Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 39482 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 39482 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 02/07/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME
nato a GLYPH omissis
avverso la sentenza del 01/03/2023 della Corte di appello di Torino
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; udita per l’imputato l’avv. NOME COGNOME che ha concluso insistendo per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 01/03/2023, la Corte di appello di Torino, in parziale riforma della sentenza emessa in data 11/07/2022 dal Gup del Tribunale di Torino, che, all’esito di giudizio abbreviato, aveva dichiarato T.F. del reato di cui agli artt. 81 cpv, 609bis, 609ter comma 1 n. 1) e comma 2 prima ipotesi cod.pen, contestato al capo A dell’imputazione, commesso in danno della figlia minore (dichiarando, altresì, non luogo a provvedere in ordine al reato di cui al capo B perché estinto per intervenuta prescrizione), riduceva la pena inflitta all’imputato ad anni quattro e mesi quattro di reclusione.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione RAGIONE_SOCIALE a mezzo del difensore di fiducia, articolando i motivi di seguito enunciati.
Con il primo motivo deduce vizio di motivazione in relazione al diniego di rinnovazione di perizia sulla minore.
Argomenta che la Corte territoriale aveva disatteso con motivazione apparente la richiesta di rinnovazione istruttoria di integrare la perizia sull attendibilità e credibilità della minore mediante nuovo vaglio peritale sulle dinamiche relazioni, sulla sfera affettiva e sulla presenza di condizionamenti e/po suggestioni nella minore; tale approfondimento era necessario perché la persona offesa, a distanza di anni ed allontanata dal contesto familiare di origine, riferiva di essere stata nuovamente vittima di attenzioni sessuali da parte di terzi, secondo modalità similari a quanto denunciato in passato; rimarca che lo studio della capacità di testimoniare non può prescindere dall’analisi dei contesti e delle dinamiche che hanno condotto il minore a riferire o rivisitare la propria esperienza, allo scopo di identificare eventuali influenze suggestive esterne e su tale aspetto l’elaborato del consulente del Pm era carente ed il test somministrato alla minore non era volto a cogliere discrepanze correlate a deficit cognitivi ed inferenze emotivo-affettive.
Con il secondo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla nullità o inammissibilità o decadenza dalla costituzione di parte civile, conflitto di interesse tra danneggiato e rappresentante processuale ex art. 77 cod.proc.pen. e responsabilità ex art. 40 cpv cod.pen.
Argomenta che, sulla base delle modalità di disvelamento degli abusi, emergeva che la madre della minore era al corrente da tempo della situazione ma che la medesima aveva omesso di intraprendere ogni iniziativa a tutela della figlia minore; la Corte di appello aveva omesso di valutare tutti gli atti processuali dai quali emergeva in maniera lampante l’eventuale responsabilità della predetta ex art. 40 cpv, cod.pen. e che comprovavano la sussistenza del conflitto di interesse fra madre e figlia al fine di escludere la costituzione di parte civile della predett in nome e per conto della minore; tale conflitto di interesse emergeva dagli atti di
indagine, dal decreto del Tribunale per i minorenni di Torino del 3/12/2020 e d stesse dichiarazioni rese dalla minore in sede di incidente probatorio.
Con il terzo motivo deduce violazione degli artt. 192 e 533, comma 1 cod.proc.pen. in relazione alla mancata assoluzione dell’imputato dal reato d al capo a), vizio di motivazione in ordine alla valutazione di credibilità della offesa, erronea applicazione di legge processuale con riferimento all’art cod.proc.pen.
Argomenta che le dichiarazioni della minore nella ricostruzime degli abus subiti erano state totalmente travisate e che la motivazione relativa”valutazio attendibilità della minore risultava carente in ordine alla genesi della rive degli abusi, al contesto familiare in cui era maturata la vicenda, alle s.i.t. ed alla lacunosità delle indagini condotte dal Pm e ad eventuali aspet suggestionabilità.
Quanto alla genesi del disvelamento degli abusi, era evidente il conta dichiarativo: la minore aveva riferito degli abusi alla zia, che si era ri un’amica psicologa ed alla maestra delle elementari della minore; inoltre, i Gi del merito non avevano valutato il contenuto dei messaggi prodotti dalla zia d minore, nei quali la persona offesa poneva indovinelli per far capire chi persona che le aveva fatto male.
La Corte di appello, poi, nel valutare l’attendibilità della minore, non esaminato i singoli episodi contestati in quanto la minore non era stata in grado indicare compiutamente e di descrivere con logica e coerenza ogni episodio; l’un episodio analizzato era quello della D.A.D. e i Giudici di appello avevano for una motivazione illogica, mentre non erano stati esaminati gli episodi acca nella stalla, sul trattore, in macchina e con somministrazione di vino e liquo minore.
Anche la valutazione di attendibilità del fratello della persona offes sorretta da argomentazioni illogiche (le dichiarazioni del ragazzo erano smentite dalle stesse dichiarazioni della persona offesa e della sorella) e non state valutate le dichiarazioni della sorella della persona offesa, che aveva di non aver mai notato nulla di strano tra il padre e la sorella maggiore; andava rimarcato che alla persona offesa, sia nell’audizione del 27/11/2020 in sede di incidente probatorig erano state poste domande nocive ed ave risposto ad ogni domanda suggestiva con la risposta preannunciata dal s interlocutore.
Con il quarto motivo deduce violazione degli artt. 192 e 533, comma 1 cod.proc.pen. in relazione alla mancata assoluzione dell’imputato dal reato d al capo b), travisamento della prova erronea applicazione di legge processuale riferimento all’art. 603 cod.proc.pen.
Argomenta che la Corte di appello avrebbe dovuto assolvere nel merito l’imputato dall’imputazione di cui al capo B), in quanto l’attendibilità della persona offesa poggiava su un processo motivazionale contraddittorio ed illogico e con travisamento delle dichiarazioni testimoniali; inoltre, il Giudice di primo grado avrebbe dovuto procedere d’ufficio all’integrazione istruttoria al fine valutare compiutamente l’attendibilità della persona offesa.
Con il quinto motivo deduce erronea applicazione dell’art. 609-bis, comma 3, cod.pen. e vizio di motivazione in relazione alla mancata applicazione dell’attenuante della minore gravità.
Argomenta che il diniego di applicazione della circostanza attenuante della minore gravità era stato giustificato dalla Corte territoriale con argomentazioni illogiche e contraddittorie, dando rilievo ostativo alla minore età della persona offesa ed alla reiterazione delle condotte ed omettendo di valutare globalmente il fatto; in particolare, era stata omessa la valutazione della non grave compromissione della integrità psicofisica della minore, con riguardo al suo processo di maturazione sessuale, il corretto sviluppo della minore, la continua adesione al processo scolastico, l’assenza di disagio nei rapporti interpersonali; inoltre, la Corte di appello aveva dato rilievo, ai fini della riduzione della pena, al tipologia degli atti sessuali compiuti, che dovevano rilevare anche ai fini del riconoscimento della attenuante in questione.
Con il sesto motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla dosimetria della pena.
Con riferimento al diniego delle circostanze attenuanti generiche, lamenta che la Corte aveva richiamato l’oggettiva gravità del fatto e le conseguenze derivate nonché il silenzio serbato e l’assenza di revisione critica, lamentando che il silenzio non poteva essere considerato elemento a carico dell’imputato.
Con riferimento all’entità della pena lamenta che la sanzione era particolarmente afflittiva e non vi era menzione delle modalità di applicazione dell’aumento di pena per la continuazione interna, né era stato considerato che l’imputato aveva risarcito il danno come determinato dai Giudici di merito.
Il difensore del ricorrente ha chiesto la trattazione orale del ricorso. Il PG ha depositato memoria ex art. 611 cod.proc.pen., nella quale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
La rinnovazione dell’istruzione dibattimentale nel giudizio di appello è evenienza eccezionale, subordinata ad una valutazione giudiziale di assoluta necessità.
La rinnovazione del dibattimento, infatti, postula una deroga alla presunzione di completezza della indagine istruttoria svolta in primo grado ed ha caratteristica di istituto eccezionale, nel senso che ad essa può farsi ricorso quando appaia assolutamente indispensabile, cioè nel solo caso in cui il giudice ritenga, nella sua discrezionalità, di non poter decidere allo stato degli atti (Sez.2,n.8106 del 26/04/2000, Rv.216532; Sez.2, n. 3458 del 01/12/2005,dep.27/01/2006, Rv.233391; Sez. 2, 15/05/2013, n. 36630; Sez. 2, 27/09/2013, n. 41808; Sez.U, n. 12602 de/ 17/12/2015, dep. 25/03/2016, Rv.266820 – 01).
Il giudice d’appello, inoltre, ha l’obbligo di disporre la rinnovazione del dibattimento solo quando la richiesta della parte sia riconducibile alla violazione del diritto alla prova, non esercitato non per inerzia colpevole, ma per forza maggiore o per la sopravvenienza della prova dopo il giudizio, o quando la sua ammissione sia stata irragionevolmente negata dal giudice di primo grado.
In tutti gli altri casi, la rinnovazione del dibattimento è rimessa al potere discrezionale del giudice, il quale è tenuto a dar conto delle ragioni del rifiuto quanto meno in modo indiretto, dimostrando in positivo la sufficiente consistenza e la assorbente concludenza delle prove già acquisite (Sez. 2, n. 45739 del 04/11/2003, Rv. 226977).
Il provvedimento di rigetto della richiesta di rinnovazione istruttoria in appello, infatti, può essere motivato anche implicitamente in presenza di un quadro probatorio definito, certo e non abbisognevole di approfondimenti indispensabili (Sez.6, n.11907 del 13/12/2013, dep.12/03/2014, Rv.259893;Sez.4, n.47095 del 02/12/2009, Rv.245996).
Nella specie, la Corte territoriale, ha ribadito la valutazione di capacità di testimoniare della minore richiamando le conclusioni del perito dott.ssa NOMECOGNOME esaminando le deduzioni del consulente tecnico della difesa, nonchè ha motivato in maniera articolata in ordine alla attendibilità della persona offesa, rispondendo congruamente alle censure mosse sul punto con l’atto di appello; i Giudici di appello hanno, quindi, ritenuto il quadro probatorio certo in considerazione della sussistenza di elementi sufficienti per una valutazione in senso positivo sulla responsabilità, con la conseguente valutazione di non necessità di rinnovare il dibattimento.
La motivazione è adeguata ed in linea con i principi di diritto summenzionati, con conseguente manifesta infondatezza della doglianza sollevata.
Il secondo motivo di ricorso è inammissibile.
Il motivo prospetta deduzioni del tutto generiche, che non si confrontano specificamente con le argomentazioni svolte ( p. 6) nella sentenza impugnata, confronto doveroso per l’ammissibilità dell’impugnazione, ex art. 581 cod.proc.pen., perché la sua funzione tipica è quella della critica argomentata
avverso il provvedimento oggetto di ricorso ( GLYPH GLYPH Rv.243838; Sez.6, n.22445 del 08/05/2009, Rv.244181).
,
Trova, dunque, applicazione il principio, già affermato da questa Corte, secondo cui, in tema di inammissibilità del ricorso per cassazione, i motivi devono ritenersi generici non solo quando risultano intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato (Sez.2, n.19951 del 15/05/2008, Rv.240109;Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, Rv. 255568; Sez.2, n.11951 del 29/01/2014, Rv.259425). La mancanza di specificità del motivo, invero, deve essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell’art. 591 comma 1 lett. c), all’inammissibilità del ricorso (Sez. 4, 29/03/2000, n. 5191, Barone, Rv. 216473; Sez. 1, 30/09/2004, n. 39598, COGNOME, Rv. 230634; Sez. 4, 03/07/2007, n. 34270, COGNOME, Rv. 236945; Sez. 3, 06/07/2007, n. 35492, Tasca, Rv. 237596).
La censura, peraltro, risulta inammissibile anche per carenza di interesse in quanto ha ad oggetto situazione (conflitto di interesse tra rappresentato e rappresentate in relazione alla posizione della parte civile) riferibile a soggetto diverso dal ricorrente.
Il terzo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Va premesso che, secondo il costante orientamento di questa Corte, il Giudice di merito può trarre il proprio convincimento circa la responsabilità penale anche dalle sole dichiarazioni rese dalla persona offesa, sempre che sia sottoposta a vaglio positivo circa la sua attendibilità, senza la necessità di applicare le regole probatorie di cui all’art. 192, commi 3 e 4, cod. proc. pen., che richiedono la presenza di riscontri esterni (Cfr., Sez U, n.41461 del 19/07/2012, Rv.253214; Sez.2, n.43278 del 24/09/2015, Rv.265104 – 01 Sez. 1, n. 29372 del 27/7/2010, Rv. 24801).
Si è anche precisato come tale controllo, considerato l’interesse di cui la persona offesa è naturalmente portatrice ed al fine di escludere che ciò possa comportare una qualsiasi interferenza sulla genuinità della deposizione testimoniale, debba essere condotto con la necessaria cautela, attraverso un esame particolarmente rigoroso e penetrante, che tenga conto anche degli altri elementi eventualmente emergenti dagli atti (Sez. 6, n. 33162 del 03/06/2004,Rv. 229755 – 01). Anche più di recente si è ribadito che le dichiarazioni della persona offesa, costituita parte civile, possono essere poste, anche da sole, a fondamento dell’affermazione di responsabilità penale dell’imputato, previa verifica, più
penetrante e rigorosa rispetto a quella richiesta per la valutazione delle dichiarazioni di altri testimoni, della credibilità soggettiva del dichiarante dell’attendibilità intrinseca del suo racconto e, qualora risulti opportuna l’acquisizione di riscontri estrinseci, questi possono consistere in qualsiasi elemento idoneo a escludere l’intento calunniatorio del dichiarante, non dovendo risolversi in autonome prove del fatto, né assistere ogni segmento della narrazione, posto che la loro funzione è sostanzialmente quella di asseverare esclusivamente ed in via generale la sua credibilità soggettiva (Cfr. Sez.5, n. 21135 del 26/03/2019, Rv. 275312 – 01).
Tali principi trovano applicazione ancor più rigorosa allorché la persona offesa sia un minore ed i fatti narrati possano interagire con gli aspetti più intimi dell sua personalità adolescenziale o, come nel caso di specie, infantile, tanto da accentuare il rischio di suggestioni, di reazioni emotive, di comportamenti di compiacenza o autoprotettivi, in quanto – ancorché non esistano nel sistema processuale preclusioni o limiti generali alla capacità del minore di rendere testimonianza (Sez. 3, 6 maggio – 8 luglio 2008, n. 27742) – si impone tuttavia una particolare cautela nello scandagliare il vissuto del bambino e la sua capacità rielaborativa (Sez. 3, 3 luglio 1997, COGNOME).
In proposito va ricordato che questa Corte ha reiteratamente affermato che la valutazione delle dichiarazioni testimoniali del minore, persona offesa di reati sessuali, presuppone un esame della sua credibilità in senso onnicomprensivo e che tenga conto di più elementi.
E’ necessario, infatti, che l’esame della credibilità tenga conto di più elementi quali l’attitudine a testimoniare, la capacità a recepire le informazioni, ricordarle raccordarle (ovvero l’attitudine psichica, rapportata all’età, a memorizzare gli avvenimenti e a riferirne in modo coerente e compiuto), nonché il complesso delle situazioni che attingono la sfera inferiore del minore e le condizioni emozionali che modulano i rapporti col mondo esterno, il contesto delle relazioni con l’ambito familiare ed extrafamiliare e i processi di rielaborazione delle vicende vissute” (cfr. Sez. 3, n. 39994 del 26/9/2007, COGNOME, Rv. 237952 e Sez. 3, n. 29612 del 27/7/2010, P.C. in proc. R. e altri., Rv. 247740).
Va, infine, ricordato che, secondo il pacifico orientamento di questa Corte, (529 la valutazione circa l’attendibilità della persona offesa involge un’indagine positiva sulla credibilità soggettiva del dichiarante e sulla attendibilità intrinseca d racconto, che si connota quale giudizio di tipo fattuale, ossia di merito, in quanto attiene al modo di essere della persona escussa; tale giudizio può essere effettuato solo attraverso la dialettica dibattimentale, mentre è precluso in sede di legittimità, specialmente quando il giudice del merito abbia fornito una spiegazione plausibile della sua analisi probatoria (Cfr. Sez.2, n.7667 del 29/01/2015, Rv.262575; Sez.
3, n. 8382 del 22/01/2008, Rv. 239342; Sez. 3, n. 41282 del 05/10/2006, Rv. 235578).
Nella specie, la Corte territoriale, con apprezzamento di fatto immune da censure, e dunque insindacabile in sede di legittimità, nel richiamare, confermandola, la valutazione del primo giudice, ha fondato la decisione sulle dichiarazioni della minore, ritenuta capace di testimoniare, credibile e pienamente attendibile, con una compiuta ed articolata valutazione (pp 7,8,9,10,11,12,13,14, 15) basata, quanto, alla attitudine a testimoniare, sulle risultanze della consulenza tecnica a firma della dott.ssa o . (valutate con congrue argomentazioni, anche in relazione alla non condivisibilità delle risultanze della consulenza di parte) e, quanto alla credibilità ed attendibilità della minore, sulla disamina della genesi della notizia di reato, sull’esame delle modalità e contenuto della prima rivelazione ( la minore aveva riferito degli abusi alla zia, prima avvicinandola e dicendole di volerle parlare di una cosa grave, per poi, interrompere il discorso, notando l’arrivo di un’altra persona; quindi, aveva rivelato l’abuso e l’autore dello stesso nell’ambito di un successivo scambio di messaggi), sul rilievo della genuinità, costanza e reiterazione del racconto, nonchè sulla valutazione del vissuto familiare ed emotivo della minore ; i Giudici di appello, nel confermare la valutazione del primo giudice, hanno evidenziato l’inesistenza, nella minore, di un sentimento di odio o di un intento calunnatorio nei confronti dell’imputato, spiegando anche che il fatto che la minore avesse lamentato di aver subito da parte di terzi condotte analoghe a quelle poste in essere dall’imputato non disvelava certo un intento calunnioso ma evidenziava episodi in cui la ragazza era stata destinataria di attenzioni non desiderate da parte di sconosciuti (episodi riferiti con descrizione dettagliata e fluente nonchè attendibile sul piano logico e della verosimiglianza); hanno, poi, spiegato le ragioni in base alle quali le dichiarazioni rese dal fratello e dalla sorella della persona offesa (i quali non avevano mai riferito di condotte abusanti del padre nei confronti della sorella; molte condotte erano avvenute in posti isolati- auto e stalla – o in contesti -durante le coccole sul divano- nei qual comprensibilmente i fratelli non avrebbero potuto cogliere il profilo dell’abuso) non inficiavano la attendibilità della stessa (p 12 e 13), e del contrasto tra l dichiarazioni rese dalla persona offesa e dalla sorella più piccola in merito a condotte abusanti tenute dall’imputato anche nei confronti della figlia più piccola (la bambina aveva sette anni al momento dei fatti ed era possibile che non avesse colto la connotazione sessuale delle attenzioni rivoltele dal padre, riferite, invece, dalla persona offesa); hanno, infine, sottolineato come le dichiarazioni accusatorie trovassero anche riscontri esterni nelle ulteriori risultanze istruttorie, costitui dalle dichiarazioni rese dal GLYPH G.C. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Le argomentazioni sono congrue e non manifestamente illogiche e si sottraggono al sindacato di legittimità.
La valutazione dei Giudici di appello risulta, dunque, giustificata da adeguata motivazione, con la quale il ricorrente neppure si confronta criticamente (confronto doveroso per l’ammissibilità dell’impugnazione, ex art. 581 cod.proc.pen., perché la sua funzione tipica è quella della critica argomentata avverso il provvedimento oggetto di ricorso, cfr. Sez.6, n.20377 del 11/03/2009, Rv.243838; Sez.6, n.22445 del 08/05/2009, Rv.244181), limitandosi a proporre una diversa lettura del materiale probatorio, preclusa in sede di legittimità.
Nè, infine, coglie nel segno la censura con la quale si lamenta che alla minore sarebbero state poste domande suggestive e nocive, sia nell’audizione del 27/11/2020 che in sede di incidente probatorio.
Va, innanzitutto, evidenziato che il divieto di porre domande suggestive di cui all’art. 499 cod. proc. pen. non si applica alle dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari dalla persona informata sui fatti, in quanto la norma riguarda il dibattimento e non le indagini preliminari (Sez.3, n. 11450 del 06/11/2018, Rv.275156 – 02).
Va, poi, osservato che, secondo l’orientamento costante di questa Corte, in tema di esame testimoniale, la violazione del divieto di porre domande suggestive non comporta né l’inutilizzabilità né la nullità della deposizione, non essendo prevista una tale sanzione dall’art. 499, comma 3, cod. proc. pen., né potendo la stessa essere desunta dalle previsioni contenute nell’art. 178 cod. proc. pen.; la domanda suggestiva può compromettere la genuinità della dichiarazione ove abbia inciso sul risultato della prova in maniera da rendere il materiale raccolto globalmente inidoneo ad essere valutato; ne consegue che per sostenere l’assenza di genuinità della prova dichiarativa, non è sufficiente affermare e comprovare che una o più domande abbiano suggerito la risposta, ma occorre estendere l’analisi dell’affidabilità della prova nel suo complesso, ben potendo il giudizio di piena attendibilità del teste essere fondato sulle risposte ad altre domande (Sez. 3, n. 49993 del 16/09/2019, Rv. 277399 – 01; Sez.3, n. 42568 del 25/06/2019, Rv. 277988 – 01; Sez.3, n. 36413 del 09/05/2019, dep.26/08/2019, Rv.276682 01).
Nella specie, il ricorrente si è limitato ad una doglianza del tutto generica neppure indicando le domande e le risposte ritenute di natura suggestiva e analizzando l’affidabilità della prova nel suo complesso.
Le censure, inoltre, presentano anche un ulteriore profilo di inammissibilità.
Secondo l’orientamento largamente prevalente di questa Corte, che va qui ribadito, in tema di esame testimoniale, il divieto di porre domande suggestive non opera con riguardo al giudice, il quale, agendo in un posizione di terzietà, può
rivolgere al testimone tutte le domande ritenute utili a fornire un contributo per l’accertamento della verità, ad esclusione di quelle atte ad incidere sulla sincerità della risposta (Sez.6, n. 8307 del 13/01/2021, Rv. 280710 – 01; Sez.3, n.21627 del 15/04/2015, Rv.263790 – 01; Sez. 1, n.44223 del 17/09/2014,Rv.260899 01; Sez.3, n. 27068 del 20/05/2008, Rv. 240261 – 01; Sez. 3, n. 4721 del 12/12/2007,dep.30/01/2008, Rv.238794 – 01), in relazione alle quali la relativa eccezione deve essere proposta nel corso dell’acquisizione dell’atto istruttorio e non può essere sollevata per la prima volta con l’atto d’impugnazione (Sez.5, n. 27159 del 02/05/2018, Rv.273233 – 01; Sez. 1, n.44223 del 17/09/2014, COGNOME, Rv. 260899; Sez. 3, n. 47084 del 23/10/2008,Rv.242255 – 01); eccezione che, nella specie, il ricorrente non deduce di aver tempestivamente formulato.
4. Il quarto motivo di ricorso è inammissibile.
Il ricorrente propone censure che non sembrano tenere conto che la sentenza ha dichiarato l’estinzione del reato contestato al capo B) per intervenuta prescrizione, con la conseguenza che il proscioglimento nel merito può derivare solo dall’evidenza dell’innocenza dell’imputato, così come richiesto dall’art. 129 comma 2 cod.proc.pen., evidenza che i Giudici d’appello hanno escluso, con motivazione adeguata e non manifestamente illogica (pp. 14 e 15 della sentenza impugnata).
Il ricorrente deduce vizio di motivazione in relazione all’affermazione e lamenta la mancata applicazione dei poteri istruttori di cui all’art. 603 cod.proc.pen; le censure sono inammissibili.
Costituisce ius receptum nella giurisprudenza di legittimità il principio secondo il quale, in presenza di una causa di estinzione del reato, il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell’art. 129, comma 2, cod. proc. pen., soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell’imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, così che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto di “constatazione”, ossia di percezione “ictu oculi”, che a quello di “apprezzamento” e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, COGNOME, Rv. 244274-5).
In presenza di una causa di estinzione del reato, infatti, non sono rilevabili in sede di legittimità vizi di motivazione della sentenza impugnata dal momento che il rinvio, da un lato, determinerebbe comunque per il giudice l’obbligo di dichiarare immediatamente la prescrizione, dall’altro, sarebbe incompatibile con l’obbligo dell’immediata declaratoria di proscioglimento; si tratta, quindi, di doglianze che prescindono dalla prospettiva imposta dall’art. 129 comma 2 cod.proc.pen.
Il quinto motivo di ricorso è manifestamente infondato.
La Corte di appello, a seguito della valutazione globale del fatto, ha escluso la ricorrenza dell’ipotesi attenuata di cui all’art. 609 bis ult. comma cod. pen., rimarcando in senso ostativo la reiterazione delle condotte in danno della figlia minorenne.
La motivazione è adeguata e priva di vizi logici e, pertanto, si sottrae al sindacato di legittimità, nonché conforme al principio di diritto affermato da questa Corte in subiecta materia.
Va, infatti, ricordato che questa Corte ha affermato che, in tema di violenza sessuale, ai fini del riconoscimento della diminuente per i casi di minore gravità di cui all’art. 609-bis, ultimo comma, cod. pen., deve farsi riferimento ad una valutazione globale del fatto, nella quale assumono rilievo i mezzi, le modalità esecutive, il grado di coartazione esercitato sulla vittima, le condizioni fisiche e psicologiche di quest’ultima, anche in relazione all’età, mentre ai fini del diniego della stessa attenuante è sufficiente la presenza anche di un solo elemento di conclamata gravità (Sez.3, n.46461 del 16/05/2017,Rv.271348 – 01; Sez.3,n.6784 del 18/11/2015, dep.22/02/2016,Rv.266272;Sez.3, n. 21623 del 15/04/2015, Rv.263821; Sez.3, n.23913 del 14/05/2014, Rv.259196; Sez.3, n.5002 del 07/11/2006, dep.07/02/2007, Rv.235648).
E si è precisato che la reiterazione degli abusi sessuali è sintomatica dell’intensità del dolo in capo all’imputato ed è espressione di una compressione non lieve della libertà sessuale della vittima, non compatibile con un giudizio di minore gravità del fatto (Sez.3, n. 4960 del 11/10/2018, dep.01/02/2019, Rv.275693 – 01; Sez.3, n. 6784 del 18/11/2015, dep.22/02/2016, Rv. 266272 01).
Il sesto motivo di ricorso è inammissibile.
La Corte territoriale ha denegato l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche rimarcando, in senso ostativo, la gravità del fatto, la dimensione delle conseguenze derivate dall’illecito (destinate a ripercuotersi sull’intera famiglia della vittima) nonchè il comportamento processuale.
Il ricorrente propone la sua doglianza solo con riferimento alla erronea valutazione del comportamento processuale dell’imputato, senza confrontarsi criticamente anche con gli altri elementi considerati dalla Corte di appello ai fini del diniego della istanza ex art. 62-bis cod.pen.
La censura proposta, pertanto, è generica.
E’, infatti, acquisizione pacifica nella giurisprudenza di questa Corte che è inammissibile, per difetto di specificità, il ricorso per cassazione che si limiti al critica di una sola delle diverse rationes decidendi poste a fondamento della decisione, ove queste – come nella specie – siano autonome ed autosufficienti (Sez. 3, n. 2754 del 06/12/2017 – dep. 23/01/2018, Bimonte, Rv. 272448).
Inammissibile è anche la censura relativa all’aumento di pena operato a titolo di continuazione tra i reati, in quanto la questione posta nel ricorso non era stata
rappresentata anche nei motivi di appello.
Va richiamato l’orientamento costante di questa Corte (Sez. U. 30.6.99,
COGNOME, Rv. 213981) secondo cui la denuncia di violazioni di legge non dedotte con i motivi di appello costituisce causa di inammissibilità originaria dell’impugnazione;
non possono, quindi, essere dedotte con il ricorso per cassazione questioni sulle quali il giudice di appello abbia correttamente omesso di pronunciare, perché non
devolute alla sua cognizione (Sez.3, n.16610 del 24/01/2017,Rv.269632), tranne che si tratti di questioni rilevabili di ufficio in ogni stato e grado del giudizio o c
non sarebbe stato possibile dedurre in precedenza (Sez.2, n.6131 del 29/01/2016,
Rv.266202), ipotesi che non ricorre nella specie.
Del pari inammissibile per genericità è la doglianza afferente alla mancata considerazione dell’avvenuto risarcimento del danno.
La Corte territoriale ha rimarcato come il pagamento della provvisionale determinata dal primo giudice costituiva un atto dovuto e non poteva essere
considerato elemento rilevante ai fini della dosimetria della pena; i Giudici di appello, poi, hanno evidenziato che il risarcimento del danno non poteva considerarsi integrale ed era intervenuto, tardivamente, nelle more del giudizio di appello, con la conseguenza che non poteva ritenersi integrata la circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 6 cod.pen.
Rispetto a tali adeguate e corrette argomentazioni, il ricorrente propone censure del tutto generiche, prive di confronto critico con la motivazione esposta dalla Corte territoriale, e, dunque, inammissibili.
Consegue, pertanto, la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 02/07/2024