Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 18400 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 18400 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 22/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME (CUI 04AQGIO), nato in Tunisia il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 14/11/2023 della Corte d’appello di Firenze visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore Generale NOME AVV_NOTAIO, il quale ha concluso chiedendo che il ricorso sia rigettato;
udita l’AVV_NOTAIO, in difesa di NOME, la quale si è riportata ai motivi di ricorso, chiedendone l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 14/11/2023, la Corte d’appello di Firenze confermava la sentenza del 20/12/2022 del Tribunale di Firenze con la quale NOME era stato condannato alla pena di 6 anni e 6 mesi di reclusione ed 2.500,00 di multa per i reati, unificati dal vincolo della continuazione, di: 1) rapina aggravat (dall’avere commesso la violenza e minaccia con un coltello e con uno spray urticante) e lesioni personali pluriaggravate (dall’avere commesso il fatto con uno spray urticante e dal cosiddetto nesso teleologico) ai danni di NOME COGNOME (capo A dell’imputazione; fatti commessi in Firenze il 16/11/2021); 2) tentata rapina impropria aggravata (dall’avere commesso la violenza e minaccia con uno spray
urticante) ai danni di NOME COGNOME (capo B dell’imputazione; fatto commesso in Firenze il 10/11/2021).
Avverso tale sentenza del 14/11/2023 della Corte d’appello di Firenze nonché avverso l’ordinanza, sempre del 14/11/2023, con la quale la stessa Corte d’appello aveva rigettato la richiesta della difesa dell’imputato di acquisizione della documentazione costituita da certificati di stato di famiglia e di cittadinanza della persona offesa NOME COGNOME e da indagini anagrafiche su NOME COGNOME – ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite del proprio difensore, NOME COGNOME, affidato a sette motivi.
2.1. Con il primo motivo, relativo all’affermazione di responsabilità per i reati di cui al capo A) dell’imputazione, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606 comma 1, lett. e) , cod. proc. pen., che l’assoluzione della coimputata NOME, concorrente nei suddetti reati, per non avere commesso il fatto, intervenuta con la sentenza del 04/04/2019 del G.i.p. del Tribunale di Firenze, emessa in esito a giudizio abbreviato e divenuta irrevocabile il 02/10/2023, renderebbe «inattendibile la p.o. in maniera decisiva».
Il ricorrente afferma che, diversamente da quanto sostenuto dalla Corte d’appello di Firenze, la suddetta sentenza irrevocabile di assoluzione della concorrente nei reati NOME COGNOME avrebbe ritenuto l’inattendibilità della persona offesa NOME COGNOME, in particolare, là dove la stessa sentenza – in una parte di essa non riportata dalla Corte d’appello di Firenze – ha argomentato che l’COGNOME, nel corso del proprio esame testimoniale, aveva cercato di spiegare le ragioni delle differenti versioni dei fatti che aveva fornito alla polizia giudiziaria in quanto stato verosimilmente indotto a ritenere che fosse stata la donna (cioè la COGNOME) ad asportargli il portafogli «perché l’aveva vista vicino all’uomo nelle immagini estrapolate dalle telecamere cittadine, negando in ultimo di aver dichiarato quanto verbalizzato dai Carabinieri in data 19.04.2022».
Nell’ammettere che il G.i.p. del Tribunale di Firenze aveva ritenuto l’inattendibilità dello NOME solo con riguardo alle sue dichiarazioni relative a contributo della COGNOME, il ricorrente afferma che, tuttavia, la Corte d’appello di Firenze avrebbe dovuto motivare diffusamente sul perché lo stesso COGNOME, inattendibile con riguardo alla responsabilità della concorrente COGNOME, restasse invece attendibile con riguardo alla propria responsabilità.
2.2. Con il secondo motivo, relativo sempre all’affermazione di responsabilità per i reati di cui al capo A) dell’imputazione, il ricorrente deduce, in relazion all’art. 606, comma 1, lett. d), cod. proc. pen., la decisività della documentazione – la quale aveva acquisito rilevanza solo dopo la sentenza di primo grado -, di cui aveva chiesto l’acquisizione tramite rinnovazione dell’istruzione dibattimentale,
costituita da due certificati di stato di famiglia e da un certificato di cittadinanz NOME COGNOME e da indagini anagrafiche su NOME COGNOME.
Il ricorrente asserisce la decisività di tale documentazione in quanto: a) i due certificati di stato di famiglia dello NOME sarebbero stati idonei a «demolire» le dichiarazioni di questi in ordine alla propria convivenza e alla figlia della propri convivente (che lo COGNOME aveva dichiarato di portare a scuola con la bicicletta oggetto della contestata rapina), nonché in ordine alla presenza dell’amministratrice di sostegno NOME COGNOME; b) il certificato di cittadinanza del NOME sarebbe stato idoneo a dimostrare che questi «racconta bugie quando narra di essere stato adottato», atteso che, in tale caso, avrebbe avuto la cittadinanza italiana, mentre era invece cittadino albanese; c) le indagini anagrafiche su NOME COGNOME (cioè la persona che, secondo il racconto dello NOME, gli aveva prestato la bicicletta oggetto della contestata rapina) sarebbe stato idoneo a dimostrare che «non esiste una persona nel Comune di Pelago che risponda a tali generalità».
Il COGNOME deduce quindi che, se la Corte d’appello di Firen2:e avesse acquisito i menzionati documenti, i quali attestavano verità diverse da quelle narrate dalla persona offesa, e li avesse valutati congiuntamente alla menzionata sentenza di assoluzione della concorrente NOME COGNOME nonché alle incongruenze «sul piano della refurtiva provenienti dal primo grado», avrebbe dovuto assolvere il COGNOME o, al più, avrebbe dovuto condannarlo per percosse, o, in estrema ipotesi, per rapina semplice, valutando anche la sussistenza della circostanza attenuante del danno patrimoniale di lieve entità.
Il ricorrente lamenta che la Corte d’appello di Firenze avrebbe invece attribuito «una comoda e generica patente di improprietà ed inesattezza giuridica alle dichiarazioni dell’NOME, proprio per giustificare la insostenibilità, variabilit continua discrepanza tra il dichiarato ed il dichiarato successivamente, oltre che tra il dichiarato e il riscontrato documentalmente (e non acquisito dalla Corte perché “non decisivo”)», trascurando «la circostanza che i due originari imputati, fermati immediatamente, fossero in possesso della sola bicicletta, privi di armi, senza lo zaino, il portafoglio e soprattutto senza i mille Euro che lo COGNOME dirà essergli stati sottratti dai due non subito ai Carabinieri intervenuti sul posto, m soltanto successivamente».
2.3. Con il terzo motivo, relativo sempre all’affermazione cli responsabilità per i reati di cui al capo A) dell’imputazione, il ricorrente deduce, in relazione all’a 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.: «sulla teste COGNOME: qui le inesattezza si trasformano in inattendibilità?».
Il COGNOME lamenta che la Corte d’appello di Firenze, nel ritenere confusa e conseguentemente inattendibile NOME COGNOME, «allora avrebbe dovuto ritenere
altrettanto inattendibile anche l’COGNOME che quanto a confusione domina incontrastato sia le indagini che l’istruttoria» e che la stessa Corte d’appello non spiegherebbe le ragioni per cui «non applica lo stesso metro valutativo alle dichiarazioni dei due testimoni».
2.4. Con il quarto motivo, relativo sempre al capo A) dell’imputazione, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b) , cod. proc. pen., che, poiché la NOME era stata assolta, era venuta meno la circostanza aggravante della rapina dell’essere stata la violenza o minaccia commessa da più persone riunite e lamenta che, ciò nonostante, la Corte d’appello di Firenze aveva lasciato ferma la pena che era stata irrogata dal Tribunale di Firenze per il suddetto reato di rapina, senza «chiarire come mai il venir meno di una aggravante non dovesse incidere sul trattamento sanzionatorio».
2.5. Il quinto motivo, relativo sempre al capo A) dell’imputazione, è proposto in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b) , cod. proc. pen., e riguarda la ritenuta circostanza aggravante della rapina dell’essere stata la violenza o minaccia commessa con armi.
Il ricorrente deduce anzitutto che, contrariamente a quanto affermato dalla Corte d’appello di Firenze, il fatto che le immagini delle telecamere di videosorveglianza avessero ripreso «le fasi dell’aggressione» avrebbe dovuto essere considerato dirimente con riguardo all’accertamento dell’uso delle armi (oltre che all’individuazione della refurtiva). Il COGNOME sostiene che, dalle stess immagini, non si vedrebbe né l’uso di un coltello e di uno spray urticante, né la sottrazione dello zaino e del portafoglio, né la caduta a terra dello COGNOME, né il passaggio di qualcosa al momento del proprio incontro con altre persone.
In secondo luogo, il COGNOME lamenta che la Corte d’appello di Firenze, al fine di ritenere che egli, nel commettere la rapina di cui al capo A) dell’imputazione, aveva utilizzato un coltello e uno spray urticante, abbia valorizzato le dichiarazioni del testimone NOME COGNOME, nonostante questi avesse riferito in ordine all’altra rapina di cui al capo B) dell’imputazione, e che la stessa Corte d’appello abbia fatto ricorso alla «pura illazione priva del minimo significato probatorio» che, se egli era stato armato nel commettere quest’ultima rapina, lo era stato anche nel commettere quella di cui al capo A) dell’imputazione.
2.6. Con il sesto motivo, relativo sempre al capo A) dell’imputazione, il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., che la Corte d’appello di Firenze abbia negato il riconoscimento della circostanza attenuante della rapina dell’avere cagionato alla persona offesa un danno patrimoniale di speciale tenuità, in ragione del «valore dei beni sottratti» e delle «lesioni patite dalla vittima».
A proposito di tale motivazione, il ricorrente deduce: a) quanto al «valore dei beni sottratti», che vi sarebbe prova della sottrazione della sola bicicletta, la qual «è un danno di speciale tenuità»; b) quanto alle «lesioni patite dalla vittima», che il relativo referto del pronto soccorso «diagnostica un eritema congiuntivale che però non viene rilevato clinicamente, limitandosi a prescrivere di “lavare abbondantemente gli occhi”».
2.7. Con il settimo motivo, relativo all’affermazione di responsabilità per il reato di rapina di cui al capo B) dell’imputazione, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e) , cod. proc. pen., che «la dinamica dei fatti esclude la presenza dell’arma coltello, mentre l’uso dello spray è avvenuto verso altra persona estranea al capo d’imputazione che aveva bloccato l’imputato».
Il ricorrente lamenta che la Corte d’appello di Firenze non si sarebbe «misurata con le censure difensive in punto di fatto», le quali avevano indotto la propria difesa a chiedere l’assoluzione per l’esistenza di un «tentativo del tutto inidoneo a commettere un furto».
In particolare, la stessa Corte d’appello non si sarebbe misurata con le censure che, posto che la persona offesa NOME COGNOME non era stata pacificamente aggredita né mediante un coltello né mediante uno spray urticante, NOME COGNOME, che era intervenuto bloccando il braccio del COGNOME, aveva riferito che «il borseggiatore avrebbe impugnato sia un coltello sia uno spray, usato nei suoi confronti», così fornendo una «ricostruzione fallace, per impossibilità fisica», con la conseguenza che, «scluso il coltello, resta lo spray, utilizzato da borseggiatore solo per far allentare la presa al COGNOME, senza alcun intento predatorio».
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo è manifestamente infondato.
Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, con la sentenza del 04/04/2019 – come risulta dalla lettura della stessa – il G.i p. del Tribunale d Firenze aveva assolto la concorrente nei reati NOME COGNOME non perché aveva ritenuto l’inattendibilità della persona offesa NOME COGNOME, ma perché questi, nel corso del proprio esame testimoniale che aveva reso nel presente processo davanti al Tribunale di Firenze, aveva escluso che fosse stata la COGNOME a rovistare nel suo zaino e nelle tasche dei suoi pantaloni. COGNOME aveva anche spiegato le ragioni per le quali, nel corso della indagini preliminari (in particolar nell’integrazione di querela del 18/11/2021 e nelle sommarie informazioni che aveva reso ai Carabinieri il 19/04/2022), aveva fornito una versione differente (secondo cui aveva invece visto la donna rovistare nel suo zaino e nelle sue tasche), precisando che, dopo che il NOME gli aveva spruzzato negli occhi lo spray
urticante, non ci vedeva più, avendo la vista annebbiata, e che, verosimilmente, era stato indotto a ritenere che fosse stata la COGNOME ad asportargli il portafoglio perché l’aveva vista vicina al NOME nelle immagini riprese dalle telecamere cittadine, mentre non aveva mai dichiarato quanto era stato verbalizzato dal Carabinieri il 19/04/2022.
Lo Haixhiu, pertanto, come è stato correttamente reputato dalla Corte d’appello di Firenze (pag. 10 della sentenza impugnata), non era stato ritenuto inattendibile dal G.i.p. del Tribunale di Firenze, ma, semplicemente, lo stesso G.i.p. aveva preso atto delle dichiarazioni dibattimentali che erano state rese dalla persona offesa e della spiegazione che, sempre nel dibattimento, la stessa persona offesa aveva dato in ordine alle proprie differenti precedenti versioni, alla luce delle quali dichiarazioni e spiegazioni era pervenuto a una pronuncia di assoluzione della COGNOME, peraltro confermando che «il reato di rapina si già consumato, avendo il NOME già consolidato il possesso della res sottratta».
Il secondo motivo e il terzo motivo – i quali possono essere esaminati congiuntamente – sono manifestamente infondati.
2.1. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta che la Corte d’appello di Firenze abbia negato la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale per acquisire due certificati di stato di famiglia e un certificato di cittadinanza di NOME COGNOME indagini anagrafiche su NOME COGNOME.
A tale proposito, si deve rammentare che, nel giudizio d’appello, la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, prevista dall’art. 603, comma 1, cod. proc. pen., è subordinata alla verifica dell’incompletezza dell’indagine dibattimentale svolta in primo grado e alla conseguente constatazione del giudice di non poter decidere allo stato degli atti senza una rinnovazione istruttoria. Tale accertamento è rimesso alla valutazione discrezionale del giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità se correttamente motivata (Sez. 6, n. 8936 del 13/01/2015, COGNOME, Rv. 262620-01; Sez. 4, n. 18660 del 19/02/2004, COGNOME, Rv. 228353-01; Sez. 4, n. 4981 del 05/12/2003, dep. 2004, COGNOME, Rv. 22966601).
L’impossibilità di decidere allo stato degli atti sussiste unicamente quando i dati probatori già acquisiti siano incerti, nonché quando l’incombente richiesto sia decisivo, nel senso che lo stesso possa eliminare le eventuali incertezze ovvero sia di per sé oggettivamente idoneo a inficiare ogni altra risultanza (Sez. 6, n. 20095 del 26/02/2013, COGNOME, Rv. 256228-01; Sez. 3, n. 35372 del 23/05/2007, COGNOME, Rv. 237410-01).
Nel caso di specie, la Corte d’appello di Firenze ha dato conto delle ragioni per le quali ha ritenuto insussistente il presupposto di legge della necessità della sollecitata rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, argomentando la natura
meramente congetturale e scarsamente verosimile delle deduzioni della difesa dell’imputato, atteso che: a) lo NOME aveva mostrato di indicare in modo improprio le relazioni con le persone con le quali sentiva dei legami affettivi, come appunto si doveva ritenere avere fatto parlando di una madre adottiva; b) la compagna dello stesso NOME, con una figlia piccola, era verosimilmente non la donna cinquantenne che compariva nel suo stato di famiglia ma un’altra donna che non conviveva con la persona offesa; c) la cittadinanza albanese dello COGNOME non incideva in alcun modo sulla valutazione della sua credibilità; d) la difesa dell’imputato, in sede di controesame della persona offesa, non le aveva chiesto alcuna specificazione in ordine allo zio adottivo NOME COGNOME.
Tale motivazione appare congrua e logicamente corretta, con la conseguenza che la discrezionale valutazione della Corte d’appello di Firenze di potere decidere allo stato degli atti non è censurabile in questa sede di legittimità.
2.2. Con lo stesso secondo motivo, il ricorrente appare comunque contestare, più in generale, la valutazione della Corte d’appello di Firenze di attendibilità dell dichiarazioni della persona offesa NOME COGNOME.
Con il terzo motivo, il ricorrente contesta invece la valutazione di inattendibilità delle dichiarazioni dell’allora imputata in un procedimento connesso NOME.
A tale proposito, si deve anzitutto richiamare il principio, affermato dalla costante giurisprudenza di legittimità, secondo il quale occorre effettuare un rigoroso riscontro della credibilità soggettiva e oggettiva della persona offesa, specie se costituita parte civile, accertando l’assenza di elementi che facciano dubitare della sua obiettività, senza la necessità, però, della presenza di riscontri esterni, stabilita dall’art. 192, comma 3, cod. proc. pen. per il dichiarante coinvolt nel fatto (ex plurimis: Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 253214-01; Sez. 5, n. 12920 del 13/02/2020, COGNOME, Rv, 279070-01; Sez. 5, n. 21135 del 26/03/2019, S., Rv. 275312-01; Sez. 2, n. 41751 del 04/07/2018, COGNOME, Rv. 274489-01; Sez. 2, n. 43278 del 24/09/2015, COGNOME, Rv. 265104-01; Sez. 5, n. 1666 del 08/07/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 261730-01).
Le Sezioni Unite hanno anche statuito che «la valutazione della credibilità della persona offesa dal reato rappresenta una questione di fatto che ha una propria chiave di lettura nel compendio motivazionale fornito dal giudice e non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice non sia incorso in manifest contraddizioni» (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, cit.; più di recente: Sez. 4, n. 10153 del 11/02/2020, C., Rv. 278609-01).
Così come, più in generale, non è sindacabile in sede di legittimità, salvo il controllo sulla congruità e logicità della motivazione, la valutazione della prova testimoniale operata dal giudice di merito, al quale spetta il giudizio sulla rilevanza
e sull’attendibilità di tale fonte di prova (Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, COGNOME, Rv. 271623-01; Sez. 2, n. 20806 del 05/05/2011, COGNOME, Rv. 25036201).
Costituisce, ancora, un principio consolidato della giurisprudenza della Corte di cassazione quello secondo cui non è sindacabile in sede di legittimità, salvo il controllo sulla congruità e logicità della motivazione, la valutazione del giudice di merito, cui spetta il giudizio sulla rilevanza e attendibilità delle fonti di prova, c contrasti testimoniali o la scelta tra divergenti versioni e interpretazioni dei fa (Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, D’COGNOME, Rv. 271623-01; Sez. 2, n. 20806 del 05/05/2011, COGNOME, Rv. 250362-01).
Nel caso in esame, le conformi sentenze dei giudici di merito hanno non solo ampiamente motivato, senza incorrere in manifeste contraddizioni, in ordine all’attendibilità del racconto dello NOME (pagg. 4-5 della sentenza di primo grado; pagg. 8-10 della sentenza di secondo grado), ma hanno anche evidenziato come le dichiarazioni accusatorie che lo stesso NOME aveva reso nei confronti del NOME fossero state riscontrate sia dalle immagini del sistema di videosorveglianza sia da quanto era attestato nel referto del pronto soccorso presso il quale la persona offesa si era recata, dal quale risultava l’arrossamento dei suoi occhi compatibile con l’effetto dello spray urticante che egli aveva affermato esservi stato spruzzato dall’imputato.
Le stesse conformi sentenze dei giudici di merito hanno altresì ampiamente motivato, sempre senza incorrere in manifeste contraddizioni, in ordine all’inattendibilità del racconto di NOME COGNOME (pagg. 7-8 della sentenza di primo grado; pag. 10 della sentenza di secondo grado), evidenziando anche le contraddizioni tra la versione dei fatti che era stata data dalla stessa COGNOME e la versione dei fatti che era stata data dall’imputato NOME in sede di esame.
A fronte di ciò, cioè di una logica valutazione delle dichiarazioni della persona offesa, di NOME COGNOME e del complessivo compendio probatorio, le doglianze del ricorrente appaiono sostanzialmente dirette a sollecitare una diversa e alternativa lettura dei suddetti atti processuali, il che non è consentito fare in sede d legittimità, atteso che il sindacato della Corte di cassazione non può mai implicare una rivisitazione della ricostruzione del fatto, attraverso una nuova valutazione delle emergenze processuali finalizzata a individuare percorsi logici alternativi al fine di inficiare il convincimento che è stato espresso dal giudice del merito.
Il quarto motivo non è consentito.
La sentenza di primo grado non aveva infatti attribuito al NOME l’aggravante della rapina dell’essere stata la violenza o minaccia commessa da più persone riunite ma solo l’aggravante dell’essere stata la violenza o minaccia commessa con armi (pag. 9 della sentenza di primo grado).
La prima delle aggravanti menzionate, del resto, come risulta dal capo d’imputazione («Con l’aggravante dell’uso dell’arma e del nesso teleologico»), non era stata contestata all’imputato.
Pertanto, l’assoluzione di NOME COGNOME non comportava né l’esclusione di tale mai applicata circostanza aggravante delle più persone riunite né, conseguentemente, alcuna relativa incidenza sul trattamento sanzionatorio.
Il quinto motivo è manifestamente infondato.
Si deve anzitutto rilevare che, sotto le vesti del vizio di violazione di legge, ricorrente, in realtà, evidenzia delle ragioni in fatto, relative al contenuto de immagini che furono riprese dalle telecamere di videosorveglianza, per giungere a conclusioni differenti in ordine alla valenza probatoria di tali immagini, il che non è evidentemente consentito fare in sede di legittimità.
Peraltro, come è stato argomentato dai giudici di merito, la persona offesa, le cui dichiarazioni sono state ritenute attendibili con una motivazione che, come si è detto esaminando il secondo motivo, risulta priva di manifeste contraddizioni, aveva riferito che il NOME gli aveva puntato alla gola qualcosa che somigliava a un coltello e gli aveva spruzzato negli occhi una sostanza urticante (pag. 5 della sentenza di primo grado); circostanza, quest’ultima, che era confermata dal già menzionato referto del pronto soccorso.
Né appare illogica, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, la valorizzazione, da parte degli stessi giudici di merito, del fatto che il testimon NOME COGNOME aveva riferito che, nel corso dei fatti di cui al capo B) dell’imputazione, i quali erano avvenuti cinque giorni prima, il NOME aveva utilizzato un coltello e uno spray urticante, atteso che tale circostanza, ancorché relativa ad altri fatti, appare logicamente dimostrativa sia della disponibilità, capo all’imputato, dei suddetti coltello e spray urticante, sia del modus operandi del NOME.
5. Il sesto motivo è manifestamente infondato.
Anche con riguardo a tale motivo, si deve rilevare che, sotto le vesti del vizio di violazione di legge, il ricorrente, in realtà, continua a sollecitare una differen valutazione del significato probatorio da attribuire alle diverse prove, sia con riguardo all’asserita mancata sottrazione allo COGNOME, oltre che della bicicletta, anche del portafogli e del suo contenuto (€ 1.000,00 e varie tessere) – come era stato attendibilmente riferito dallo COGNOME, avendo, inoltre, i giudici di merito adeguatamente motivato anche in ordine al mancato ritrovamento di quest’ultima refurtiva (pagg. 6-7 della sentenza di primo grado) – sia con riguardo alle lesioni riportate dalla persona offesa a seguito dello spruzzo, nei suoi occhi, della sostanza urticante. Sollecitazione che non è consentito fare in sede di legittimità.
Ciò posto, in punto di diritto, la motivazione della Corte d’appello di Firenze in ordine al diniego della circostanza attenuante della rapina dell’avere cagionato alla persona offesa un danno patrimoniale di speciale tenuità risulta pienamente conforme al principio, affermato dalla Corte di cassazione, secondo cui, ai fini della configurabilità della suddetta circostanza attenuante con riferimento al delitto di rapina, non è sufficiente che il bene mobile sottratto sia di modestissimo valore economico (circostanza qui esclusa in fatto), ma occorre valutare anche gli effetti dannosi connessi alla lesione della persona contro la quale è stata esercitata la violenza o la minaccia, attesa la natura plurioffensiva del delitto de quo, il quale lede non solo il patrimonio, ma anche la libertà e l’integrità fisica e morale della persona aggredita per la realizzazione del profitto. Ne consegue che, solo ove la valutazione complessiva del pregiudizio sia di speciale tenuità può farsi luogo all’applicazione dell’attenuante, sulla base di un apprezzamento riservato al giudice di merito e non censurabile in sede di legittimità, se immune da vizi logicogiuridici (Sez. 2, n. 50987 del 17/12/2015, COGNOME, Rv. 265685-01; Sez. 2, n. 19308 del 20/01/2010, COGNOME, Rv. 247363-01).
Il settimo motivo è manifestamente infondato.
Anche in questo caso, ancora una volta, il ricorrente ripropone censure in fatto o attinenti alla valutazione del significato probatorio da attribuire alle diverse prov (in particolare, alle dichiarazioni del testimone NOME COGNOME, il quale avrebbe asseritamente fornito una «ricostruzione fallace»), censure che non sono ammissibili in sede di legittimità.
In ogni caso, anche a volere ammettere che, come sostenuto dal ricorrente, il COGNOME avesse usato violenza nei confronti del COGNOME (peraltro, diversamente da quanto affermato nel ricorso, tutt’altro che «estrane al capo d’imputazione», nel quale è invece espressamente indicato) – che gli aveva bloccato il braccio mentre lo stesso COGNOME stava cercando di sfilare il telefono cellulare dalla tasca di NOME COGNOME – soltanto spruzzandogli addosso lo spray urticante (e non usando anche un coltello), il reato di tentata rapina impropria aggravata attribuito all’imputato risulterebbe comunque integrato, atteso l’utilizzo, da parte del COGNOME, della violenza, costituita dallo spruzzo dello spray urticante (che costituisce un’arma: Sez. 2, n. 14608 del 14/043/2023, COGNOME, Rv. 284404-01), finalizzata a scrollarsi di dosso il COGNOME e a procurarsi, così, l’impunità, e considerato altresì che, nella rapina impropria, la violenza o minaccia possono essere poste in essere dall’agente anche prima dell’impossessamento del bene e nei confronti, oltre che del soggetto passivo, anche di terzi (Sez. 2, n. 29251 del 08/09/2020, Borrelli, Rv. 279813-01).
Pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc.
pen., al pagamento delle spese del procedimento, nonché, essendo ravvisabili profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 22/03/2024.