Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 29698 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 29698 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 18/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME nato a Monselice il 07/07/1964
avverso la sentenza emessa in data 30/09/2024 dalla Corte di Appello di Venezia visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso. udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza dell’8/03/2023, il Tribunale di Padova ha dichiarato NOME COGNOME responsabile dei reati di cui agli artt. 572, 582, 576 n. 5, 577, comma 2, 609-bis e 612-bis cod. pen., commessi in danno della moglie, NOME COGNOME e, per l’effetto, lo ha condannato alla pena complessiva di anni cinque, mesi tre e giorni quindici di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali.
I giudici di merito hanno ritenuto dimostrata la responsabilità del COGNOME per tutti i reati a lui ascritti sulla base delle circostanze emerse all’esito del testimonianza della persona offesa, dell’esame della documentazione sanitaria nonché delle ulteriori testimonianze assunte nel corso dell’istruttoria.
Sono state altresì applicate le pene accessorie previste dall’art. 609-nonies cod. pen., nonché l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. L’imputato è stato inoltre condannato al risarcimento dei danni in favore della parte civile costituita, da liquidarsi in separato giudizio, nonché al pagamento, in favore della medesima, di una provvisionale pari a euro 10.000 e delle spese sostenute nel corso del giudizio.
La Corte d’appello di Venezia, adita dall’imputato, ha confermato integralmente la decisione di primo grado.
Avverso tale pronuncia, NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, a mezzo del proprio difensore, articolando plurimi motivi di impugnazione.
Con il primo motivo, riferito al capo c), si deduce vizio di motivazione per illogicità, travisamento della prova e omessa valutazione di elementi decisivi. In particolare, si contesta la ritenuta inattendibilità del teste NOME COGNOME figli dell’imputato e della persona offesa, il quale, presente nell’abitazione familiare al momento del fatto, avrebbe reso dichiarazioni lineari e coerenti, riferendo di non aver percepito rumori o litigi tali da far presumere l’avvenuta violenza. Tale circostanza, secondo il ricorrente, avrebbe dovuto essere valorizzata dalla Corte territoriale, in quanto idonea a escludere la responsabilità per il reato contestato al capo c).
Con il secondo motivo, si deduce vizio di motivazione in ordine alla ritenuta attendibilità della persona offesa, la cui narrazione sarebbe stata smentita da più testimoni. In particolare, si contesta che la condanna per il fatto di cui al capo c) sia stata fondata esclusivamente sulle dichiarazioni della persona offesa, prive di riscontri oggettivi, non confermate dal figlio della coppia. Si evidenzia, inoltre, che la visita medica effettuata successivamente al presunto episodio non avrebbe rilevato segni compatibili con una violenza sessuale, e che la persona offesa è risultata negativa ai tamponi per streptococco e altre infezioni sessualmente trasmissibili, di cui invece l’imputato risultava affetto. Il complessivo quadro probatorio, secondo il ricorrente, avrebbe dovuto condurre a una pronuncia assolutoria, essendo stato il giudizio di colpevolezza frutto di un travisamento delle prove.
Con il terzo motivo, si deduce vizio di violazione di legge e di motivazione in relazione al reato di atti persecutori (capo d). La Corte d’appello avrebbe omesso di considerare prove decisive e avrebbe valutato in modo illogico e incoerente le dichiarazioni dei testi NOME COGNOME e NOME COGNOME concordi nel
riferire che i contatti tra l’imputato e l’ex moglie avvenivano con il consenso di quest’ultima e si svolgevano in modo pacifico e non invasivo. Si contesta, inoltre, che la Corte abbia trascurato il fatto che l’imputato transitava nei pressi dell’abitazione della persona offesa per motivi lavorativi.
Con il quarto motivo, riferito ancora al capo c), si lamenta la mancata concessione dell’attenuante di cui all’ultimo comma dell’art. 609 cod. pen., alla luce del grado non rilevante di coartazione esercitato dall’imputato e della limitata compromissione della libertà sessuale della persona offesa.
Con il quinto motivo, relativo al capo b), si deduce vizio di violazione di legge e manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui la condotta dell’imputato è stata sussunta nell’ambito dell’art. 582 cod. pen., anziché in quello dell’art. 581 cod. pen., ritenuto più adeguato. Si osserva che l’unica prova del fatto è costituita dal verbale di pronto soccorso dell’Il luglio 2018, nel quale il sanitario si sarebbe limitato a riportare quanto riferito dalla persona offesa. Inoltre, in assenza di una certificazione attestante un’alterazione funzionale o economica, l’evento descritto – un ottundimento auditivo – non sarebbe qualificabile come malattia del corpo o della mente, ma come semplici percosse, assorbite nel delitto di maltrattamenti.
Con il sesto motivo, si deduce vizio di violazione di legge e di motivazione in relazione al reato di maltrattamenti (art. 572 cod. pen.), per difetto del requisito dell’abitualità. Le condotte contestate sarebbero, secondo il ricorrente, sporadiche e diluite nel tempo, e non avrebbero determinato un regime di vita vessatorio, mortificante e insostenibile per la persona offesa, né una condizione di sudditanza nei confronti del marito.
Con il settimo motivo, infine, si censura il mancato riconoscimento dell’attenuante della provocazione e della prevalenza delle circostanze generiche sull’aggravante di cui all’art. 609-ter, n. 5-quater cod. pen., in assenza di motivazione o con motivazione meramente apparente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo, relativo alla ritenuta inattendibilità del teste NOME COGNOME e alla pretesa incompatibilità tra la sua testimonianza e la ricostruzione del fatto di cui al capo c), è inammissibile risolvendosi nella mera riproposizione di censure già dedotte in sede di appello e puntualmente disattese dalla Corte
territoriale con motivazione logica, coerente e immune da vizi. Il motivo è comunque manifestamente infondato.
In esso si prospettano deduzioni del tutto generiche, che non si confrontano specificamente con le argomentazioni svolte nella sentenza impugnata, confronto doveroso per l’ammissibilità dell’impugnazione, ex art. 581 cod. proc. pen., la cui funzione tipica è quella della critica argomentata avverso il provvedimento oggetto di ricorso.
In particolare, a pag. 12 della sentenza impugnata, la Corte d’appello ha dato adeguatamente conto, con argomentazioni esenti da illogicità manifesta, delle ragioni per cui ha ritenuto non attendibile il teste in questione, illustrando altresì con ragionamento altrettanto lineare, la compatibilità tra la dinamica della consumazione della violenza sessuale e la mancata percezione dell’abuso da parte del figlio, presente nell’abitazione al momento del fatto.
Trova, dunque, applicazione il principio, già affermato da questa Corte, secondo cui, in tema di inammissibilità del ricorso per cassazione, i motivi devono ritenersi generici non solo quando risultano intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato (Sez.6, n.20377 del 11/03/2009, COGNOME e altri, Rv.243838; Sez. 2 n. 27816 del 22/03/2019, COGNOME, Rv. 276970; Sez. 4 n. 13207 del 27/01/2022, COGNOME, Rv. 282936; Sez. 4, n. 19364 del 14/03/2024, COGNOME, Rv. 286468;. La mancanza di specificità del motivo, invero, deve essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell’art. 591 comma 1 lett. c), all’inammissibilità del ricorso (Sez.4 del 29/03/2000, n. 5191, Barone, Rv. 216473).
2.11 secondo motivo di ricorso, relativo alla presunta non credibilità della persona offesa, è generico e comunque manifestamente infondato.
Va premesso che, secondo il costante orientamento giurisprudenziale di questa Corte, il Giudice di merito può fondare il proprio convincimento circa la responsabilità penale anche esclusivamente sulle dichiarazioni rese dalla persona offesa, purché ne sia accertata attendibilità, senza la necessità di applicare le regole probatorie di cui all’art. 192, commi 3 e 4, cod. proc. pen., che richiedono la presenza di riscontri esterni (cfr. Sez. 5 n. 21135 del 26/03/2019, S., Rv. 275312; Sez U, n.41461 del 19/07/2012, RAGIONE_SOCIALE, Rv.253214; Sez.2, n.43278 del 24/09/2015, COGNOME, Rv.265104).
È stato altresì chiarito che tale verifica, considerato l’interesse di cui la persona offesa è naturalmente portatrice, deve essere condotto con la necessaria cautela, attraverso un esame particolarmente rigoroso e penetrante, che tenga conto anche degli altri elementi eventualmente emergenti dagli atti (Sez. 6, n. 33162 del 03/06/2004, COGNOME e altri, Rv. 229755; Sez. 5, n. 12920 del 13/02/2020, COGNOME, Rv. 279070).
La giurisprudenza di legittimità ha ribadito che le dichiarazioni della persona offesa, costituita parte civile, possono essere poste, anche da sole, a fondamento dell’affermazione di responsabilità penale dell’imputato, previa verifica, più penetrante e rigorosa rispetto a quella richiesta per la valutazione delle dichiarazioni di altri testimoni, della credibilità soggettiva del dichiarante dell’attendibilità intrinseca del suo racconto e, qualora risulti opportuna l’acquisizione di riscontri estrinseci, questi possono consistere in qualsiasi elemento idoneo a escludere l’intento calunniatorio del dichiarante, non dovendo risolversi in autonome prove del fatto, né assistere ogni segmento della narrazione, posto che la loro funzione è sostanzialmente quella di asseverare esclusivamente ed in via generale la sua credibilità soggettiva (Cfr. Sez.5, n. 21135 del 26/03/2019, cit.).
Nel caso di specie, la Corte territoriale, con apprezzamento di fatto immune da censure, e dunque insindacabile in sede di legittimità, nel richiamare, confermandola, la valutazione del primo giudice, ha fondato il giudizio di attendibilità della persona offesa su una compiuta ed articolata valutazione (pag. 8, 9, 10 della decisione impugnata), valorizzandone la spontaneità, genuinità e coerenza interna del racconto, nonché i riscontri oggettivi offerto dai certificati medici acquisiti agli atti, dai quali emergono lesioni compatibili con le dinamiche degli episodi descritti dalla donna.
A tali elementi si aggiungono le dichiarazioni dei familiari, che hanno riferito del timore provato dalla vittima nei confronti dell’imputato, nonché quelle della psicologa del centro antiviolenza, dalla cui deposizione è emersa la coerenza tra il racconto ricevuto dalla persona offesa e quello successivamente reso dalla vittima nelle sedi giudiziarie.
Quanto alle dichiarazioni del figlio NOME, la Corte ha rilevato che, secondo la persona offesa, ritenuta pienamente attendibile, le violenze e le discussioni più gravi si verificavano in assenza dei figli. Il teste, invece, è stato ritenu inattendibile in ragione della rottura dei rapporti con la madre e delle numerose contraddizioni emerse tra le dichiarazioni raccolte in fase di indagini e quelle rese in dibattimento.
I giudici di merito hanno confutato analiticamente le obiezioni difensive, che il ricorrente si limita a riproporre in questa sede senza alcun confronto critico con la motivazione impugnata.
L’impianto argomentativo della sentenza d’appello risulta dunque congruo, privo di illogicità manifesta e, pertanto, insuscettibile di sindacato in sede di legittimità.
Il terzo motivo di ricorso è inammissibile per genericità e comunque manifestamente infondato.
A pag. 13 e 14 la Corte territoriale, con ragionamento immune da vizi logici, ha illustrato gli elementi in base ai quali è pervenuta alla conferma del giudizio di colpevolezza espresso nel giudizio di primo grado.
In particolare, ha valorizzato le dichiarazioni della persona offesa e quelle dei suoi familiari, i quali hanno confermato le condotte persecutorie poste in essere dall’imputato. Il ricorrente, tuttavia, si limita a riproporre dogmaticamente le censure già formulate in appello, senza confrontarsi criticamente con la motivazione adottata dalla Corte.
Il quarto motivo di ricorso è parimenti inammissibile perché generico e comunque manifestamente infondato.
Anche in questo caso, il ricorrente ripropone pedissequamente uno dei motivi d’appello e non confrontandosi con quanto affermato dalla Corte territoriale.
A pagina 13 del provvedimento impugnato i giudici d’appello, facendo corretta applicazione dei principi più volte espressi dalla giurisprudenza di legittimità (ex plurimis, Sez. 3, n. 6713 del 26/01/2021, Rv. 281096 – 02), hanno escluso l’applicabilità dell’ipotesi attenuata invocata dalla difesa valorizzando la dinamica del fatto, l’intensità del grado di intimidazione esercitato nei confronti della vittima, fondato su reiterati episodi di percosse, nonché l’elevato livello di coartazione della libertà sessuale della persona offesa, sfociato nella consumazione di un rapporto sessuale completo. È stata inoltre, evidenziata la gravità delle conseguenze dell’episodio, tali da determinare il definitivo allontanamento della donna dal contesto familiare,
Il quinto motivo di ricorso inammissibile perché generico e comunque manifestamente infondato.
Anche tale motivo si risolve in una pedissequa riproposizione di uno dei motivi d’appello e non si confronta con quanto affermato sul punto dalla Corte territoriale che, con motivazione lineare e immune da vizi logici, a pag. 11, ha evidenziato che il reato di cui all’art. 582 cod. pen. è stato provato non solo, ma anche dalla circostanza che la donna si è recata al pronto soccorso, e dal certificato medico acquisito agli atti che, pur trattandosi di refertazione soggettiva, costituisce un riscontro della sintomatologia lamentata dalla donna.
Il sesto motivo di ricorso, è inammissibile per genericità e comunque manifestamente infondato.
Il ricorrente non si confronta con la motivazione ampia e articolata fornita dai giudici di merito in ordine alla sussistenza del reato di maltrattamenti a pag. 10 e 11 della decisione censurata.
Con ragionamento scevro dai vizi lamentati, la Corte d’appello, sulla base delle dichiarazioni della persona offesa ritenuta pienamente credibile, ha correttamente inquadrato la condotta dell’imputato ai sensi dell’art. 572 cod. pen. in considerazione della frequenza degli episodi di ingiurie, offese e minacce, tenendo conto delle reiterate aggressioni fisiche subite dalla donna nonché della condizione di profonda prostrazione in cui si è trovata la donna per un lungo periodo.
Il settimo motivo di ricorso è inammissibile in quanto generico e comunque manifestamente infondato.
Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, la Corte d’appello ha argomentato compiutamente sul mancato riconoscimento dell’attenuante della provocazione e della prevalenza delle circostanze generiche l’aggravante di cui all’articolo 609 ter n.5-quater, cod. pen.
In particolare, la Corte territoriale, a pagina 14, ha affermato che la dinamica afferente al più grave reato di cui all’articolo 609-bis cod. pen. non consentiva di rinvenire alcun fatto ingiusto idoneo a legittimare il riconoscimento della provocazione.
Ha, inoltre, correttamente invocato il principio di diritto, condiviso da questo Collegio, secondo il quale l’attenuante della provocazione risulta incompatibile con i reati di cui agli articoli 572 e 612 bis cod. pen.
Questa giurisprudenza di legittimità ha, infatti affermato il principio secondo il quale l’attenuante della provocazione incompatibile con il delitto di maltrattamenti essendo questo connotato, quale reato abituale dalla reiterazione nel tempo di comportamenti antigiuridici (Sez. 6 n. 13562 del 05/02/2020, F., Rv. 278757; Sez. 6, n. 12307 del 27/10/200, N., Rv. 217901). Analogamente, è principio pacifico che l’attenuante della provocazione sia incompatibile con il delitto di atti persecutori, anch’esso qualificabile come reato abituale, composto da una pluralità di condotte che concorrono alla produzione di un unico evento lesivo; l’accertamento della sussistenza della provocazione imporrebbe una valutazione frammentata dei singoli atti che compongono la condotta, modalità non compatibile con la natura unitaria del reato abituale (Sez. 5, n. 14417 del 09/02/2024, F., Rv. 286290 – 01).
Quanto al giudizio ex art. 69 cod. pen., la Corte territoriale ha ribadito il giudizio di equivalenza formulato dal giudice di prime cure tra le circostanze
attenuanti generiche e l’aggravante contestata.
Il ricorrente non si confronta con la motivazione adottata dalla Corte d’appello, la quale ha escluso la prevalenza delle attenuanti in ragione della
gravità e della dinamica dei fatti, ritenendo insussistenti gli elementi per pervenire a un giudizio favorevole in tal senso.
A ciò si aggiunga che, in tema di concorso di circostanze, il giudizio di comparazione risulta sufficientemente motivato quando il giudice, nell’esercizio
del potere discrezionale previsto dall’art. 69 cod. pen. scelga la soluzione dell’equivalenza, anziché della prevalenza delle attenuanti, ritenendola quella più
idonea a realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in concreto (Sez. 1, n. 758
del 28/10/1993 – dep. 26/01/1994, COGNOME, Rv. 196224; Sez. 2 n. 31531 del
16/05/2017, COGNOME Rv. 270481).
8.Per tutte queste ragioni il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente alle spese processuali e alla somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. L’imputato, inoltre, deve essere condannato alla rifusione delle spese di difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Venezia con separato decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 D.P.R. 115/2002, con pagamento in favore dello Stato.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente ai pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Condanna, inoltre l’imputato alla rifusione delle spese di difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Venezia con separato decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 D.P.R. 115/2002, disponendo il pagamento in favore dello Stato.
Così deciso in Roma, in data 18/06/2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente