Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 12424 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 12424 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 20/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a Ceccano il 17/11/1991
avverso la sentenza del 16/02/2024 della Corte d’appello di Roma visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME la quale ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile;
lette le conclusioni dell’Avv. NOME COGNOME difensore di COGNOME NOMECOGNOME il quale ha concluso chiedendo «la riforma» della sentenza impugnata per le ragioni esposte nel ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 16/02/2024, la Corte d’appello di Roma, in parziale riforma della sentenza del 27/03/2023 del Tribunale di Frosinone: a) dichiarava non doversi procedere nei confronti di NOME COGNOME in ordine al reato di truffa di cui al capo E) dell’imputazione perché estinto per remissione tacita della querela; b) confermava la condanna dello stesso COGNOME per i reati di truffa continuata ai danni di NOME COGNOME di cui al capo A) dell’imputazione, truffa ai danni di NOME COGNOME di cui al capo C) dell’imputazione e truffa ai danni di NOME
Dossi di cui al capo D) dell’imputazione; c) rideterminava in un anno e due mesi di reclusione ed C 600,00 di multa la pena irrogata all’Esposito per tali reati, unificati dal vincolo della continuazione, ritenuta più grave la violazione di cui al capo A).
Avverso tale sentenza del 16/02/2024 della Corte d’appello di Roma, ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite del proprio difensore avv. NOME COGNOME NOME COGNOME affidato a due motivi.
2.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce l’erronea applicazione «di legge» «in merito alla valutazione della attendibilità della parte offesa» del reato di cui al capo A) dell’imputazione NOME COGNOME
Dopo avere svolto alcune considerazioni di carattere generale a proposito della valenza delle dichiarazioni della persona offesa dal reato, l’Esposito contesta che, nel caso di specie, «la disamina del narrato della persona offesa è stata insufficiente dal punto di vista della credibilità soggettiva e dell’attendibilità intrinseca delle sue dichiarazioni».
Il ricorrente lamenta in particolare che le dichiarazioni della COGNOME siano state ritenute idonee a fondare da sole l’affermazione di responsabilità per il reato di truffa «onostante molte contraddizioni (e qualche assurdità)» e nonostante la stessa COGNOME non fosse «sembrata di certo un testimone terzo ed estraneo al processo».
2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la carenza e la manifesta contraddittorietà e illogicità della motivazione, sempre con riguardo all’affermazione della sua responsabilità per il reato di truffa ai danni di NOME COGNOME di cui al capo A) dell’imputazione.
L’Esposito contesta che la Corte d’appello di Roma avrebbe dato «fiducia acritica alle sue accuse» e, nel fare propria la ricostruzione dei fatti che era stata fornita dalla Daga, ne avrebbe «riporta inevitabilmente anche le incongruenze, le illogicità e le oggettive, inevitabili contraddizioni», le quali sarebbero tali viziare la motivazione della sentenza impugnata.
Tali incongruenze, contraddizioni e illogicità erano state evidenziate nel proprio atto di appello e sarebbero riassumibili nelle seguenti: a) non sarebbe logico che un tassista, quale è la Daga, «si faccia pagare una corsa prima ancora di sapere la destinazione del viaggio e il tempo per cui sarà impegnato»; b) non sarebbe «coerente che un cliente paghi le sue corse in taxi chiedendo ad altri di farlo per lui disponendo a sua richiesta dei versamenti immediati sulla PostePay dell’autista (i truffati hanno riferito di aver inviato i soldi dopo lung contrattazioni)»; c) non sarebbe «verosimile che la sig.na COGNOME, fino al blocco della carta, abbia ingenuamente ritirato dalla PostePay gli importi così ricevuti senza avvedersi della loro provenienza»; d) non sarebbe «credibile che, nel tempo
dell’emergenza pandemica e delle più rigide restrizioni in tema di spostamenti, ella scarrozzasse tranquillamente in taxi un nullafacente (che con i suoi figli naturali non ha alcun contatto)»; e) «gli importi ricevuti sono sproporzionati per i tragitti asseritamente percorsi».
Secondo l’Esposito, l’affermazione della Corte d’appello di Roma secondo cui «on vi sono motivi fondati per disattendere il resoconto dei fatti della teste NOME COGNOME» si scontrerebbe «non con una versione alternativa nel merito, ma con la logica», atteso che, quando la stessa Corte d’appello considera le modalità dei pagamenti, «dimentica che i testi hanno riferito di averli eseguiti non nell’immediatezza, ma soltanto dopo aver avuto ripetuti contatti telefonici o via Whatsapp con il loro interlocutore, e a volte anche a distanza di uno o più giorni. Un pagamento con le modalità riferite dalla Daga deve essere effettuato da un punto abilitato, invece, e richiede del tempo perfino per essere materialmente eseguito».
Anche l’affermazione della Corte d’appello di Roma secondo cui «er poter effettuare il pagamento l’imputato aveva chiesto alla Daga la carta PostePay e la sua tessera sanitaria a cui aveva fatto una fotografia con il cellulare e sempre con lo smartphone procedeva all’accredito del corrispettivo della corsa», sarebbe contraddittoria in quanto non corrisponderebbe a quanto la stessa Daga aveva riferito, atteso che, «secondo quest’ultima, il pagamento in suo favore sarebbe stato effettuato direttamente (e al momento) da coloro che venivano di volta in volta contattati da COGNOME».
CONSIDERATO IN DIRITTO
I due motivi – i quali, attenendo entrambi all’affermazione dì responsabilità dell’imputato per il reato di cui al capo A) dell’imputazione, possono essere esaminati congiuntamente – sono fondati.
La sentenza impugnata, aderendo alle valutazioni del primo giudice, ha applicato il principio, affermato dalla costante giurisprudenza di legittimità, secondo il quale occorre effettuare un rigoroso riscontro della credibilità soggettiva e oggettiva della persona offesa (specie se costituita parte civile), accertando l’assenza di elementi che facciano dubitare della sua obiettività, senza la necessità, però, della presenza di riscontri esterni, stabilita dall’art. 192, comma 3, cod. proc. pen., per il dichiarante coinvolto nel fatto (ex plurimis: Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 253214-01; Sez. 5, n. 12920 del 13/02/2020, COGNOME, Rv. 279070-01; Sez. 5, n. 21135 del 26/03/2019, S., Rv. 275312-01; Sez. 2, n. 41751 del 04/07/2018, COGNOME, Rv. 274489-01; Sez. 2, n. 43278 del
24/09/2015, COGNOME Rv. 265104-01; Sez. 5, n. 1666 del 08/07/2014, dep. 2015, COGNOME Rv. 261730-01).
Le Sezioni Unite hanno anche statuito che «la valutazione della credibilità della persona offesa dal reato rappresenta una questione di fatto che ha una propria chiave di lettura nel compendio motivazionale fornito dal giudice e non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice non sia incorso in manifeste contraddizioni» (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, cit. Più di recente: Sez. 4, n. 10153 del 11/02/2020, C., Rv. 278609-01).
Il Collegio ritiene che quest’ultima circostanza sia presente nel caso di specie e che sussista, comunque, il denunciato vizio motivazionale.
Secondo il capo A) dell’imputazione, il reato di truffa continuata ai danni di NOME COGNOME che è stato attribuito all’COGNOME gli era stato contestato «perché, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso ed anche in tempi diversi, con artifizi e raggiri consistiti nel pagare sette corse del taxi attraver ricariche sulla carta PostePay n. 4023600979569995 intestata alla tassista NOME (ricariche di euro 125,00 effettuata in data 9.05.20 da COGNOME NOME , euro 275,00 effettuata in data 11.05.20 da COGNOME NOME, euro 160,00 ed euro 40,00 effettuate in data 12.05.20 da NOME COGNOME euro 150,00 effettuata in data 13.05.20 da COGNOMENOME, euro 65,00 effettuata in data 14.05.20 da NOMECOGNOME da lui fatte effettuare da altri soggetti convint di versare denaro in suo favore e a fronte di controprestazioni mai ricevute, inducendo in errore la Daga sulla provenienza dei pagamenti e la legittimità di tali incassi, procurava a sé o ad altri un ingiusto profitto pari al valore delle corse usufruite con danno in capo alla predetta pari ad euro 1.115,00».
In sostanza, l’COGNOME avrebbe pagato alla tassista NOME COGNOME sette corse, di cui avrebbe usufruito come cliente del suo taxi, facendo effettuare i pagamenti di tali corse alle vittime di truffe che egli aveva commesso on -line (tra l’altro, vendendo prodotti che poi ometteva di recapitare all’acquirente, come nei casi di cui ai capi “C” e “D” dell’imputazione), mediante la ricarica della carta PostePay intestata alla COGNOME.
Dalla lettura delle sentenze di merito risulta che la testimone persona offesa del reato NOME COGNOME aveva riferito che: a) l’COGNOME era un suo cliente abituale, che ella accompagnava quasi tutti i giorni da Ceccano a Frosinone e viceversa o da Ceccano a Latina – dove vivevano, con la madre, i figli dell’COGNOME -, e viceversa; b) essa veniva sovente pagata dai propri clienti mediante ricarica della propria carta PostePay; c) per poterla pagare con tale modalità, l’COGNOME le chiedeva tale sua carta PostePay e la sua tessera sanitaria, faceva una fotografia di tali documenti con il proprio smartphone e, sempre con lo smartphone, procedeva ad accreditarle il corrispettivo della corsa; d) poco prima di terminare
il tragitto, era solita fermarsi a uno sportello Banco Posta e prelevare dalla propria carta PostePay il corrispettivo della corsa, così da poter essere certa che le fosse stato pagato; e) dall’estratto conto della sua carta PostePay risultavano operazioni relative ad acquisti on-line che ella non aveva effettuato; f) tramite Messenger, era stata contattata da una ragazza che le aveva detto di avere effettuato una ricarica della sua (della Daga) carta PostePay in relazione all’acquisto di uno smartphone, indicandole anche il giorno e l’ora della stessa ricarica, e, nel controllare ciò, aveva riscontrato che «a quell’ora, in quel giorno, io la ricarica l’avevo ricevuta da un altro tizio, che era questo COGNOME NOME, che era cliente non solo mio, anche degli altri taxi di Frosinone ed era solito pagare le poste con le ricariche PostePay, non era la prima volta che succedeva».
Ciò precisato, le affermazioni delle conformi sentenze dei giudici di merito secondo cui «non vi sono ragioni per dubitare della credibilità di quanto riferito dalle persone offese con dichiarazioni coerenti, logiche, prive di contraddizioni e tra loro convergenti» (così il Tribunale di Frosinone), «NOME ha ricostruito con dettaglio i fatti che l’hanno interessata nella vicenda» (così sempre il Tribunale di Frosinone) e «on vi sono motivi fondati per disattendere il resoconto dei fatti della teste NOME COGNOME (così la Corte d’appello di Roma), appaiono non spiegare adeguatamente, sul piano della logica dell’accadimento dei fatti: a) l’apparente coincidenza del prezzo che le vittime delle truffe on-line dovevano corrispondere all’COGNOME con il costo di ciascuna delle sette corse di taxi di cui egli aveva usufruito e che doveva pagare alla COGNOME; b) la coincidenza temporale tra il momento in cui l’COGNOME doveva pagare alla COGNOME ciascuna delle sette corse di taxi e il momento in cui i terzi vittime delle truffe da lui commesse gli avrebbero corrisposto il prezzo dei beni che erano stati loro venduti (e mai consegnati); c) l’apparente anomalia derivante dal fatto che la Daga non si fosse resa conto che i pagamenti delle sette corse di taxi da lei fornite all’COGNOME provenivano non dall’COGNOME ma da altre terze persone. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Quanto, in particolare, alla seconda delle indicate carenze argomentative, il Collegio ritiene che essa non sia esclusa dall’affermazione della Corte d’appello di Roma secondo cui, «verosimilmente, la tassista verificava a fine corsa che sulla PostePay ci fosse la provvista necessaria, qualunque fosse il momento in cui era avvenuto l’accredito», atteso che tale affermazione non appare idonea a spiegare pienamente la coincidenza, sia quantitativa sia temporale, dei pagamenti di ciascuna delle sette corse di taxi da parte dell’COGNOME e di ciascuno dei beni che egli aveva fraudolentemente venduto da parte delle vittime di tali truffe.
Ad avviso del Collegio, le indicate carenze di adeguate spiegazioni in ordine alla logica dell’accadimento dei fatti si traducono in altrettante contraddizioni del giudizio di credibilità della persona offesa NOME COGNOME e, più, in generale, in una
manifesta illogicità della motivazione con la quale la Corte d’appello di Roma ha confermato l’affermazione di responsabilità dell’COGNOME per il reato di truffa continuata ai danni di NOME COGNOME di cui al capo A) dell’imputazione.
Pertanto, la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente al reato di cui al capo A) dell’imputazione ed al trattamento sanzionatorio, con rinvio, per un nuovo giudizio, a un’altra sezione della Corte d’appello di Roma.
Deve invece essere dichiarata l’irrevocabilità dell’affermazione di responsabilità dell’COGNOME per i reati di cui ai capi C) e D) dell’imputazione, affermazione in ordine alla quale il ricorrente non ha in effetti formulato doglianze.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al capo A) ed al trattamento sanzionatorio, con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d’appello di Roma. Dichiara irrevocabile l’affermazione di responsabilità relativamente ai reati di cui ai capi C) e D)
Così deciso il 20/02/2025.