159/2011 (Codice Antimafia): la non strumentalità del credito all’attività illecita e la buona fede del creditore.

Le Motivazioni della Sentenza sui crediti e confisca

La Corte ha colto l’occasione per ribadire alcuni principi cardine in materia di crediti e confisca.

Il doppio onere probatorio a carico del creditore

Per ottenere tutela, il creditore deve provare due circostanze negative:
1. Che il suo credito non sia strumentale all’attività illecita del proposto o a quella che ne costituisce il reimpiego.
2. Che il suo affidamento fosse incolpevole, ovvero di aver agito in buona fede.

La Corte chiarisce che la sussistenza di una pericolosità sociale del debitore già accertata al momento della nascita del credito fa scattare una presunzione semplice di strumentalità. L’incremento di disponibilità finanziaria del proposto, derivante dal credito, si presume infatti idoneo ad agevolare le sue attività illecite. Spetta al creditore fornire la prova contraria.

La valutazione della buona fede: non basta l’assenza di collusione

Il punto più approfondito dalla sentenza è la valutazione della buona fede. Essa non si esaurisce nella mera assenza di un accordo collusivo. La legge richiede un ‘affidamento incolpevole’, che postula un dovere di diligenza da parte del creditore. Tale diligenza deve essere valutata in concreto, tenendo conto delle condizioni delle parti, del tipo di attività svolta e delle circostanze del negozio.

La Corte critica le motivazioni del Tribunale quando queste risultano ‘apodittiche’, ossia mere affermazioni di principio non ancorate a fatti specifici. Ad esempio, nel caso della società che aveva concesso gli immobili in affitto, la Cassazione annulla la decisione perché il Tribunale si era limitato a giudicare ‘rischiosa’ la scelta imprenditoriale senza indicare elementi concreti che dimostrassero una forma di collusione o una negligenza tale da aver impedito di percepire il nesso con l’attività illecita.

Al contrario, nel caso della vendita di un immobile con modalità di pagamento anomale (sostituzione di assegni con un’unica cambiale a lunga scadenza, senza garanzie), la Corte ha ritenuto corretta la valutazione di assenza di buona fede. Tali anomalie, contrarie a ogni normale prudenza negoziale, costituiscono un forte indizio di un comportamento perlomeno equivoco del creditore.

Conclusioni

La sentenza 43700/2024 consolida un orientamento rigoroso per la tutela dei crediti e confisca. I terzi creditori, soprattutto se operatori professionali come le banche, non possono limitarsi a una valutazione formale della controparte. Hanno un onere di diligenza che impone di approfondire le anomalie e le sproporzioni finanziarie che emergono nel corso del rapporto. Una scelta negoziale palesemente antieconomica o priva delle usuali cautele può essere interpretata come un indice della mancanza di buona fede. Tuttavia, il giudice di merito non può negare la tutela sulla base di motivazioni astratte, ma deve sempre ancorare il suo giudizio a elementi fattuali specifici che dimostrino come la negligenza del creditore abbia, in concreto, causato l’ignoranza della strumentalità del rapporto alle attività illecite.

Cosa deve provare un creditore per tutelare il proprio diritto in caso di confisca dei beni del debitore?
Secondo la sentenza, il creditore deve soddisfare un duplice onere probatorio: deve dimostrare che il suo credito non è strumentale all’attività illecita del soggetto proposto e, contemporaneamente, di aver agito in buona fede, cioè che il suo affidamento sulla liceità dell’operazione fosse incolpevole e non frutto di negligenza.

La scelta di un’operazione commerciale rischiosa implica automaticamente la mala fede del creditore?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che una motivazione che si limita a definire un’operazione come ‘rischiosa’ è apodittica e insufficiente a negare la buona fede. È necessario che il giudice indichi elementi di fatto specifici che attestino una qualche forma di collusione o una negligenza così grave da aver causato la mancata percezione della strumentalità del credito rispetto alle attività illecite.

Quali sono gli indici che possono far presumere la mancanza di buona fede di un creditore?
La sentenza evidenzia come indici rilevanti le modalità di negoziazione palesemente anomale e contrarie alla comune prudenza commerciale. Ad esempio, la rinuncia a garanzie reali, l’accettazione di modalità di pagamento differite e incerte (come un’unica cambiale a lunga scadenza in sostituzione di assegni già emessi) o la concessione di finanziamenti a soggetti con palese sproporzione tra redditi leciti e valore degli acquisti possono costituire elementi gravi per escludere la buona fede.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati