Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 7151 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2   Num. 7151  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 19/01/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a TORINO il DATA_NASCITA
NOME COGNOME nato a FOGGIA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 22/12/2022 della CORTE APPELLO di TORINO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore NOME COGNOME
che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi.
uditi i difensori
AVV_NOTAIO‘AVV_NOTAIO COGNOME del foro di TORINO in difesa di COGNOME NOME insiste per l’accoglimento del ricorso.
AVV_NOTAIO‘AVV_NOTAIO COGNOME del foro di TORINO in difesa di RAGIONE_SOCIALE insiste per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME e COGNOME NOME ricorrono, a mezzo dei rispettivi difensori di fiducia, avverso la sentenza della Corte di appello di Torino del 22/12/2022 che, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Torino che ha condannato gli imputati in ordine ai reati di tentata estorsione ed estorsione loro rispettivamente ascritti, ha concesso a NOME la sospensione condizionale della pena.
1.1. Ricorso di NOME COGNOME
Con un unico motivo la difesa rileva il vizio della motivazione rispetto alla ritenuta attendibilità delle persone offese pur in presenza di risultanze istruttorie che non riscontravano il narrato, rispetto alle quali la Corte di Appello aveva ritenuto che si trattasse di discrasie determinate da un difetto di memoria, facendone salva la buona fede e non avvedendosi, invece, per come evidenziato nell’atto di appello, che le cadenze temporali della vicenda consentivano di propendere per una lettura strumentale della denunzia sporta dal COGNOME, al fine di incidere sul contenzioso in atto tra le parti, così ottenendo il rilasci dell’immobile locato.
1.2. Ricorso di COGNOME NOME
Con un unico motivo la difesa lamenta la manifesta illogicità della motivazione con particolare riferimento al metus quale elemento costitutivo dell’estorsione, a fronte, invece, di alcuni dati “inequivocabili” che ne escludevano la sussistenza. Inoltre, si evidenzia che nessuna valida giustificazione è presente all’interno della motivazione rispetto al tema del ritardo – oltre due anni – con il quale la persona offesa ha presentato denunzia rispetto ai fatti asseritamente accaduti. Lo sviluppo degli accadimenti e l’esatta ricostruzione della vicenda intercorsa tra le parti riconducevano la denuncia ad un tentativo strumentale posto in essere dalla persona offesa per ottenere lo sgombero del capannone industriale locato alla ditta RAGIONE_SOCIALE (evitando ulteriori dilazioni dello sfratto) ed il pagamento dei crediti preg ressi.
All’udienza del 23/11/2023, il Collegio, stante il legittimo impedimento dell’AVV_NOTAIO, difensore dell’imputato COGNOME, rinviava il processo all’odierna udienza con sospensione dei termini di prescrizione.
Il Pubblico ministero, nella persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME COGNOME, con requisitoria-memoria del 4/12/2023, ha concluso per l’inammissibilità di entrambi i ricorsi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi, pur caratterizzati da un contenuto diverso e pur riferiti a distin contestazioni, possono essere valutati unitariamente, dovendo essere rilevata la loro inammissibilità.
Con riferimento alle censure mosse riguardo l’attendibilità delle persone offese, il percorso argomentativo seguito dai giudici di merito appare conforme ai criteri dettati dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui le dichiarazioni dell persona offesa – cui non si applicano le regole dettate dall’art. 192, comma 3, cod. proc. pen. – possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, più penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone e corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto (Sez. 2, n. 43278 del 24/09/2015, COGNOME, Rv. 265104 – 01).
Nel caso in esame, la Corte territoriale risulta essersi fatta carico di apprezzare le dichiarazioni delle persone offese in punto sia di attendibilità soggettiva che oggettiva, alla luce degli altri elementi di tipo dichiarativo, documentale ed investigativo acquisiti nel processo di cui si è dato conto nella sentenza impugnata. Peraltro, le valutazioni della persona offesa risultano compiutamente valutate nel contesto degli ulteriori elementi passati in rassegna dal giudice di primo grado.
L’eccezione di fondo, ossia che il COGNOME abbia denunciato al fine di evitare ulteriori dilazioni nella procedura di sfratto dell’occupazione del capannone che aveva locato alla ditta riferibile agli imputati attraverso una nuova rinegoziazione del contratto e che, dunque, la denuncia abbia avuto natura strumentale, può essere smentita se si ha riguardo ad una lettura complessiva della vicenda per come ricostruita dalle sentenze di merito, in cui la persona offesa ha dovuto subire reiterate minacce: – dapprima per addivenire alla stipula di un nuovo contratto a condizioni capestro che consentisse alla ditta RAGIONE_SOCIALE di continuare a fruire del capannone industriale, pur a fronte di una notevole esposizione debitoria per canoni insoluti, rinunciando all’azione esecutiva intrapresa e così dandosi conto di come la minaccia ricevuta avesse svolto causalmente il suo cogente effetto di metus (episodio di cui al capo A); – poi, perché interrompesse la procedura di sfratto successivamente intrapresa (episodio di cui al capo B, contestato come tentativo).
Si è al cospetto di un unico filo conduttore rappresentato dal perseguimento dell’interesse della società a conservare l’uso dell’immobile, a fronte dell’inesistenza – per come accertato dai giudici di merito – di qualunque elemento (difetti o danni) che la ditta potesse vantare a cagione della rinegoziazione e/o
delle reiterate opposizioni al rilascio, essendosi financo accertato che parte dell’immobile aveva subito un mutamento di destinazione d’uso.
Il fatto, dunque, che le variegate doglianze addotte da parte della società a cagione della giustificazione dei reiterati inadempimenti non rinvengano alcun preteso fatto costitutivo, neppure in astratto tutelabile, di talché alla fattispeci dell’estorsione sono state ricondotte le reiterate minacce subite dalla persona offesa, dà ragionevolmente conto della persistenza di una situazione antigiuridica in cui la genesi “tardiva” della denuncia non sconta alcuna illogicità, ma finisce anzi per rappresentare l’epilogo di una vicenda in cui la persona offesa, più volte sottoposta ad una coartazione della libertà di autodeterminazione, trova nella convocazione della polizia presso il commissariato l’occasione – in quanto all’uopo sollecitata – di rendere nota la realtà dei fatti occorsi.
Se questo è dunque, il contesto nell’ambito del quale è stata intrinsecamente apprezzata la credibilità della persona offesa, va anche evidenziato che privi di decisività sono i rilievi difensivi in ordine all’assenza di una indagine in corso che possa avere poi finito per indurre il COGNOME a denunciare, considerato che dalla lettura della sentenza di primo grado risulta che la convocazione in commissariato della persona offesa fu dovuta dal rallentamento della procedura esecutiva di sfratto di cui la polizia era stata notiziata dall’ufficiale giudiziario, circostanza as verosimile considerato che si trattava del secondo “ausilio” che le forze dell’ordine assicuravano alla procedura, essendovi stato un precedente accesso non andato a buon fine.
Parimenti è a dirsi con riguardo all’ulteriore rilievo secondo cui sarebbe inverosimile che chi subisce un’estorsione contrattuale addiviene, poi, alla stipula di un mutuo facendo affidamento sui canoni di locazione che avrebbe dovuto versargli chi lo ha estorto. In realtà la “rinegoziazione” del contratto doveva servire alla ditta riferibile agli imputati non solo per paralizzare la prima azione esecutiva, ma per ottenere un canone inferiore. Di talché non è affatto illogico che la persona offesa, avendo acceduto a tali propositi, abbia fatto ragionevole affidamento sulla percezione della minor somma.
Quanto, poi, alle discrasie tra il dichiarato della persona offesa e l’accertato, alle quali il motivo di ricorso del NOME fa riferimento, lungi dal trattarsi un’ipotesi di travisamento avendo la Corte territoriale puntualmente passato in rassegna i relativi motivi di appello, si tratta di doglianze che attaccano la motivazione attraverso una lettura parcellizzata delle emergenze processuali, che la sentenza impugnata ha risolto, per come già evidenziato, facendo ricorso, anche mediante il richiamo della sentenza del Tribunale, ad una valutazione complessiva del dichiarato, ritenuto degno di attendibilità stante l’esclusione di elementi negativi di decisiva interferenza.
Manifestamente infondata è, poi, la doglianza in ordine all’individuazione del COGNOME considerato che le sentenze di merito hanno spiegato le circostanze non affatto distoniche o inverosimili – che hanno portato poi la persona offesa a dare un nome a colui che inizialmente come sconosciuto l’aveva minacciata.
In conclusione, la sentenza impugnata sfugge ai vizi di motivazione denunciati, finendo per costituire le censure difensive riproposizione di profili adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti dai giudici di merito. Non va trascurato, infatti, che la valutazione della credibilità della persona offesa dal reato rappresenta una questione di fatto che, come tale, non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice sia incorso in manifeste contraddizioni (Sez. 2, n. 41505 del 24/09/2013, Terrusa, Rv. 257241 – 01).
I ricorsi vanno, prtanto, dichiarati inammissibili, condannandosi i ricorrenti, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, così determinata in ragione dei profili di inammissibilità rilevati (Corte cost., 13 giugno 2000 n. 186).
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa per le ammende.
Così deciso, il 19/01/2024