Credibilità Vittima Reato: La Cassazione Fissa i Paletti
La valutazione della credibilità vittima reato rappresenta uno dei nodi cruciali di molti processi penali. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce con fermezza i confini tra il giudizio di merito e quello di legittimità, chiarendo una volta per tutte che la Suprema Corte non è la sede adatta per rimettere in discussione l’attendibilità di una testimonianza, salvo casi eccezionali. Analizziamo insieme questa importante pronuncia.
I Fatti del Processo
Il caso trae origine da un ricorso presentato da un imputato, condannato in primo grado e in appello per il reato di estorsione. La condanna si fondava in maniera significativa sulle dichiarazioni rese dalla persona offesa, la cui testimonianza era stata ritenuta pienamente credibile dai giudici dei precedenti gradi di giudizio. L’imputato, non rassegnandosi alla decisione della Corte d’Appello, ha proposto ricorso per Cassazione, incentrando le proprie doglianze proprio sulla presunta inattendibilità della vittima, chiedendo di fatto ai giudici di legittimità una nuova e diversa valutazione delle prove dichiarative.
La Decisione della Corte di Cassazione e la credibilità vittima reato
La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. La decisione si fonda su un principio consolidato nel nostro ordinamento processuale: la valutazione delle prove, e in particolare della credibilità dei testimoni, costituisce una “questione di fatto” la cui analisi è di esclusiva competenza dei giudici di merito (Tribunale e Corte d’Appello).
La Corte Suprema, in qualità di giudice di legittimità, non può sostituire la propria valutazione a quella dei giudici che hanno direttamente esaminato le prove. Il suo compito è verificare che la legge sia stata applicata correttamente e che la motivazione della sentenza impugnata sia logica, coerente e priva di “manifeste contraddizioni”. Poiché nel caso di specie i giudici di appello avevano fornito una spiegazione adeguata e razionale del perché ritenessero credibile la vittima, non vi era alcuno spazio per un intervento della Cassazione.
Le motivazioni
La Corte ha specificato che la credibilità vittima reato è un elemento che possiede una propria chiave di lettura nel compendio motivazionale offerto dal giudice di merito. Non può, quindi, essere rivalutata in sede di legittimità. Questo orientamento, come ricordato dalla stessa ordinanza, è stato affermato in più occasioni, anche dalle Sezioni Unite della Cassazione (sent. n. 41461/2012).
Nel dettaglio, i giudici di legittimità hanno osservato come la Corte d’Appello avesse adempiuto correttamente al proprio dovere, procedendo a un “corretto vaglio delle dichiarazioni della persona offesa”. Queste dichiarazioni erano state ritenute:
* Intrinsecamente credibili: ossia logiche, coerenti e prive di contraddizioni interne.
* Confermate da riscontri esterni: ovvero supportate da altri elementi di prova concreti e validi emersi nel corso del processo.
I giudici di merito avevano esposto in modo congruo le ragioni di fatto e di diritto che li avevano portati a fondare la condanna su tali basi. Di fronte a una motivazione così strutturata, il ricorso dell’imputato si è rivelato un mero tentativo, non consentito, di ottenere una terza valutazione sul merito dei fatti, destinato inevitabilmente all’inammissibilità.
Le conclusioni
L’ordinanza in esame consolida un principio cardine della procedura penale, tracciando una linea netta tra le competenze dei diversi gradi di giudizio. La conseguenza pratica è chiara: un ricorso per Cassazione basato unicamente sulla speranza di una riconsiderazione della credibilità di un testimone, senza evidenziare vizi logici macroscopici nella sentenza d’appello, non ha possibilità di successo. La decisione comporta per il ricorrente la condanna definitiva, oltre all’obbligo di pagare le spese processuali e una sanzione di tremila euro in favore della Cassa delle ammende, a conferma della serietà con cui l’ordinamento sanziona i ricorsi pretestuosi.
È possibile contestare la credibilità di una vittima davanti alla Corte di Cassazione?
No, di regola. La valutazione della credibilità della vittima è una “questione di fatto” di competenza dei giudici di merito (Tribunale e Corte d’Appello). La Cassazione può intervenire solo se la motivazione della sentenza impugnata presenta contraddizioni evidenti e insanabili.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché mirava a ottenere una nuova valutazione della credibilità della persona offesa, un’attività che non rientra nei poteri della Corte di Cassazione. I giudici d’appello avevano già motivato in modo congruo e logico le ragioni della loro decisione.
Quali sono le conseguenze di un ricorso inammissibile?
La dichiarazione di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria, in questo caso tremila euro, da versare alla Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 24539 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 24539 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 03/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a MONTEROTONDO il 16/02/2002
avverso la sentenza del 13/12/2024 della CORTE APPELLO di ROMA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di NOME COGNOME;
ritenuto che l’unico motivo di ricorso, con cui si lamenta la violazione di legge
con riferimento all’art. 629 cod. pen. in punto di giudizio di responsabilità, è priv di specificità, prospettando doglianze già dedotte e motivatamente disattese dal
giudice di appello (l’inattendibilità delle dichiarazioni della persona da cu discenderebbe l’insussistenza degli elementi costitutivi del delitto di estorsione ),
e volto ad ottenere una rivalutazione delle risultanze processuali, estranea al sindacato di questa Corte, essendo il controllo di legittimità limitato alla verifi
della esistenza di un logico apparato argomentativo con riguardo all’apprezzamento delle acquisizioni probatorie (Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003,
COGNOME, Rv. 226074);
che, nello specifico, deve ricordarsi come ogni vaglio critico circa il giudizio di
attendibilità della deposizione della persona offesa sia precluso innanzi a questa
Corte, in ossequio al principio consolidato secondo il quale la valutazione della credibilità della vittima del reato rappresenta una questione di fatto che ha una propria chiave di lettura nel compendio motivazionale fornito dal giudice e non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice non sia incorso i manifeste contraddizioni (in tal senso cfr. Sezioni Unite, n. 41461 del 19/07/2012, Bell’Arte, in motivazione; in questo senso, Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, COGNOME, Rv. 271623 – 01);
che, i giudici di appello hanno proceduto al corretto vaglio delle dichiarazioni della persona offesa che aveva delineato la contestata condotta estorsiva, valutandole intrinsecamente credibili e confermate da concreti e validi riscontri esponendo le congrue ragioni di fatto e di diritto poste a base del loro convincimento (si vedano le pagg. 3 e 5 della sentenza impugnata);
ritenuto, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso, il 3 giugno 2025.