Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 9179 Anno 2024
Penale Sent. RAGIONE_SOCIALE 4 Num. 9179 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 31/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOMECOGNOME COGNOME nato al
COGNOME omissis avverso la sentenza del 18/01/2023 della CORTE APPELLO di PERUGIA visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Gen. NOME COGNOME che ha concluso chiedendoil rigetto del ricorso.
Non è presente il Difensore del ricorrente AVV_NOTAIO che ha comunicato d non poter presenziare alla pubblica udienza e ha fatto pervenire conclusioni scritt cui si è riportata, insistendo per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del Tribunale di Ascoli Piceno del 14/2/2018 COGNOME NOME.G. veniva assolto perché il fatto non sussiste dai reati previsti e puniti:
dagli artt. 609 bis, 609 ter n. 1, 609 quater n. 1 c.p. perché con gesti repentini, sorprendendo e superando l’attenzione della minore infraquattordicenne
COGNOME
NOME COGNOME affidata a lui quale zio (marito di
BRAGIONE_SOCIALE.
sorella della madre della minore) e superando il chiaro dissenso della minore manifestato con un evidente imbarazzo e irrigidimento, mentre si trovavano seduti sul divano della abitazione del COGNOME B.G. COGNOME a vedere la televisione, la costringeva a subire atti sessuali, le toccava insistentemente da sopra i pantaloni la zona genitale. O comunque e quantomeno compiva atti sessuali con la minore infraquattordicenne a lui affidata. In om issis
dagli artt. 81 cod. pen., 609 quinquies, co. 1, 2, 3 c.p. perché, in più oc casioni e in esecuzione di un medesimo disegno criminoso:
si masturbava guardando filmini pornografici (riprese di rapporti sessuali tra lui e la propria moglie) davanti alla minore infraquattordicenne NOME mentre la stessa gli era stata affidata dalla madre, allo scopo di farla assistere;
faceva ripetutamente vedere alla minore, a lui affidata dalla madre, filmati pornografici (riprese di rapporti sessuali tra lui e la propria moglie), stimoland commenti dalla ragazzina, incitandola a guardare (dicendole “vedi quanto è brava tua zia” e altre analoghe espressioni) al fine di indurla a compiere o subire att sessuali (anche dicendole esplicitamente di “fargli un bocchino” o “una sega”).
Con l’aggravante di aver commesso i fatti sulla minore affidatagli dalla madre in quanto marito della sorella della madre stessa.
In COGNOME
omissis
dagli artt. 81, 609 bis e 609 ter n. 1 c.p. perché in più occasioni ed i esecuzione di un medesimo disegno, quando aveva a casa a lui affidata la minore infraquattordicenne NOME , la costringeva con violenza a subire baci sulla bocca nei momenti in cui nessun altro poteva vederli, bloccando la ragazzina sul muro e tenendole fermamente le braccia.
In Ascoli Piceno tra agosto 2013 e dicembre 2014.
La Corte di Appello di Ancona, sull’appello dei Procuratore Generale e della Parte civile con sentenza del 12/11/2019, in riforma della sentenza assolutoria di primo grado, condannava l’imputato ad anni 7 di reclusione ed al risarcimento alla parte civile, oltre pene accessorie.
La Terza Sezione penale di questa Corte di cassazione, con sentenza 1123/21 emessa in data 25/11/2020, annullava la sentenza emessa dalla Corte
di Appello di Ancona, impugnata dall’imputato, con rinvio alla Corte di Appello di Perugia per nuovo giudizio.
La Corte di Appello di Perugia, con sentenza del 18/1/2023, giudicando in sede di rinvio, in riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato il B.G. colpevole dei reati a lui ascritti ai Capi A), B seconda parte) e C) della rubrica e unificati i reati con il vincolo della continuazione sotto il più grave reato sub A) ha condannato alla pena di anni sei e mesi nove di reclusione, oltre alle spese processuali e di custodia del primo grado e della fase di rinvio; ha altresì applicato all’imputato le pene accessorie dell’interdizione perpetua dai pp.uu. e dell’interdizione legale durante l’esecuzione della pena, nonché le pene accessorie ex art. 609nonies cod. pen. dell’interdizione perpetua dalle funzioni di tutela, curatela, amministrazione di sostegno e dell’interdizione perpetua da qualunque incarico in scuole di ogni ordine e grado e da ogni ufficio e servizio in strutture pubbliche o private frequentate prevalentemente da minori. Ha, inoltre, condannato l’imputato al risarcimento del danno in favore della parte civile i M.S. COGNOME L da liquidarsi in c i E separato giudizio, nonché alla rifusione delle spese i sotitue -dalia medesima parte civile. Infine, ha assolto perché il fatto non costituisce reato il COGNOME dal reat cui al capo B prima parte.
3. In sintesi, il giudice di primo grado motivava la sentenza di assoluzione, dapprima richiamando vari passaggi della deposizione della persona offesa, la quale, nipote tredicenne dell’imputato all’epoca dei fatti, aveva raccontato (confidandosi la prima volta con la zia NOME NOMECOGNOME , sorella della madre NOME COGNOMENOME e moglie dell’imputato) una serie di abusi sessuali patiti in un arco di tempo di più di un anno, iniziati il pomeriggio del 4 agosto 2013 (allorché l’uomo sul divano della mansarda le avrebbe messo la mano in mezzo alle gambe ritraendola subito dopo, sentendo salire la di lui madre), proseguiti successivamente con atteggiamenti particolari in più occasioni (palpeggiamenti al sedere, tentativi di baciarla i bocca, alcune volte riuscendoci, e frasi provocanti a sfondo sessuale), così giungendosi all’episodio dell’estate 2014 (la minore aveva casualmente osservato il B.G. intento a masturbarsi sul divano mentre guardava un video di rapporti intimi con la moglie) e poi ad un esplicito invito verbale a praticargli un rapporto orale e la masturbazione. Indi, ricostruendo il contesto e gli effetti prodotti sul nucl familiare dalle confidenze dilM.S.I(la zia aveva informato immediatamente la madre e NOME il marito, COGNOME NOME.N. COGNOME ) e affrontando il vaglio di attendibilità delle dichiarazioni della minore per concluderne in termini di scarsa precisione, insufficiente quadro circostanziale. contraddittorietà con altre risultanze probatorie.
In estrema sintesi, sottolineava la sentenza di primo grado che: /. il 4 agosto 2013, giorno del riferito primo episodio, NOME aveva escluso che ci fosse già il
piccolo COGNOME RAGIONE_SOCIALE (figlio dell’imputato e della’ RAGIONE_SOCIALE) invece nato da alcuni mesi; 2. quel medesimo 4 agosto 2013 il B.G. ‘non avrebbe potuto trovarsi sul divano in mansarda con NOME a guardare la diretta della I omissis rtrasmessa fra le 18 e le 19) in quanto almeno due testi ( C.T. e F.R. ) avevano ricordato di averlo incontrato presso l’impianto sportivo ( ove si teneva quella maomissis COGNOME P nifestazione; 3. altri testi (appartenenti alla cerchia familiare) avevano escluso la presenza di NOME quel 4 agosto 2013; 4. la stessa persona offesa non si era mostrata in grado di circostanziare e contestualizzare adeguatamente il proprio narrato.
La conclusione del giudice di primo grado era stata nel senso di un’«inattendibilità di alcune parti del racconto (emersa sulla base di opposte emergenze probatorie) tale da compromettere l’intera credibilità della minore».
4. Il ribaltamento operato dalla prima sentenza di appello poi annullata vedeva i giudici marchigiani valorizzare, in particolare, la sofferta deposizione «interrotta da momenti di commozione e di lacrime, ma non per questo meno precisa sui fatti essenziali» resa dalla persona offesa, sottolineando che NOME, pur non ricordando le date precise, aveva mostrato di ricordare perfettamente sia l’episodio di cui al capo a) sia gli ulteriori episodi accaduti, spiegando apertamente, poi, i motivi (il desiderio di proteggere la sua famiglia, molto unita) per cui aveva rit nuto di dover «gestire la cosa senza dire niente a nessuno..».
La Corte territoriale esaminava i riscontri emersi rispetto al narrato e, in par ticolare, segnalava l’importanza della corretta interpretazione di quei messaggi (tutt’altro che generici o suscettibili di diversa lettura) che, a caldo, il NOME.NOME aveva inviato sul telefono dilMNOMEFallorché il di lei padre, la notte stessa che aveva appreso dei fatti, si era messo ad utilizzare facendo credere all’interlocutore di essere proprio NOME sottolineandone il contenuto sostanzialmente confessorio.
Il precedente giudice di legittimità rilevava, tuttavia, che il giudice di appel aveva limitato la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale alle sole prove dichia rative ritenute “inattendibili” e cioè alla sola escussione della persona offesa e dell di lei madre. Osservava che, invece, avrebbe dovuto estenderla a tutte le altre prove dichiarative poste in relazione di collegamento e interferenza con esse e cioè agli indicati testi di difesa (I COGNOME RAGIONE_SOCIALE i quali – già ritenuti attendibili dal Tribunale – non erano stati considerati credi dalla Corte di Appello. Concludeva nel senso che la Corte di Appello di Perugia ove avesse ritenuto di riformare la sentenza di primo grado – avrebbe dovuto procedere a rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale ex art. 603, comma 3, cod. proc. pen. sia con riguardo alla persona offesa, sia agli indicati testi di difesa.
La Corte di Appello di Perugia, in sede di rinvio, provvedeva pertanto alla parziale rinnovazione istruttoria con i testi indicati nell’ordinanza, quini senti
RAGIONE_SOCIALE
COGNOME
; veniva invece revocata l’ultima teste (I
NOMECOGNOME
1)•
Avverso la nuova pronuncia di condanna ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, il B.G. deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.
Con il primo motivo il ricorrente lamenta violazione degli artt. 178, lett. c) 185, 187, 533, 603 co. 3 bis e 605 cod. proc. pen. nonché degli artt. 24 co. 2 e 111 Cost. anche alla luce dei principi di diritto stabiliti dalla giurisprudenza nazi nale ed in particolare da RAGIONE_SOCIALE U. n. 27620/2016 – RAGIONE_SOCIALE – Rv 267487 e RAGIONE_SOCIALE U. n. 18620/2017, RAGIONE_SOCIALE, Rv 269785; nonché violazione dell’art. 6 CEDU come interpretato dalla giurisprudenza comunitaria (ex plurimis Corte EDU 57/2011, DAN vs Moldavia). Si deduce, altresì, la nullità delle ordinanze adottate dalla Corte di Appello di Perugia in data 6/5/2022 e 18/01/2023 e dell’impugnata sentenza.
La difesa del NOME.COGNOME evidenzia che, nell’iter motivazionale della sentenza di primo grado, le dichiarazioni della teste COGNOME NOMECOGNOME assumono rilievo centrale sia per la ricostruzione dell’intera vicenda, sia per giungere ad un giudizio negativo della credibilità della persona offesa. Una delle circostanze che maggiormente ha segnato l’iter logico motivazionale della sentenza di assoluzione e che ha portato a ritenere non credibile la persona offesa, attiene, infatti, alla contraddittorie delle dichiarazioni di quest’ultima rispetto alla presenza del bambino] RAGIONE_SOCIALE, figlio di
COGNOME
NOMECOGNOMECOGNOME
e dil
COGNOME
RAGIONE_SOCIALE [(zia della p.o.) in casa di
COGNOME RAGIONE_SOCIALE
[in data 4 agosto 2013.
RAGIONE_SOCIALE nel corso della propria deposizione, avanzava dubbi in merito alla presenza della persona offesa in tale data presso l’abitazione della suocera NOME.
Il giudice di primo grado affermava come le dichiarazioni della persona offesa, (che escludeva la presenza del bambino in casa della] T.RAGIONE_SOCIALE. I finanche arrivando ad affermare come non fosse ancora nato) entrassero in contrasto insanabile anche con le affermazioni della zia NOME.S. Lche, interrogata sul punto, non ricordava la presenza della nipote NOME quel giorno presso l’abitazione della RAGIONE_SOCIALE, salvo poi affermarne la probabile presenza proprio in relazione al fatto
COGNOME
che si fosse recata a pranzo lì insieme a
B.C.
COGNOME
Evidenzia il ricorrente che il contrasto tra le dichiarazioni della RAGIONE_SOCIALE.
e della nipote NOME , che vengono trascritte in ricorso, viene utilizzato dal Tribunale di Ascoli Piceno, come elemento di valutazione negativa della credibilità
della persona offesa rispetto a quello che nel capo di imputazione “finale” (cioè al netto dello stralcio operato da parte del P.M. all’esito dell’istruttoria dibattimenta di primo grado) è senz’altro il fatto più grave, nonché l’unico che la persona offesa abbia inteso collocare esattamente nel tempo, e cioè il 4 agosto 2013. giorno della om issis
(dichiarazioni di
BRAGIONE_SOCIALE.
che, come affermato dal
Primo Giudice, non contrastano ed anzi vanno a rafforzare il dubbio posto attraverso l’escussione dei testi della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE )·
Oltre a ciò, la testimonianza della ‘ RAGIONE_SOCIALE ” -si sostiene- ha assunto un ruolo centrale nell’intera vicenda, posto che le dichiarazioni della medesima vengono costantemente richiamate dalla sentenza del Tribunale di Ascoli Piceno:
COGNOME
Per il ricorrente, pertanto, non appare esservi dubbio che tale teste abbia assunto un ruolo decisivo e di rilievo nell’iter motivazionale del primo giudice, avendo la medesima fornito precisi elementi fattuali in grado di minare la credibilità della persona offesa, ed avendo ella stessa sollevato dubbi circa la presenza di quest’ultima presso la casa della] T. L. I il 4 agosto 2013.
Se tale è stato il contributo della RAGIONE_SOCIALE rispetto alla vicenda e, soprattutto nel percorso argomentativo che ha condotto il Tribunale di Ascoli Piceno ad assolvere !imputato, il rigetto della richiesta avanzata dalla RAGIONE_SOCIALE del B.G. innanzi all Corte territoriale di risentire tale teste appare per il ricorrente altamente lesivo diritto al contraddittorio e dei principio sanciti dalle Sezioni Unite RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE.
Tale valutazione, parametrata necessariamente sui motivi della sentenza assolutoria di primo grado, non verrebbe, in ogni caso, per il ricorrente, neppure superata dalle motivazioni fornite dalla Corte di Appello di Perugia, che avrebbe emesso una sentenza viziata da evidente illogicità, in particolar modo proprio rispetto alla data del 4 agosto 2013, data in cui risulta evidente il contributo dell deposizione di RAGIONE_SOCIALE Lrispetto all’iter motivazionale della sentenza assolutoria di primo grado.
L’impugnata ordinanza del 18/1/2023 con la quale la Corte di Perugia riteneva non necessaria l’escussione della teste COGNOME. rigettando l’istanza difensiva che ne chiedeva l’ascolto risulterebbe, pertanto, in contrasto con i sopra menzionati principi, tutti richiamati dalla Corte rescindente. E risulterebbe ulteri mente viziata da illogicità, poiché se la Corte di Appello di Perugia avesse ritenuto di dover davvero e pedissequamente seguire le indicazioni dettate dalla Corte di Cassazione con la sentenza di rinvio e non i principi in essa contenuti, non avrebbe allora dovuto procedere a rinnovare l’istruttoria dibattimentale nei confronti della teste COGNOME NOMECOGNOME madre della persona offesa, che non veniva indicata dalla Suprema Corte come teste da rinnovare, ma la cui escussione veniva, invece, evidentemente considerata necessaria dalla Corte di Appello di Perugia.
In tal senso, premesso quanto sopra in ordine alla rilevanza probatoria della deposizione della teste COGNOME nell’iter motivazionale della sentenza di assoluzione di primo grado, risulterebbe evidente come si rendesse oltremodo necessaria la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale nei confronti della teste, po sto che le dichiarazioni di NOMECOGNOMENOME non hanno fornito alcun reale contributo rispetto alla sentenza di assoluzione di primo grado e, più in generale, all’intero impianto probatorio.
Così ricostruita la vicenda processuale, la violazione di legge in cui sarebbe incorsa la Corte di Appello di Perugia consiste nell’avere limitato la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale alla sola riassunzione delle deposizioni della p.o. della madre di NOME e dei testi della difesa, senza procedere anche alla riassunzione delle altre prove dichiarative introdotte in primo grado e ritenute decisive dal primo giudice ai fini della pronuncia assolutoria.
Nel caso di specie, la prova dichiarativa di cui si lamenta la mancata riassunzione è costituita dalle dichiarazioni della teste del PCOGNOME COGNOME che, secondo il Giudice di Primo Grado si poneva in contrasto con quelle della p.o. e quindi, ponendosi in relazione di collegamento e di interferenza con la ricostruzione fattuale della vicenda, offerta dalla persona offesa, andava rinnovata.
Con il secondo motivo, si lamenta contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione e travisamento della prova in ordine alle dichiarazioni della persona offesa in merito ai fatti contestati al capo A) dell’imputazione.
Il ricorrente richiama la motivazione di pag. 9 della sentenza impugnata /deducendo che in essa sarebbe intrinseco e manifesto il vizio lamentato, posto che, se è vero – e non vi è dubbio – che la persona offesa ha sempre affermato come la sfilata della omissis a cui la medesima si riferisce fosse avvenuta di giorno, dopo l’ora di pranzo, e come la stessa fosse stata trasmessa in diretta TV, allora vi è una sola data l’anno in cui l’evento, che la stessa Corte di Appello di Perugia circoscrive specificamente, si verifica.
omissis
-ricorda il ricorrente- è una rievo- cazione storica di origine medievale con giostra equestre e si svolge due volte l’anno: una nel mese di luglio, in notturna, e l’altra nel pomeriggio della prima domenica di agosto, cosiddetta omissis
omissis preceduta da sfilata dei cortei dei vari omissis In tal senso la RAGIONE_SOCIALE. precisa come la sfilata a cui fa riferimento fosse avvenuta nel pomeriggio. E la prima domenica di agosto, nell’anno 2013
corrispondeva al giorno 4 agosto.
Vi sarebbe sul punto, anche un evidente travisamento della prova, posto che, se è vero che la persona offesa, ben consapevole degli esiti del giudizio di primo grado, ha a più riprese rimarcato innanzi alla Corte di Appello di Perugia la propria incertezza circa la datazione del fatto di cui al capo A) dell’imputazione, la stessa, nel corso del controesame ha offerto precisazioni fattuali che, piuttosto, conducono alla conferma della data del 4 agosto 2013, evento temporalmente indicato nella contestazione del capo di imputazione predetto.
Si evidenzierebbe, pertanto, anche attraverso tale palese travisamento della prova, l’illogicità del percorso motivazionale, nel quale permarrebbe un’insanabile contraddizione tra l’incipit dato dalle risultanze dell’esame dei testi della difesa (ritenute attendibili anche dalla Corte di Appello di Perugia e che affermano come non fosse presente il 4 agosto 2013, e come l’imputato si fosse recato
NOME COGNOME
presso il omissis per assistere alla omissis ), e le dichiarazioni della persona offesa rispetto all’episodio del 4 agosto, che non viene risolta dalla sentenza impugnata, non essendo logicamente possibile affermare allo stesso tempo che i fatti siano avvenuti in occasione della om issis
mentre passavano le immagini in diretta TV, e che la persona offesa non fosse certa della datazione dell’evento, e ciò, paradossalmente, al fine di superarne un difetto di credibilità.
Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta errore di diritto e illogicità della s tenza impugnata in quanto la contraddittorietà delle dichiarazioni della persona offesa rispetto al fatto del 4 agosto 2013, piuttosto che essere valutata come ulteriore elemento di giudizio negativo rispetto alla complessiva valutazione di credibilità della stessa, viene utilizzata dal giudice del rinvio al fine di superare l’i nabile contrasto con le ulteriori risultanze probatorie dalla stessa Corte richiamate nell’incipit motivazionale.
La Corte territoriale sarebbe incorsa in un errore di diritto, poiché secondo il principio di diritto più volte espresso dalla giurisprudenza di legittimità «la depo sizione della persona offesa può essere assunta da sola come fonte di prova unicamente qualora venga sottoposta ad un giudizio di riscontro di credibilità oggettiva e soggettiva» (il richiamo ex multis è a RAGIONE_SOCIALE 5 n. 33280/2017 e a RAGIONE_SOCIALE U, n. 41461/2012, COGNOME‘Arte, Rv. 253214) che nel caso in esame sarebbe mancato.
Inoltre, viene ricordato che il vaglio positivo dell’attendibilità del dichiara deve essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello generico cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone, di talché tale deposizione può essere assunta da sola come fonte di prova unicamente se venga sottoposta a detto riscontro di credibilità oggettiva e soggettiva, e può essere opportuno procedere al riscontro ditali dichiarazioni con altri elementi qualora la persona offesa si s anche costituita parte civile e sia, perciò, portatrice di una specifica pretesa eco nomica la cui soddisfazione discenda dal riconoscimento della responsabilità dell’imputato (RAGIONE_SOCIALE U, n. 41461/2012, COGNOME‘Arte, cit.; RAGIONE_SOCIALE 1, n. 29372/2010, COGNOME, Rv. 248016; RAGIONE_SOCIALE 6, n. 33162/2004, COGNOME, Rv. 229755).
In tal senso, il ricorrente censura il vaglio positivo operato dal giudice d’ap pello circa la credibilità della p.o. laddove la sentenza impugnata parte da un presupposto di “nuova”, diversa ed ulteriore incertezza, manifestata dalla persona offesa, in sede di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, rispetto all’uni capo d’accusa a cui viene riconosciuta una collocazione temporale precisa e ben circostanziata. E neppure appare idonea ad assolvere il compito di diritto che la Corte di Appello di Perugia era chiamata a svolgere, la restante parte dell’iter motivazionale.
Rammenta il ricorrente che sia la Procuratrice Generale che il Presidente della Corte di Appello di Perugia, chiedevano alla persona offesa di essere serena nei racconto, ‘ma soprattutto precisa”, invitando la medesima “a raccontare con precisione” i comportamenti oggetto del giudizio. Un’esigenza che il Presidente della Corte di Appello manifestava nelle prime battute dell’esame diretto, chiedendo alla
M.S. di aiutarlo a contestualizzare “le date, gli orari “. Ma tale esigenza (che null’altro è per il ricorrente se non l’esplicazione dei sopra richiamati principi diritto) non sarebbe stata soddisfatta, laddove la motivazione della sentenza impugnata che, dopo essersi brevemente soffermata sull’episodio del 4 agosto 2013, afferma come la persona offesa «non si è certo limitata a riportare quell’unico episodio, ma ha offerto un’ampia ed esauriente “panoramica” di più atteggiamenti ripetutamente tenuti dallo zio nei suoi confronti in molteplici svariate occasioni» (cfr. motivazione della sentenza impugnata, pag. 9)
Per il ricorrente appare evidente, nel caso di specie, l’incoerenza dell’impianto argomentativo della sentenza impugnata perché la Corte di Appello di Perugia trae conclusioni (rinnovazione parziale dell’istruzione dibattimentale alla sola escussione di due testi del PM e dei testi della RAGIONE_SOCIALE) incompatibili con le premesse (obbligo di estendere la rinnovazione dell’istruttoria alle prove dichiarative tutt ritenute decisive ai fini dell’assoluzione pronunciata in primo grado).
Chiede, pertanto, annullarsi la sentenza impugnata.
Il PG ha concluso in pubblica udienza come riportato in epigrafe.
Sono pervenute conclusioni scritte nell’interesse dell’imputato a firma dell’AVV_NOTAIO nonché conclusioni scritte e nota spese nell’interesse delle costituite parti civili a firma dell’AVV_NOTAIO.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I proposti motivi sono manifestamente infondati e, pertanto, il proposto ricorso va dichiarato inammissibile.
In premessa, quanto al primo motivo e alla lamentata violazione degli artt. 24 co 2 e 111 Cost; anche in riferimento alla giurisprudenza della Corte ED4 RAGIONE_SOCIALE U, n. 29541 del 16/07/2020, Filardo Rv. 280027, a pag. 31 della motivazione hanno ancora una volta ribadito che :‹non è consentito il motivo di ricorso che deduca la violazione di norme della Costituzione o della Convenzione EDU (RAGIONE_SOCIALE 2, n. 12623 del 13/12/2019, dep. 2020, Leone, Rv. 279059; RAGIONE_SOCIALE 2, n. 677 del 10/10/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 261551). Invero, l’inosservanza di disposizioni della Costituzione, non prevista tra i casi di ricorso dall’art. 606 co proc. pen., può soltanto costituire fondamento di questione di legittimità costituzionale, nel caso di specie non proposta. Analoga sorte incontra la censura riguardante la presunta violazione di disposizioni della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, a sua volta proponibile in ricorso unicamente a sostegno di una questione di costituzionalità di una norma interna, poiché le norme della Convenzione EDU, così come interpretate dalla
Corte europea dei diritti dell’uomo, rivestono il rango di fonti interposte, integr trici del precetto di cui all’art. 117, comma 1, Cost. (sempre che siano conformi alla Costituzione e siano compatibili con la tutela degli interessi costituzionalmente protetti). Ma ancora una volta siffatta questione di legittimità costituzionale no risulta proposta in ricorso. Deve, pertanto, ritenersi non consentito il motivo d ricorso per cassazione con il quale si deduca la violazione di norme della Costitu zione o della Convenzione EDU, poiché la loro inosservanza non è prevista tra i casi di ricorso dall’art. 606 cod. proc. pen. e può soltanto costituire fondamento di una questione di legittimità costituzionale, nel caso che ci occupa non proposta.
Per il resto, il primo motivo, totalmente imperniato sulla ritenuta necessità che il giudice del rinvio rinnovasse la deposizione di COGNOMENOME9> COGNOME , zia della persona offesa.è manifestamente infondato.
Il motivo in questione, che richiama i ditta di RAGIONE_SOCIALE e il dettato dell’art. 603-bis muove in realtà da un presupposto non conforme all’orientamento ormai consolidato nella giurisprudenza di legittimità che ha chiarito come, in caso di impugnazione del pubblico ministero, l’obbligo di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, previsto dall’art. 603 comma 3 bis cod. proc. pen./ non riguarda tutte le prove dichiarative assunte in primo grado, ma solo quelle che siano state ritenute decisive ai fini della valutazione di responsabilità.
E’ stato affermato – e va qui ribadito- che il giudice dell’appello proposto da pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento per ragioni attinenti alla valutazione della prova dichiarativa, ai sensi dell’art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen., introdotto dalla legge 23 giugno 2017, n. 103, non è tenuto a disporre la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale con riguardo a quelle prove che ritenga irrilevanti ai fini della decisione, pur se le stesse siano invece state ritenute vanti nella prospettazione della pubblica accusa appellante (RAGIONE_SOCIALE 3, n. 51575 del 18/06/2018, P., Rv. 275866 – 01). Occorre che si tratti di prove non solo che, secondo le ragioni specificatamente prospettate nell’atto di impugnazione siano state oggetto di erronea valutazione da parte del giudice di primo grado, ma anche che siano ritenute decisive ai fini della valutazione di responsabilità (RAGIONE_SOCIALE 1, n 12928 del 07/11/2018 dep. 2019, P., Rv. 276318 – 01; RAGIONE_SOCIALE 3, n. 16444 del 04/02/2020, C. Rv. 279425 – 02).
Orbene, dal tessuto motivazionale delle sentenze sin qui pronunciate in questo procedimento, emerge che la valutazione delle dichiarazioni dibattimentali rese dal teste del PM AVV_NOTAIO COGNOME non sono state ritenute decisive né dal giudice di primo grado ai fini del verdetto assolutorio né dal precedente giudice di legittimità in sede di annullamento della sentenza di condanna emessa dalla Corte di appello di Ancona.
Il giudice di primo grado aveva assolto l’imputato perché ha ritenuto non credibile la persona offesa, in ragione del fatto, secondo quanto si legge in sentenza, che «appare insuperabile la circostanza che tutti i testi della difesa] T.L.
RAGIONE_SOCIALE (rispettivamente madre e zii dell’imputato, tutti escussi all’udienza del 13.12.2017) escludevano la presenza di tarda serata del 4 agosto 2013. presso l’abitazione della COGNOME RAGIONE_SOCIALE nella
Peri’ il giudice di primo grado erano stati i testi della difesa ad escludere l presenza della persona offesa il giorno 4 agosto 2013 presso l’abitazione ove sarebbero avvenuti i fatti.
In tale ottica la deposizione di] COGNOME COGNOME NOME della cui mancata riassunzione in appello si duole l’imputato. non era per nulla decisiva, in quanto si tratta sol di colei che ha raccolto le confidenze della ragazza in ordine alle attenzioni di carattere sessuale poste in essere dall’imputato. Il giudice di primo grado ha ritenuto pacifica la circostanza senza assolutamente ritenerla decisiva ai fini dell’assoluzione.
Che il giudizio di inattendibilità della minore formulato dal primo giudice poggiasse sull’ aperto contrasto tra le dichiarazioni della stessa e quelle rese dai test di difesa e nulla avesse a che vedere con la testimonianza della NOME.S. risulta anche confermato dalla precedente sentenza di legittimità (così pag. 6 della sentenza di annullamento).
Il ruolo di COGNOME NOMERAGIONE_SOCIALE , teste del p.m., nel giudizio di primo grado, è stato quello di raccontare ciò che gli aveva riferito la ragazza in ordine agli abusi commessi dalli imputato nei suoi confronti. La stessa, poi, data la gravità della confi denza della nipote, si limitava ad informare la sorella (madre della ragazza) che a sua volta informava il marito. Non è stato il racconto di tali confidenze da parte della RAGIONE_SOCIALE. tperaltro non contrastanti, anzi coincidenti con le dichiarazioni della persona offesa) a determinare l’assoluzione dell’imputato.
Anzi, il Tribunale di Ascoli Piceno, pur riconoscendo che gli episodi narrati dalla persona offesa erano stati confermati de relato dalla teste del PM COGNOME COGNOME nonché dai genitori della minore stessa, ha ritenuto tali episodi – questo è il punto – contraddetti da altre risultanze istruttorie che impedivano -secondo l’avviso di quel giudice- di reputare la piena attendibilità della persona offesa. Secondo quanto si legge a pag. 11 della sentenza di primo grado, in particolare, sono state ritenute sussistenti «delle rilevanti difformità tra la testimonianza di NOME
COGNOME
e le deposizioni dei testi
RAGIONE_SOCIALE
»,
Il giudice di rinvio, preso atto di quanto statuito sul punto nella sentenza 782/20 ha fatto esattamente quanto richiestogli: «…la orte di appello di Perugia
ove ritenesse di riformare la sentenza di primo grado dovrà procedere alla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale con riguardo sia alla persona offesa sia agl indicati testi di difesa, le cui dichiarazioni sono state ritenute rilevanti dal trib ai fini assolutori» Ha proceduto, perciò, ad escutere tutti i testi della dife uniformandosi alle premesse logico – giuridiche poste a base dell’ annullamento
Dunque, l’affermazione di penale responsabilità dell’imputato operata dalla Corte perugina non è per nulla scaturito da un diverso apprezzamento dell’attendibilità della prova orale costituita dalla deposizione di COGNOME COGNOME l, che legittimamente non è stata risentita dai giudici del rinvio in quanto il apporto di chiarativo non avrebbe comunque spostato i termini della questione.
Il secondo motivo di ricorso è inammissibile in quanto l’imputato sollecita una diversa interpretazione delle risultanze processuali -nello specifico una rivalutazione dell’attendibilità della persona offesa- non consentita in sede di legitt mità entrando palesemente nel “merito della questione”.
Peraltro, la difesa del NOME.NOME spende il proprio sforzo difensivo su piccole contraddizioni in cui essere incorsa la persona offesa trascurando il riscontro univoco al narrato della stessa che è costituito, come si dirà, dagli inequivoci messaggi che l’imputato ha inviato, contestualmente ai primi disvelamenti di quanto stava accadendo, sul telefono di NOME
Le censure del ricorrente, invero, si sostanziano, per lo più, nella riproposizione delle medesime doglianze già sollevate in appello, senza che vi sia un adeguato confronto critico con le risposte a quelle fornite dai giudici del gravame del merito. Per contro, 1″impianto argomentativo del provvedimento impugnato appare puntuale, coerente, privo di discrasie logiche, del tutto idoneo a rendere intelligibile l’iter logico-giuridico seguito dal giudice e perciò a superare lo scrut di legittimità, avendo i giudici di secondo grado preso in esame le deduzioni difensive ed essendo pervenuti alle loro conclusioni attraverso un itinerario logico-giuridico in nessun modo censurabile, sotto il profilo della razionalità, e sulla base apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorietà o di manif sta illogicità e perciò insindacabili in sede di legittimità.
In ogni caso, si tratta di motivo inammissibile perché, in forza della regola dell’autosufficienza del ricorso, operante anche in sede penale, il ricorrente che intenda dedurre in sede di legittimità il travisamento di una prova testimoniale ha l’onere di suffragare la validità del suo assunto mediante la completa trascrizione dell’integrale contenuto delle dichiarazioni rese dal testimone, non consentendo la citazione di alcuni brani delle medesime l’effettivo apprezzamento del vizio dedotto (RAGIONE_SOCIALE 4, n. 46979 del 10/11/2015, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 265053 – 01; RAGIONE_SOCIALE 2, n. 20677
del 11/04/2017, COGNOME, Rv. 270071 – 01). Nello stesso solco ermeneutico questa Corte di legittimità ha anche chiarito che, in tema di ricorso per cassazione, sono inammissibili, per violazione del principio di autosufficienza e per genericità, quei motivi che, deducendo il vizio di manifesta illogicità o di contraddittorietà della motivazione, riportano meri stralci di singoli brani di prove dichiarative estrapolati dal complessivo contenuto dell’atto processuale al fine di trarre rafforzamento dall’indebita frantumazione dei contenuti probatori, o, invece, procedono ad allegare in blocco ed indistintamente le trascrizioni degli atti processuali, postulandone la integrale lettura da parte della Suprema Corte (RAGIONE_SOCIALE 1, n. 23308 del 18/11/2014, dep. 2015 Savasta Rv. 263601 – 01).
5. Sul punto va anche ricordato che il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia la oggettiva tenuta sotto il profilo logico argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, cfr. vedasi questa sez. 3, n. 12110 del 19.3.2009 n. 12110 e n. 23528 del 6.6.2006).
Ancora, la giurisprudenza ha affermato che l’illogicità della motivazione per essere apprezzabile come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu °cuti, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (RAGIONE_SOCIALE 3, n. 35397 del 20/06/2007; RAGIONE_SOCIALE U. n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794). Ed è stato ribadito come ai sensi di quanto disposto dall’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. il controllo di legittimità sulla motivazione non attiene né alla ricostruzione dei fatti né all’apprezzamento del giudice di merito, ma è circoscritto alla verifica che il testo dell’atto impugnato risponda a due requisiti che lo rendono insindacabile: a) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; b) l’assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (RAGIONE_SOCIALE 2, n. 21644 del 13.2.2013, COGNOME e altri, Rv. 255542)
Il sindacato demandato a questa Corte sulle ragioni giustificative della decisione ha dunque, per esplicita scelta legislativa, un orizzonte circoscritto.
Non c’è, in altri termini, come richiesto nel presente ricorso, la possibilità di andare a verificare se la motivazione corrisponda alle acquisizioni processuali.
E ciò anche alla luce del vigente testo dell’art. 606 comma 1 lett. e) cod. proc. pen. come modificato dalla I. 20.2.2006 n. 46.
Il giudice di legittimità non può procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti ovvero ad una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del merito.
Com’è stato rilevato nella citata sentenza 21644/2013 di questa Corte la sentenza deve essere logica “rispetto a sé stessa”, cioè rispetto agli atti processuali citati. In tal senso la novellata previsione secondo cui il vizio della motiva zione può risultare, oltre che dal testo del provvedimento impugnato, anche da “altri atti del processo”, purché specificamente indicati nei motivi di gravame, non ha infatti trasformato il ruolo e i compiti di questa Corte, che rimane giudice della motivazione, senza essersi trasformato in un ennesimo giudice del fatto.
Se questa, dunque, è la prospettiva ermeneutica cui è tenuta questa Suprema Corte, le censure che il ricorrente rivolge al provvedimento impugnato si palesano manifestamente infondate, non apprezzandosi nella motivazione della sentenza impugnata alcuna illogicità che ne vulneri la tenuta complessiva.
I giudici del gravame di meritcycon motivazione specifica, coerente e logica, dopo avere effettuato la rinnovazione istruttoria loro richiesta dalla sentenza rescindente, hanno, infatti, dato conto di essere pervenuti -diversamente dal giudice di primo grado e come già la medesima Corte nel provvedimento annullato- ad una valutazione di attendibilità della persona offesa.
In sentenza si ricorda che NOME ha puntualmente rievocato tutti gli episodi salienti oggetto di contestazione, dipartendosi la sua narrazione dalla descrizione degli «atteggiamenti» che lo zio era solito tenere nei suoi confronti; atteggiamenti iniziati sin da quando lei non era ancora in grado di rendersi conto del loro effettivo significato (e poi divenuti via via crescenti per frequenza e invasivit (un bacio, una toccata di sedere, una domanda scomoda come, ad esempio, «la dimensione del pisello del mio ragazzo» sottolineando che si trattava sicuramente di approcci di tipo sessuale e non invece di semplici manifestazioni di affetto; indi ha ricordato il fatto (accaduto allorchè faceva la seconda media) del bacio richiesto con insistenza dall’odierno ricorrente al momento di farla scendere dall’auto con cui l’aveva accompagnata a scuola, per poi descrivere l’episodio accaduto («…ma io non ricordo precisamente, agosto, luglio, già è tanto se ricordo l’anno…») allorchè entrambi si trovavano sul divano nel pomeriggio («..saranno state le 16. 00, le 17.00 del pomeriggio, più o meno..») a guardare la televisione allorchè «.. B.G.
ha incominciato a farmi delle domande, come cercare di incuriosirmi a questa cosa, cioè «ma tu ti tocchi lì ?», «tu provi qualcosa ? » cioè a cercare di indurmi a questa cosa. Fatto sta che alla fine poi le mani ce l’ha messe lui e mi chiedeva se
mi piaceva e io ero tipo…». La giovane oggi ventitreenne aveva anche ricordato che in un’altra occasione lo zio le aveva mostrato sul telefonino il video di un rapporto intimo (orale) praticatogli dalla moglie, facendo seguire quella visione da frasi del tipo «ma tu le fai queste cose?», «guarda tua zia quant’è brava», al riguardo testualmente aggiungendo «…è che mi fa rabbia, adesso da adulta dico come si fa a chiedere a una ragazza di dodici, tredici. quattordici anni di far vedere…»; per poi completare la narrazione con l’episodio della scoperta del NOMECOGNOME mentre era sul divano intento a masturbarsi davanti a un film pornografico «…uscendo dalla camera di COGNOME COGNOME dritto al corridoio c’è la pala e si vede il divano, COGNOME stava lì, si stava masturbando con le gambe sul pouf come se non ci fosse nessuno dentro casa. Io passando di lì sono rimasta proprio sconvolta … io l’unica cosa che ho potuto fare è tirare dritta.., e mi sono chiusa in bagno.. sottolineando anche che «..il signor COGNOME cominciava ad essere quasi geloso che io avevo una relazione in quel periodo, nel 2015 ho avuto una relazione con un ragazzo…» (pag.I8 trascr.), per poi circostanziare l’occasione in cui, trovandosi COGNOME con la zia che aveva litigato con il NOME.COGNOME. («..stavano litigati..») aveva trovato modo di aprirsi con lei confidandole tutto quello che accadeva con suo marito.
In sentenza si ricorda anche che COGNOME NOME COGNOME (madre di NOME ha essenzialmente ricordato la notte in cui, rincasando a tarda ora per via dell’attività svolt («..io e il mio ex marito, il papà di NOME facevamo le serate karaoke nei locali») aveva ricevuto dalla sorella NOME) un messaggio rivelatore delle confidenze poco prima ricevute dalla nipote NOME e la reazione di suo marito che, preso immediatamente il telefono di NOMEKmentre la ragazza stava dormendo), vi aveva rinvenuto diverse chiamate e messaggi del NOME.G. del tipo «che gli hai raccontato a tua zia? adesso succede un macello. Metti in mezzo tuo padre, tua madre, la nostra famiglia, stai zitta, non raccontare niente, rispondimi al telefono. Oh NOME dimi»; descrivendo poi quanto avvenuto il giorno successivo allorché NOME risponaveva confermato alla zia, in presenza della madre, le rivelazioni della sera prima e la reazione furibonda della sorella NOME B.S. I) che, recatasi nel pomeriggio insieme a lei NOME ed al marito a casa del] BG. I, lo aveva letteralmente aggredito per la rabbia di quanto appreso mentre quest’ultimo era rimasto praticamente inerte («..lui stava così davanti al televisore bianco come la carta…»)
La Corte territoriale si è anche confrontata con il narrato di COGNOME NOME (madre dell’imputato) che, come si legge nel provvedimento impugnato, aveva dal canto suo escluso di aver visto NOME a casa sua il pomeriggio del giorno della sfilata della’ omissis ‘precisando al contempo che «dentro casa quando entra qualcuno io lo so…» e che NOME era venuta a casa sua <…sì pochissimo, non so, un paio di T.L. volte forse..». E con quello di NOME (marito di , che aveva
a sua volta confermato che quel giorno erano presenti a casa sua soltanto « NOMECOGNOME.
F- 1, la moglie, io, mia moglie e la cognata] T.L. precisando anche, a specifica domanda («I B.G. [è entrato con le chiavi?») che «…le chiavi stanno sulla porta».
Ancora, in sentenza si dà conto che NOME.COGNOMENOME (testimone di nozze e amico dell'imputato) aveva ricordato che quell'anno I COGNOME.G. [non aveva partecipato «…perché c'era il bambino appena nato…» al consueto pranzo dei tifosi del omissis tenutosi, quell'anno, presso il omissis in INDIRIZZO, ma di averlo poi incontrato poco dopo «…prima del semaforo di fronte alla Chiesa delIomjssjsf» allorché si trovava «…sopra al marciapiede col passeggino e B.C. COGNOME dentro e sotto al marciapiede c’era B.S. LJ NOMECOGNOME »; indi di essere rimasto insieme a lui sino alle 22.00. E chel COGNOME NOMECOGNOME l, a sua volta, aveva rievocato di aver incontrato ili COGNOME COGNOMERAGIONE_SOCIALEG. I verso le ore 14.00 di quel giorno e poi di esserselo ritrovato davanti a lui per tutta la durata della omissis testualmente affermando «…ma sinceramente mi sembra di averlo visto quasi sempre. cioè è
stato sempre li davanti a me…».
Ebbene, la Corte territoriale, con motivazione prciva di aporie logiche, dà conto che, così ricostruito il contenuto della rinnovazione istruttoria svoltasi avanti a sè le dichiarazioni rese dalla persona offesa sono risultate tutt’altro che inattendibil e contraddittorie. E a tale conclusione perviene dopo essersi confrontata con il narrato di quei testi q T.L. S.B. ) che hanno sostanzialmente negato la presenza di NOME all’interno dell’abitazione il giorno della omissis , così come con quello di altri ( C.T. F.R. ) che hanno ricordato che III B.G. lera rimasto con loro per tutto il pomeriggio di quell’evento, ritenendo che siffatte dichiarazioni no possono ritenersi, di per sé sole, di spessore e concludenza tali da rendere nullo il significato ed il valore di ciò che è stato, nel suo complesso, narrato della persona offesa.
Ricorda la sentenza impugnata che quest’ultima, innanzitutto, ha esplicitamente dichiarato di essere tutt’altro che certa sulla data esatta dell’episodio verificatosi allorché lei e il NOME.G. sul divano di casal RAGIONE_SOCIALE, erano intenti a guardare in tv la trasmissione della omissis dopo aver assistito per strada alla sfilata del corteo del proprio quartiere.
In secondo luogo, viene evidenziato che NOME NOME.S. COGNOME non si è certo limitata a riportare quell’unico episodio, ma ha offerto un’ampia ed esauriente ‘panoramica” di più atteggiamenti ripetutamente tenuti dallo zio nei suoi confronti in molteplici svariate occasioni; atteggiamenti accomunati da modalità sempre analoghe (la gestualità repentina e inaspettata dell’uomo diretta verso zone sessuali della ragazza o comunque il far luogo a discorsi allusivi e inducenti al compimento di pratiche erotiche), dal chiaro significato sessuale percepito dalla vittima (avendo
NOME espressamente escluso che potesse trattarsi di semplici manifestazioni di affetto), da contesti sempre strettamente privati e mai in presenza di terzi; particolarmente sottolineando l’insidiosa scaltrezza del repentino agire dell’imputato che era solito approfittare, con iniziative a sorpresa, di tutte quelle situazioni in veniva a trovarsi da solo e in disparte con NOME anche nell’ordinario svolgersi della vita familiare; situazioni assai frequenti a verificarsi a cagione dell’affidamento d fatto della minore di cui lo zio usufruiva stante la frequente assenza dei suoi genitori per ragioni di lavoro.
Tutte situazioni in cui imputato -secondo le logiche conclusioni della Corte umbra- non aveva mostrato esitazioni di sorta a violare gravemente il contenuto fiduciario sotteso all’affidamento stesso, mostrando di interessarsi alla minore solo per dar sfogo ai propri anomali impulsi libidinosi anziché proVédere r d ad assicurare il suo armonico sviluppo psico-fisico.
Come si anticipava, se questo è il quadro che è emerso dalla deposizione della persona offesa, il riscontro più forte e inequivoco al suo narrato va ricercato – ad avviso della Corte – non tanto nelle dichiarazioni degli altri testimoni (il caratte sempre privato e circospetto degli approcci escludeva ab origine, come spesso accade in fattispecie del genere, la presenza di eventuali “spettatori”) quanto piuttosto nel chiarissimo (inquietante) tenore dei messaggi intercorsi quella stessa notte (dopo le “deflagranti” confidenze di NOME alla zia NOME , da NOME propalate alla sorella’ NOME le da quest’ultima al marito) fra il che, in quella burrascosa contingenza, aveva avuto la presenza di spirito di “sostituirsi” (per un certo tempo) alla figlia nell’utilizzo della chat telefonica con l’imputato, così riuscendo a carpirne la genuina immediatezza delle sue espressioni NOME ed il padre della ragazza
Come ricorda la Corte perugina il contenuto ed il tenore di detti messaggi già analiticamente esaminati a pagg. 19-20 della prima sentenza di appello e non “travolti”, per così dire, dall’annullamento disposto dalla Cassazione in base a differenti argomentazioni – non trova alcun’altra possibile spiegazione in chiave logica se non quella di una vera e propria ammissione di responsabilità del B.COGNOME. per quanto accaduto con la ragazza. Frasi del tipo «…che serviva dire quelle cose a tua zia? Lo sai che ci stiamo lasciando perché è gelosa? Non dire più niente… succede il macello con me, con te, con tuo padre, con tutti, ma ragiona…» non si spiegano affatto con la (sola apparente) preoccupazione di non alimentare la gelosia della zia (moglie del NOME.COGNOME. I gelosia che, comunque, non sarebbe stata nemmeno evocata dal] B.G. ise il suo atteggiamento verso la nipote appena quattordicenne fosse rientrato nei canoni della normalità – ma trovano esclusiva spiegazione, secondo il logico argomentare dei giudici del rinvio, nell’estremo tentativo dell’uomo, evidentemente ben consapevole dell’enormità della sua condotta, di far leva ancora una volta sui sentimenti di forte attaccamento di NOME verso tutti i suoi
familiari al fine di indurla ad una ritrattazione delle confidenze fatte alla zia o meno ad un ridimensionamento delle stesse nella loro portata e gravità; ma NOME aveva per troppo tempo ormai custodito (e sofferto) tutto quello che le era accaduto solo per amore della propria famiglia e della sua unità; una volta superati gli indugi, però, aveva preso a sfogarsi come un fiume in piena, mostrandosi – e i giudici di appello rilevano come ciò sia avvenuto anche davanti alla Corte – capace di maturo discernimento e custode di positivi valori personali; ciò costituendo la cartina di tornasole della genuina autenticità del suo narrato, non certo scalfita o posta in discussione da marginali (e inevitabili) mancanze di precisione quanto alla data esatta di uno soltanto dei molteplici accadimenti verificatisi in suo danno.
Del resto -sottolinea ancora la sentenza impugnata- l’esclusione dalle dichiarazioni di NOME di qualsivoglia intento calunniatorio si ricava proprio dalla considerazione che era stata proprio lei a voler ed a saper conservare per anni – con coraggiosa e sofferta determinazione – il segreto di quel pesante fardello personale proprio al fine di non pregiudicare la pace in famiglia.
Rispetto a tale motivata, logica e coerente pronuncia il ricorrente, con il secondo e il terzo motivo di ricorso, chiede una rilettura degli elementi di fatto post a fondamento della decisione e l’adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione. Ma per quanto sin qui detto un siffatto modo di procedere è inammissibile perché trasformerebbe questa Corte di legittimità nell’ennesimo giudice del fatto.
Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.
L’imputato non va, invece, condannato, alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili che, come si ricordava in premessa, hanno fatto pervenire conclusioni con allegata nota spese datate 16/1/2024, ma il cui difensore non è comparso all’odierna pubblica udienza.
Ritiene, infatti, il Collegio (pur consapevole dell’esistenza di numerose pronunce che opinano in senso contrario, nello specifico costituite da RAGIONE_SOCIALE 5, Ordinanza n. 36805 del 22/06/2015, COGNOME, Rv. 264906 – 01; RAGIONE_SOCIALE 5, n. 6052 del 30/09/2015 dep. 2016, COGNOME, Rv. 266021 – 01; RAGIONE_SOCIALE 4, n. 38227 del 21/06/2018, Albergo, Rv. 273802 – 01; RAGIONE_SOCIALE 5, Ordinanza n. 30743 del 26/03/2019, COGNOME, Rv. 277152 – 01; RAGIONE_SOCIALE 3, n. 27987 del 24/03/2021, G., Rv. 281713 – 01) di aderire all’orientamento giurisprudenziale secondo cui nel giudizio di cassazione non va disposta la condanna dell’imputato al rimborso delle
spese processuali in favore della parte civile che non sia intervenuta nella discussione in pubblica udienza, ma si sia limitata a formulare la richiesta di condanna mediante il deposito di una memoria in cancelleria con l’allegazione di nota spese (RAGIONE_SOCIALE 5, n. 19177 del 31/01/2022, COGNOME, Rv. 283118 – 01; RAGIONE_SOCIALE 6, n. 28615 del 28/04/2022, COGNOME, Rv. 283608 – 02)
Peraltro, va rilevato che, anche in una recente pronuncia con cui si è ritenuto non condivisibilmente che nel giudizio di legittimità, quando il ricorso dell’imputat viene dichiarato, per qualsiasi causa, inammissibile, la parte civile ha diritto ottenere la liquidazione delle spese processuali senza che sia necessaria la sua partecipazione all’udienza, atteso che la sua mancata partecipazione non può essere qualificata come revoca tacita e che la previsione di cui all’art. 541 cod. proc. pen. è svincolata da qualsiasi riferimento alla discussione in pubblica udienza. (RAGIONE_SOCIALE 2, n. 12784 del 23/01/2020, COGNOME, Rv. 278834 – 01) si è ritenuto che la liquidazione in questione debba essere subordinata alla valutazione che la stessa parte civile abbia effettivamente esplicato, anche solo attraverso memorie scritte, un’attività diretta a contrastare l’avversa pretesa a tutela dei propri interessi natura civile risarcitoria, fornendo un utile contributo alla decisione (nella fattis cie al proprio esame la Corte ha ritenuto non dovuta la rifusione delle spese del grado alla parte civile, non intervenuta in udienza, in considerazione della tardività del deposito della memoria difensiva, con conseguente impossibilità di tener conto delle deduzioni in essa contenute).
Il principio è stato ribadito da RAGIONE_SOCIALE U., n. 877 del 14/7/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 283886 (vedasi in motivazione pagg. 22 e ss. e vedasi anche RAGIONE_SOCIALE Un., n. 34559 del 26/6/2002, COGNOME, Rv. 222264).
Peraltro, già prima di S.COGNOME. COGNOME, con riferimento al giudizio di legitti mità celebrato con rito camerale non partecipato, nella vigenza della normativa introdotta per contrastare l’emergenza epidemiologica da Covid-19, la giurisprudenza di legittimità (RAGIONE_SOCIALE 2, n. 24619 del 02/07/2020, Puma, Rv. 279551-01) aveva condivisibilmente opinato nel senso che la parte civile, pur in difetto di ri chiesta di trattazione orale, avesse diritto di ottenere la liquidazione delle spes processuali purché avesse effettivamente esplicato, anche solo attraverso memorie scritte, un’attività diretta a contrastare l’avversa pretesa a tutela dei pr interessi di natura civile risarcitoria, fornendo un utile contributo alla decisione
L’orientamento è stato successivamente ribadito da RAGIONE_SOCIALE 2, n. 33523 del 16/06/2021, D., Rv. 281960-03; RAGIONE_SOCIALE 5, n. 34816 del 15/06/2021, COGNOME, non mass.; RAGIONE_SOCIALE 1, n. 17544 del 30/03/2021, COGNOME, non mass.; RAGIONE_SOCIALE 5, n. 26484 del 09/03/2021, Castrignano, non mass.; RAGIONE_SOCIALE 1, n. 34847 del 25/02/2021, COGNOME, non mass.
Nel caso in esame, in applicazione di tale condiviso principio di diritt liquidazione delle spese processali riferibili alla fase di legittimità in fav parte civile non sarebbe stata dovuta, perché essa non ha fornito alcun contri alla decisione, senza contrastare specificamente i motivi di impugnazione propo
Ed invero, le conclusioni scritte nell’interesse delle costituite parti civil B.M.
e di
NOME , genitori esercenti la potestà su , a firma
NOMEN.
dellAVV_NOTAIO, constano della mera trascrizione dei capi d’imputa zione e della richiesta di declaratoria o di inammissibilità del ricorso dell’i senza il minimo confronto critico con l’atto di impugnazione.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità gli altri dati identificativi, a norma dell’art. 52 d.lgs. 196/03 aggiornato 101/2018 in quanto imposto dalla legge.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento de spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Nulla sulle spese in favore della parte civile.
Oscuramento dati.
Così deciso in Roma il 31 gennaio 2024
Il Co igliere este ore
COGNOME
Il Presidente