LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Crediti da lavoro e confisca: quando sono esclusi

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 23464/2024, ha confermato l’esclusione di alcuni crediti da lavoro dallo stato passivo di una società confiscata. I richiedenti, che erano sia dipendenti sia soci con legami di parentela con i proposti, sono stati ritenuti privi di buona fede, in quanto il loro rapporto di lavoro è stato considerato ‘formale’ e strumentale al recupero di beni vincolati.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 27 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Crediti da Lavoro e Confisca: La Cassazione Nega il Diritto ai Soci-Parenti

Quando un’azienda viene confiscata per attività illecite, cosa succede ai crediti da lavoro dei dipendenti? La risposta non è sempre scontata, specialmente quando i lavoratori hanno anche un ruolo nella compagine societaria e legami di parentela con i soggetti proposti per le misure di prevenzione. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 23464 del 2024, fa luce su questo complesso scenario, stabilendo che un rapporto di lavoro ‘formale’ non è sufficiente a garantire il pagamento se emergono elementi che ne dimostrano la strumentalità a fini illeciti.

I Fatti di Causa: Una Richiesta di Ammissione al Passivo Contestata

Il caso ha origine dalla richiesta di due lavoratori di essere ammessi allo stato passivo di una società a responsabilità limitata, soggetta a confisca nell’ambito di un procedimento di prevenzione. I due ricorrenti, legati da un rapporto di parentela con i soggetti destinatari della misura, chiedevano il pagamento delle retribuzioni maturate da marzo 2020 a gennaio 2021, oltre al trattamento di fine rapporto (TFR) e alla rivalutazione.

Il Tribunale di merito aveva già respinto la loro opposizione, confermando l’esclusione dei crediti. La decisione si fondava su una serie di elementi critici: i richiedenti non erano semplici dipendenti, ma anche soci della società confiscata. Questa commistione di ruoli, unita ai legami familiari, aveva portato il giudice a dubitare della buona fede degli istanti e dell’effettività della prestazione lavorativa, considerata un mero strumento per recuperare parte delle risorse vincolate dalla confisca.

La Valutazione dei crediti da lavoro in caso di confisca

I ricorrenti si sono rivolti alla Corte di Cassazione lamentando una violazione di legge. A loro dire, il Tribunale avrebbe illegittimamente invertito l’onere della prova, pretendendo da loro la dimostrazione dell’effettivo svolgimento del lavoro, anziché basarsi su atti formali come i contratti di assunzione e le buste paga. Sostenevano che la loro duplice veste di lavoratori e soci non potesse, da sola, giustificare l’esclusione dei loro crediti.

La Suprema Corte, tuttavia, ha dichiarato i ricorsi inammissibili, sposando pienamente la linea del Tribunale e fornendo importanti chiarimenti sui criteri di valutazione in materia.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale nelle procedure di prevenzione patrimoniale. Quando un terzo creditore chiede di essere ammesso allo stato passivo di un bene confiscato, il giudice deve seguire un preciso percorso logico:

1. Verifica del Nesso di Strumentalità: In primo luogo, il tribunale deve accertare se esista un ‘nesso di strumentalità’ tra il credito vantato e l’attività illecita che ha causato la confisca. In altre parole, deve capire se quel credito è in qualche modo collegato o funzionale al business illegale.
2. Valutazione della Buona Fede: Solo se il nesso di strumentalità è assente o non provato, si passa a valutare la buona fede del creditore, ovvero la sua totale estraneità e inconsapevolezza rispetto ai traffici illeciti.

Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto che il Tribunale avesse correttamente applicato questi principi. La qualità di soci dei ricorrenti e i loro stretti legami familiari con i proposti rendevano evidente la strumentalità della loro prestazione e del relativo credito. L’intero ‘gruppo’ societario era stato confiscato perché ritenuto di matrice mafiosa, e la posizione dei ricorrenti all’interno di esso non poteva essere considerata quella di semplici terzi estranei.

Il rapporto di lavoro è stato definito ‘formale’, una costruzione giuridica utilizzata al solo scopo di recuperare risorse economiche altrimenti destinate alla confisca. Di conseguenza, è stata esclusa anche la loro buona fede. La Corte ha sottolineato che, ai sensi dell’art. 52 del D.Lgs. 159/2011, il giudice deve tenere conto delle condizioni delle parti, dei loro rapporti personali e patrimoniali e del tipo di attività svolta. Questo ragionamento è stato esteso anche alla pretesa sul TFR, in quanto credito direttamente discendente da un rapporto di lavoro giudicato fittizio.

Conclusioni

La sentenza in esame rafforza un principio cruciale: nelle misure di prevenzione, la forma non può prevalere sulla sostanza. Un contratto di lavoro, anche se formalmente ineccepibile, non costituisce una garanzia assoluta per il creditore se il contesto fattuale – come la commistione di ruoli societari e legami familiari in un ambito di illegalità accertata – dimostra che tale rapporto è stato strumentalizzato per finalità illecite. La decisione riafferma l’obiettivo delle misure di prevenzione patrimoniale, che è quello di bonificare il tessuto economico aggredito dalla criminalità, impedendo che gli stessi soggetti coinvolti, seppur sotto mentite spoglie, possano recuperare i beni di provenienza illecita.

Un lavoratore che è anche socio e parente del titolare di un’azienda confiscata ha sempre diritto al pagamento dei suoi crediti da lavoro?
No. La Cassazione ha chiarito che, se emergono un nesso di strumentalità tra il credito e l’attività illecita e una mancanza di buona fede, il credito può essere escluso. La duplice veste di lavoratore e socio/parente è un forte indizio che i giudici devono valutare attentamente.

Per escludere i crediti da lavoro dallo stato passivo di un’azienda confiscata, chi deve provare cosa?
Il tribunale deve prima verificare d’ufficio il nesso di strumentalità del credito con l’attività illecita. Successivamente, è il creditore a dover fornire gli elementi dimostrativi della sua buona fede. In questo caso, la Corte ha ritenuto che la commistione di ruoli e i legami familiari rendessero evidente la strumentalità, escludendo di conseguenza la buona fede.

La richiesta di pagamento del Trattamento di Fine Rapporto (TFR) segue le stesse regole dei crediti per le retribuzioni?
Sì. Secondo la sentenza, anche la pretesa relativa al TFR è soggetta alla medesima valutazione. Se il rapporto di lavoro viene ritenuto ‘formale’ e strumentale a fini illeciti, anche il credito per il TFR, che da esso deriva, viene legittimamente escluso dallo stato passivo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati