Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 15662 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 15662 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 27/03/2025
appello aveva di fatto omesso di rispondere sulle plurime censure in tal senso sollevate con l’atto di appello, rendendo una motivazione apparente ed in violazione di legge, atteso anche l’argomento dirimente, emergente dalla ordinanza cautelare allegata, relativo ad una specifica imputazione a carico del COGNOME per intestazione fittizia (512-bis, 416-bis.1 cod. pen. proprio con riferimento alla RAGIONE_SOCIALE). La difesa ha osservato che dalla motivazione della Corte di appello Ł emersa una oggettiva incertezza argomentativa nell’individuare la posizione del COGNOME nell’ambito della RAGIONE_SOCIALE (pag. 28 del ricorso in particolare dove si specificava la progressiva identificazione della persona offesa come titolare di una azienda, soggetto al quale ricondurre alcune aziende, sebbene amministrate da altri soggetti, titolare di fatto del cantiere di INDIRIZZO). Tali circostanze, se debitamente considerate, avrebbero destrutturato il portato delle dichiarazioni del COGNOME, in assenza tra l’altro di qualsiasi elemento di riscontro alle stesse, mentre erano state allegate una serie di circostanze assolutamente indicative circa l’inattendibilità del suo narrato (a mero titolo esemplificativo: caratteristiche e sviluppo dell’area di cantiere in ipotesi raggiunta per i lavori in corso da richiesta estorsiva pag. 33 del ricorso; riconoscimento del COGNOME, atteso il rilevante cambiamento fisico dello stesso e il riferimento della persona offesa all’attuale caratterizzazione somatica dello stesso, del tutto diversa da quella ricorrente all’epoca dei fatti; modalità del riconoscimento in assenza dell’adozione di formalità previste ai sensi dell’art. 213 cod. proc pen.). La Corte di appello aveva reso una motivazione contraddittoria, manifestamente illogica oltre che apparente su diversi profili con particolare riferimento: – all’aver affermato che non era possibile stabilire se le foto mostrate fossero corredate o meno della generalità degli imputati, contrariamente a quanto emergente dalla informativa allegata, che riportava le foto dei ricorrenti con chiara indicazione delle loro generalità; – alla mancata risposta in ordine alle osservazioni difensive quanto all’essersi il COGNOME precostituito una versione difensiva in occasione della captazione della conversazione con la moglie COGNOME (attesa la mancanza di qualsiasi effettivo riscontro in ordine
all’incontro tra il COGNOME e il COGNOME presso il pub di Quarto, Buffalo Birr, nel novembre 2019, non apparendo a tal fine sufficiente richiamare la prenotazione del COGNOME, elemento del tutto neutro); alle modalità e caratteristiche del riconoscimento del COGNOME in presenza di una motivazione del tutto eccentrica che riferisce allo stress emotivo della persona offesa la descrizione dello stesso secondo caratteristiche somatiche e fisiche del tutto differenti da quelle presenti in epoca 2017.
4.3. Violazione di legge, violazione di norme processuali e vizio della motivazione in ogni sua forma in relazione all’art. 192 cod. proc. pen. e art. 416-bis.1 cod. pen. per avere ritenuto integrata la circostanza aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. Il ragionamento della Corte di appello sul tema Ł apodittico e la motivazione sostanzialmente apparente, essendo stata desunta tale circostanza dalla affermata richiesta di mettersi a posto con il sistema, atteso che loro erano quelli che comandavano all’epoca a Marano, nonostante tale condotta potesse effettivamente rientrare in una forma di ostentazione meramente provocatoria.
4.4. Violazione di legge, violazione di norme processuali e vizio della motivazione in ogni sua forma in relazione all’art. 192 cod. proc. pen. e art. 62-bis cod. pen. per omessa concessione delle circostanze attenuanti generiche sulla base di argomentazioni evidentemente viziate; la Corte di appello a pag. 13 ritiene che la difesa non abbia allegato elementi valutabili al fine della concessione delle circostanze attenuanti generiche, sebbene fosse stato evidenziato lo stato di incensuratezza del COGNOME. Il tema Ł stato disatteso con una mera formula di stile.
5. Ricorso Avv. COGNOME.
5.1. Violazione ed erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 210 cod. proc. pen., nonchØ vizio della motivazione in ogni sua forma in relazione all’art. 192 cod. proc. pen., in considerazione del rigetto della richiesta della difesa di escutere il COGNOME quale persona indagata in procedimento connesso, con le garanzie dell’art. 210 cod. proc. pen.; la affermazione della Corte di appello Ł del tutto apodittica, essendo emerso senza alcun dubbio il coinvolgimento dello stesso (indagato per concorso esterno in associazione per delinquere di stampo camorristico) in consorterie criminali radicate ed anche collegate al contesto territoriale in cui maturava, asseritamente, la condotta ascritta al COGNOME.
5.2. Violazione di legge e vizio della motivazione in relazione all’art. 629 cod. pen.; la Corte di appello ha ritenuto la fondatezza della ipotesi accusatoria con motivazione apparente, soprattutto in ordine alle modalità e caratteristiche del riconoscimento del COGNOME (quanto: – all’età dello stesso; – all’averlo la persona offesa riconosciuto sulla base di una foto di giornale; – all’avere però consegnato la somma di denaro a soggetto diverso da quello riconosciuto sul giornale; – alla descrizione del Nuvoletta con fattezze fisiche identiche a quelle attuali piuttosto che con riferimento a quelle sussistenti al momento della richiesta; – alle modalità del riconoscimento in fase di indagine). La difesa ha rilevato la ricorrenza di evidenti incongruenze e manifesta illogicità della decisione quanto alla prenotazione presso il ristorante, alla mancanza di connessione tra il Vitiello e la società RAGIONE_SOCIALE, alla credibilità della persona offesa perchØ chiaramente collegata ad ambienti criminali, alla contraddittorietà della sue dichiarazioni anche in ordine al pagamento delle somme estorte, in mancanza di qualsiasi prova della ricorrenza della minaccia, anche implicita nei confronti dello stesso COGNOME.
5.3. Violazione di legge e vizio della motivazione perchØ manifestamente illogica quanto alla ricorrenza della aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., non apparendo a tal fine sufficiente un mero richiamo al contesto della criminalità organizzata nell’ambito territoriale campano, mancando qualsiasi riferimento esplicito a consorterie criminali radicate nella zona ed al collegamento con le stesse, mentre il giudice di appello avrebbe dovuto adeguatamente considerare la posizione del COGNOME e la sua attestata vicinanza ad organizzazioni criminali radicate sul territorio.
5.4. Violazione di legge e vizio della motivazione perchØ manifestamente illogica in relazione agli artt. 629, comma secondo, 628, comma terzo, n. 1 cod. pen.; la presenza di piø persone riunite Ł stata erroneamente ritenuta, attesa l’asserita congiunta presenza del Nuvoletta e dell’Orlando presso l’agriturismo Le Vigne; in tal senso Ł stata evocata la decisione delle Sezioni Unite Alberti e si Ł sostenuto come i principi ivi affermati siano oggettivamente incompatibili con il frazionamento della azione estorsiva, attesa la presenza del COGNOME e dell’Orlando presso l’agriturismo non congiuntamente, ma in momenti diversi.
5.5. Violazione di legge e vizio della motivazione perchØ manifestamente illogica quanto alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, avendo la Corte di appello utilizzato solo mere formule di stile e reso una motivazione sostanzialmente apodittica sul punto.
6. Ricorso COGNOME (Avv. COGNOME)
6.1. Violazione di legge e vizio della motivazione in ordine alla valutazione della prova con riferimento alla individuazione fotografica ed alle sommarie informazioni del 30/09/2022; sin dal giudizio di appello era stata contestata la valutazione delle prove effettuate dal giudice di primo grado, confermata dalla Corte di appello con motivazione stereotipata e priva di autonoma considerazione; erano state evidenziate numerose discrasie, non potendo bastare il richiamo alle dichiarazioni della persona offesa per rendere credibile il riconoscimento effettuato in mancanza di garanzie. La doglianza Ł stata superata con il richiamo al criterio della prova atipica liberamente valutabile, e pur tuttavia si era osservato come le stesse attività di indagine (nota del 12/11/2020) si fossero concentrate nel mostrare solo due fotografie, senza redigere alcun atto o annotazione nella immediatezza; il riconoscimento Ł stato riportato dai Carabinieri negli atti di indagine, ma non risulta alcuna dichiarazione diretta della persona offesa in mancanza di verbalizzazione della stessa. Le successive dichiarazioni della persona offesa, che si era recata in epoca settembre 2022 presso i Carabinieri per un ulteriore riconoscimento, sono poco credibili e contraddittorie, tanto che la stessa aveva affermato di avere riconosciuto il ricorrente sulla base di una foto di giornale e non sulla base della informale sottoposizione allo stesso di due fotografie in epoca 2020. Infine, la difesa ha osservato come la motivazione della Corte di appello sul punto sia da ritenere contraddittoria e sostanzialmente apparente quando afferma che il riconoscimento sarebbe avvenuto regolarmente davanti al Pubblico ministero, atteso che la memoria della persona offesa era stata già condizionata dalla esibizione di due sole foto, senza alcun altro elemento di confronto, in epoca 2020. Nella prospettazione difensiva l’COGNOME risulta riconosciuto solo sulla base dell’appellativo ‘o zio’ riferito dal COGNOME, in assenza di elementi effettivamente individualizzanti, anche considerato che l’aver mostrato le foto al COGNOME in epoca 2020, con nome e cognome in calce, rappresenta una induzione alla individuazione, con conseguente manipolazione della memoria.
6.2. Violazione di legge e vizio della motivazione in relazione all’art. 192 cod. proc. pen. in ordine alla individuazione del ricorrente in mancanza di riscontri, essendosi la Corte di appello basata su elementi del tutto equivoci; la motivazione sul punto avrebbe dovuto essere piø pregnante, anche considerato che il ricorrente NOME era latitante da oltre 16 anni.
6.3. Violazione di legge in relazione all’art. 99 cod. pen. per avere il giudice di merito applicato per due volte la recidiva, utilizzata sia per determinare la pena base che come circostanza aggravante, che ha comportato l’ulteriore aumento di un anno; il giudice di merito avrebbe dovuto applicare l’art. 63, comma quarto, cod. pen.; inoltre la difesa ha evidenziato di avere esplicitamente proposto un motivo di appello con il quale era stata chiesta l’esclusione della recidiva attesa la risalenza dell’ultimo precedente (epoca 2010 per fatti accaduti nel 1999), ma sul punto la motivazione si Ł caratterizzata per apparenza, atteso l’incomprensibile critica riferita alla sentenza della Corte di cassazione che aveva escluso la recidiva rispetto ad altro fatto giudicato con sentenza
divenuta definitiva in data 02/07/2021.
L’avv. COGNOME ha presentato due motivi aggiunti approfondendo i temi già proposti in ordine alla qualità da riferire alla persona offesa, richiamando a supporto ulteriore e nuova produzione documentale.
Il Procuratore generale ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi devono essere rigettati perchØ proposti con motivi infondati, in parte non consentiti e generici.
Prima di esaminare separatamente i motivi di ricorso per ciascun ricorrente Ł opportuno affrontare alcune questioni di diritto, inerenti ad alcuni dei motivi di ricorso proposti con argomentazioni sovrapponibili. In tal senso si deve precisare come ci si trovi di fronte ad una affermazione conforme di responsabilità da parte dei due giudici di merito a seguito di richiesta di rito abbreviato formulata dai ricorrenti in primo grado.
2.1. La Corte di appello ha pienamente condiviso, con motivazione logica e persuasiva, la decisione del giudice di primo grado, ricostruendo analiticamente la posizione e le condotte direttamente imputabili ai ricorrenti. In tal senso, la giurisprudenza di legittimità ha ripetutamente chiarito che la sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complessivo corpo argomentativo, specie quando i motivi di gravame non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate e ampiamente chiarite nella pronuncia di primo grado (Sez. U, n. 6682 del 04/02/1992, COGNOME, Rv. 191229-01; Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218-01; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595-01; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, dep. 2012, COGNOME, Rv. 252615-01; Sez. 6, n. 8309 del 14/01/2021, COGNOME). Pertanto, in presenza di una doppia conforme anche nell’iter motivazionale, il giudice di appello non e tenuto a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente ogni risultanza processuale, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale, egli spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente i fatti decisivi. Ne consegue che, in tal caso, debbono considerarsi implicitamente disattese le argomentazioni che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (Sez. 2, n. 46261 del 18/09/2019, COGNOME, Rv. 277593-01; Sez. 1, n. 37588 del 18/06/2014, COGNOME, Rv. 260841-01; Sez. 3, n. 13266 del 19/02/2021, Quatrini). Neppure la mancata enunciazione delle ragioni per le quali il giudice ritiene non attendibili le prove contrarie, con riguardo all’accertamento dei fatti e delle circostanze che si riferiscono all’imputazione, determina la nullità della sentenza d’appello per mancanza di motivazione, se tali prove non risultano decisive e se il vaglio sulla loro attendibilità possa, comunque, essere ricavato per relationem dalla lettura della motivazione (Sez. 3, n. 8065 del 21/09/2018, dep. 2019, C., Rv. 275853-01): ciò e riscontrabile nella sentenza impugnata, che ha esaminato ed espressamente confutato le deduzioni difensive negli aspetti fondamentali.
In sede di legittimità, quindi, non e censurabile la sentenza per il silenzio su una specifica doglianza prospettata con il gravame, quando questa risulti disattesa dalla motivazione complessivamente considerata, essendo sufficiente escludere la ricorrenza del vizio previsto dall’art. 606, comma 1 lett. e), cod. proc. pen., che essa evidenzi una ricostruzione dei fatti che
implicitamente conduca alla reiezione della prospettazione difensiva, senza lasciare spazio a una valida alternativa (Sez. 2, n. 35817 del 10/07/2019, Sirica, Rv. 276741-01; Sez. 5, n. 6746 del 13/12/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275500-01; Sez. 2, n. 1405 del 10/12/2013, dep. 2014, Cento, Rv. 259643-01; Sez. 5, n. 607 del 14/11/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 256879-01).
2.2. Inoltre Ł stata evocato, seppure nell’ambito dell’argomentare a supporto del motivo e delle violazioni evocate (con particolare riferimento alle dichiarazioni della persona offesa e dei riconoscimenti dalla stessa effettuati), un travisamento della prova; tuttavia in presenza di una doppia conforme nel merito, ovvero di decisioni che, nei due gradi, giungano a conclusioni analoghe sulla scorta di una omologa valutazione delle medesime emergenze istruttorie, vige il principio per cui la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado sia quando operi attraverso ripetuti richiami a quest’ultima sia quando, per l’appunto, adotti gli stessi criteri utilizzati nella valutazione delle prove, con la conseguenza che le due sentenze possono essere lette in maniera congiunta e complessiva ben potendo integrarsi reciprocamente dando luogo ad un unico complessivo corpo decisionale (Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 27721801; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, NOME, 252615-01; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595-01). Vero, poi, che tra i vizi riconducibili al novero di quelli denunziabili ai sensi dell’art. 606 comma l lett. e) cod. proc. pen. vi Ł quello del travisamento che, come Ł noto, Ł ravvisabile nel caso di contraddittorietà della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato, ovvero da altri atti del processo indicati nei motivi di gravame, ovvero dall’errore cosiddetto revocatorio, che cadendo sul significante e non sul significato della prova, si traduce nell’utilizzo di una prova inesistente per effetto di una errata percezione di quanto riportato dall’atto istruttorio ovvero nella omessa valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia (cfr., Sez. 5, n. 18542 del 21/01/2011, COGNOME, Rv. 250168-01; Sez. 2, n. 47035 del 03/10/2013, Giugliano, Rv. 257499-01; Sez. 5, n. 8188 del 04/12/2017, COGNOME, Rv. 272406-01; Sez. 2, n. 27929 del 12/06/2019, PG c/COGNOME, Rv. 276567-01). In altri termini, come si Ł chiarito, il travisamento deve avere ad oggetto una prova che non sia stata affatto valutata ovvero che sia stata considerata dal giudice di merito in termini incontrovertibilmente difformi, non già dal suo significato, ma dal suo significante e che venga individuata specificamente e puntualmente, oltre che idonea a disarticolare il ragionamento su cui si fonda la decisione impugnata. ¨ necessario, dunque, che la relativa deduzione abbia un oggetto definito e inopinabile, tale da evidenziare la palese e non controvertibile difformità tra il senso intrinseco della dichiarazione (o di altro elemento di prova) e quello tratto dal giudice, con conseguente esclusione della rilevanza di presunti errori da questi commessi nella valutazione del significato probatorio della dichiarazione medesima (Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, S, Rv. 277758-01, secondo cui il vizio di travisamento della prova Ł ravvisabile ed efficace solo se l’errore accertato sia idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa dell’elemento frainteso o ignorato, fermi restando il limite del devolutum in caso di cosiddetta doppia conforme e l’intangibilità della valutazione nel merito del risultato probatorio). Si Ł dunque chiarito che in virtø della previsione di cui all’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., novellata dall’art. 8 l. n. 46 del 2006, il controllo del giudice di legittimità si può estendere alla omessa considerazione o al travisamento della prova, purchØ, però, si tratti di una prova decisiva; si Ł inoltre sottolineato che Ł deducibile in sede di legittimità e rientra, pertanto, in detto controllo soltanto l’errore per l’appunto revocatorio, in quanto il rapporto di contraddizione esterno al testo della sentenza impugnata, introdotto con la suddetta novella, non può che essere inteso in senso stretto, quale rapporto di negazione sulle premesse, mentre ad esso Ł estraneo ogni discorso confutativo sul significato della prova, ovvero di mera contrapposizione dimostrativa, considerato che nessun elemento di prova, per quanto significativo, può essere interpretato per brani, nØ fuori dal contesto in cui Ł inserito; ne deriva che gli aspetti del
giudizio che consistono nella valutazione e nell’apprezzamento del significato degli elementi acquisiti attengono interamente al merito e non sono rilevanti nel giudizio di legittimità se non quando risulti viziato il discorso giustificativo sulla loro capacità dimostrativa e che, pertanto, restano inammissibili, in sede di legittimità, le censure che siano nella sostanza rivolte a sollecitare soltanto una rivalutazione del risultato probatorio (Sez. 6, n. 9923 del 05/12/2011, S., Rv. 252349-01; Sez. 5, n. 8094 del 11/01/2007, COGNOME, Rv. 236540-01; Sez. 2, n. 7380 del 11/01/2007, Messina, Rv. 23571601).
2.3. Occorre, inoltre, rilevare come i motivi proposti dai ricorrenti si caratterizzino per l’avere nella maggior parte della loro articolazione reiterato argomenti già introdotti con l’atto di appello. I ricorrenti hanno riproposto le proprie argomentazioni difensive al fine di giungere ad una lettura alternativa del merito, senza realmente confrontarsi con la motivazione logica e persuasiva della Corte di appello, che ha analiticamente ricostruito le condotte poste a base della condanna degli stessi. Le difese hanno, di fatto, sollecitato una rilettura delle prove acquisite in dibattimento, in contrasto con il diritto vivente. Deve essere, in tal senso, sottolineato che Ł preclusa alla Corte di cassazione la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito attraverso una diversa ed alternativa lettura, sia pure anch’essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o comunque di attendibilità delle fonti di prova (Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, COGNOME Rv. 273217-01, Sez. 5, n. 15041 del 24/10/2018, COGNOME, Rv. 275100-01, Sez. 4, 1219 del 14/09/2017, COGNOME, Rv. 271702-01, Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, COGNOME Rv. 277758-01, Sez. 2, n. 7986 del18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv. 269217-01; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482-01; Sez. 5, n. 15041 del 24/10/2018, Battaglia, Rv. 275100-01).
Da ciò consegue l’inammissibilità di tutte le doglianze che criticano la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento, rappresentando tutto ciò una non ammissibile interferenza con la valutazione del fatto riservata al giudice del merito (Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747-01, Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, O., Rv. 262965-01).
Il primo e il secondo motivo di ricorso proposti nel ricorso dell’Avv. COGNOME e il primo e secondo motivo di ricorso proposti nel ricorso dell’Avv. COGNOME, nell’interesse di NOME COGNOME, possono essere trattati congiuntamente, attesa la stretta correlazione tra gli stessi e gli argomenti difensivi introdotti (in gran parte sovrapponibili). I motivi appena richiamati sono infondati per le ragioni che seguono.
3.1. In ordine logico deve essere previamente affrontata la censura proposta nell’ambito del primo motivo di ricorso dell’Avv. COGNOME e dell’Avv. COGNOME, con la quale Ł stata contestata la decisione della Corte di appello che ha escluso la necessità di sentire la persona offesa NOME COGNOME ai sensi dell’art. 210 cod. proc. pen. La questione di diritto posta Ł centrale nella considerazione delle difese di entrambi i ricorrenti e si collega necessariamente anche con le ulteriori censure, articolate da entrambi i difensori nei motivi in esame appena richiamati, relative alla affermazione della responsabilità del ricorrente Nuvoletta proprio sulla base delle dichiarazioni della persona offesa. In via preliminare, occorre osservare come il tema fosse stato posto esattamente negli stessi termini con i motivi di appello ed Ł stato esplicitamente affrontato dalla Corte di appello (pag.6 e seg.). I motivi sono dunque sul tema reiterativi, come tali non consentiti, in mancanza di un effettivo confronto con la motivazione, che non si presta a censure in questa sede. Il giudice di
secondo grado – dopo aver analiticamente esposto i motivi di ricorso del COGNOME sul tema della attendibilità della persona offesa e del suo coinvolgimento nella consorteria camorristica riferibile al clan COGNOME, richiamando specificamente la documentazione allegata, l’imputazione provvisoria riferita alla persona offesa quale imprenditore colluso con il clan predetto – ha escluso motivatamente la ricorrenza di qualsiasi forma di connessione con l’imputazione oggetto del presente procedimento, sottolineando la sostanziale genericità della censura per come proposta già nell’ambito dei motivi di appello. Nell’affrontare il tema relativo alla qualità della persona offesa nel presente procedimento, dopo aver evidenziato la portata degli elementi di prova posti a base della affermazione di responsabilità da parte del primo giudice, la Corte di appello ha preso esplicitamente atto del coinvolgimento del COGNOME in altro procedimento penale, ma ha ritenuto, in modo incensurabile, che le condotte ivi contestate non fossero in alcun modo collegate o incidenti sulla attuale imputazione, escludendo anche un collegamento probatorio, richiamando a sostegno della propria affermazione la massima di esperienza (pag. 7) con la quale sono state sottolineate le caratteristiche dell’ambito territoriale di riferimento. La difesa sostanzialmente non condivide tale soluzione e reitera in questa sede una serie di argomentazioni volte a demolire la credibilità della persona offesa in quanto soggetto sostanzialmente colluso con altro clan, senza tuttavia chiarire come tale collusione possa incidere quanto alla condotta totalmente diversa imputata al COGNOME in questa sede, caratterizzata da distinto ambito territoriale e da diversa direzione della intenzione dei concorrenti nel reato, come evidenziato dalle specifiche argomentazioni dei giudici di merito. Nella considerazione della Corte di appello Ł stata oggettivamente esclusa la ricorrenza di un qualsivoglia rapporto di interferenza tra i due procedimenti penali e tra l’odierno procedimento e i diversi accertamenti ed indagini posti a carico del Vitiello anche a livello probatorio. La Corte di appello ha esplicitamente richiamato ed applicato, dunque, nell’ambito del proprio convincimento, in modo coerente, i principi enunciati dalle Sez. U Mills (Sez. U, n. 15208 del 25/02/2010, Mills, Rv. 246584-01). In tal senso si deve sottolineare come sia stato correttamente applicato il principio di diritto, che qui si intende ribadire, secondo il quale in tema di prova dichiarativa, allorchØ venga in rilievo la veste che può assumere il dichiarante, spetta al giudice il potere di verificare in termini sostanziali, prescindendo da indici formali quali l’eventuale già intervenuta iscrizione nominativa nel registro delle notizie di reato, l’attribuibilità allo stesso della qualità di indagato nel momento in cui le dichiarazioni stesse vengano rese, sicchØ il relativo accertamento si sottrae, se congruamente motivato, al sindacato di legittimità (ex multis, Sez. 5, n. 39498 del 25/06/2021, COGNOME, Rv. 282030-01; Sez. 6, n. 25425 del 04/03/2020, COGNOME, Rv.279606-01; Sez. 4, n. 46203 del 19/09/2019, COGNOME, Rv. 277947-01). La Corte di appello ha dunque chiarito, sulle istanze delle parti, oggi reiterate e richiamate, come non si possa ritenere sufficiente, al fine di diversamente connotare la posizione della persona offesa COGNOME, anche al fine di un suo esame, il solo fatto del coinvolgimento dello stesso in vicende potenzialmente suscettibili di dar luogo alla formulazione di addebiti penali a suo carico, ove tali addebiti non risultino effettivamente in alcun modo connessi, neanche probatoriamente, alla vicenda oggetto del presente procedimento. L’accertamento relativo a tale doglianza risulta in conclusione adeguatamente motivato e come tale si sottrae al sindacato di legittimità. Infine, occorre considerare come il ricorrente abbia chiesto di accedere al rito abbreviato, in alcun modo condizionato, con le conseguenze evidenti in ordine alla portata e valutazione della documentazione acquisita al fascicolo per il dibattimento e sua utilizzabilità ai sensi dell’art. 438, comma 6-bis, cod. proc. pen., oltre che quanto alla discrezionale valutazione in tema di rinnovazione istruttoria ai sensi dell’art. 603, comma 3, cod. proc. pen.
3.2. Ciò posto, occorre prendere in considerazione le ulteriori censure articolate nell’ambito dei motivi sopra richiamati dalle difese, che, sempre facendo leva sulla qualità che avrebbe dovuto asseritamente rivestire il COGNOME ex art. 210 cod. proc. pen., evidenziano
l’inattendibilità della persona offesa e del suo narrato al fine di ritenere integrata la condotta contestata con riferimento ad una pluralità di elementi specificamente richiamati in ricorso (caratteristiche e modalità del riconoscimento, tipologia del cantiere oggetto della richiesta estorsiva, ruolo del COGNOME rispetto alla RAGIONE_SOCIALE etc.). I motivi in tal senso posti presentano carattere sovrapponibile a quelli articolati in appello. Sono dunque reiterativi e in quanto tali non consentiti, in mancanza di un reale confronto con la motivazione resa dalla Corte di appello, del tutto esente da manifesta illogicità, apparenza o contraddittorietà. I ricorrenti cercano di introdurre in questa sede una non consentita lettura alternativa del merito, tra l’altro in presenza di una doppia decisione conforme. Devono sul punto essere richiamati i principi già enunciati ai § 2.1. e 2.2.
La Corte di appello ha esplicitamente motivato ritenendo attendibile la persona offesa sulla base di argomentazioni logiche e strutturate, considerando la ricorrenza di una serie di elementi a riscontro, oltre alla effettiva spontaneità e genuinità del racconto reso, anche tenuto conto delle modalità che portavano alla emersione della notizia di reato a carico degli odierni ricorrenti e rispondendo specificamente alle censure sollevate dalla difesa sui diversi profili in questa sede richiamati in termini assolutamente sovrapponibili ai motivi di appello (pag. 7 e seg. da leggere in relazione alle concordi considerazioni del giudice di primo grado, pag. 6 e seg.). Nel contestare ripetutamente la portata delle dichiarazioni della persona offesa e la valutazione effettuata dalla Corte di appello in modo conforme al giudice di primo grado, il ricorrente non si Ł confrontato con la giurisprudenza di legittimità che ha chiarito che quando si verte in un caso in cui Ł necessario esaminare l’attendibilità della persona offesa, non Ł obbligatoria la ricerca di conferme rispetto a quanto dichiarato: questa Corte infatti, anche quando prende in considerazione la possibilità di valutare l’attendibilità estrinseca della testimonianza della parte offesa attraverso l’individuazione di conferme esterne al dichiarato, si Ł sempre espressa in termini di opportunità e non di necessità, lasciando al giudice di merito un ampio margine di apprezzamento circa le modalità di controllo della attendibilità nel caso concreto (Sez. 5, n. 12920 del 13/02/2020, COGNOME, Rv. 279070-01 Sez. 1, n. 29732 del 24/06/2010, COGNOME, Rv. 248016-01). A ciò si deve aggiungere che costituisce principio incontroverso l’affermazione che la valutazione dell’attendibilità della parte offesa dal reato rappresenta una questione di fatto, che ha una propria chiave di lettura nel compendio motivazionale fornito dal giudice e non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice non sia incorso in manifeste contraddizioni, circostanza assolutamente non ricorrente nel caso in esame (Sez. 2, n. 41505 del 24/09/2013, COGNOME, Rv. 257241-01; Sez. 3, n. 8382 del 22/01/2008, COGNOME, Rv. 239342-01). La motivazione offerta dalla Corte territoriale Ł priva di vizi logici manifesti e decisivi e si presenta coerente sia con le indicazioni ermeneutiche fornite dalla Corte di legittimità, che con le emergenze processuali, fornendo una logica e coerente valutazione degli elementi che compongono il quadro probatorio a carico del ricorrente. Il ricorrente non si Ł quindi confrontato con le ragioni poste a fondamento della motivazione e con la giurisprudenza di legittimità che ha ribadito che Ł inammissibile il motivo di ricorso per cassazione che riproduce e reitera gli stessi motivi prospettati con l’atto di appello e motivatamente respinti in secondo grado, senza confrontarsi criticamente con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugnato, ma limitandosi, in maniera generica, a lamentare una presunta carenza o illogicità della motivazione ( Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, COGNOME, Rv. 276970-01). In tal senso si deve osservare come la Corte di appello, in senso conforme al giudice di primo grado, abbia esplicitamente affrontato i diversi temi devoluti richiamando : – il tema decisivo delle modalità con le quali Ł emersa la notizia di reato a carico del COGNOME (una intercettazione ambientale posta in essere in ambito di diverso procedimento penale), sottolineando la spontaneità evidente delle dichiarazioni captate in questa sede e disattendendo motivatamente la tesi alternativa, di fatto sfornita di qualunque allegazione, quanto alla precostituzione di elementi a suo favore da parte del COGNOME in mancanza di qualsiasi
altro elemento che potesse far supporre o ipotizzare una conoscenza da parte dello stesso di indagini o verifiche relative al cantiere in questione; – la piena attendibilità ed utilizzabilità del riconoscimento effettuato dalla persona offesa nei confronti dei ricorrenti, mediante una ricostruzione specifica delle diverse fasi, del pieno riscontro documentale delle stesse, della non decisività delle discrasie eccepite dalla difesa (con particolare riferimento alle caratteristiche somatiche del Nuvoletta quanto al commento nella captazione richiamata dalle difese, che Ł stato evidentemente riferito al ricorrente nel ricordo recente dello stesso anche per immagini diversamente acquisite su mezzi di informazione ed ancora quanto alla età dello stesso, atteso il contesto nel quale venivano rese le dichiarazioni come evidenziato dalla Corte di appello e dal giudice di primo grado che specificava come l’età riferita rappresentava all’evidenza una percezione ed opinione personale e come tale soggettivamente elaborata, in presenza di elementi che rendevano evidente come anche rispetto alle fotografie esibite la differenza di età non fosse così evidente); – il rilievo del riconoscimento nelle sue diverse fasi e la rilevanza della prova atipica acquisita nella prima fase, disattendendo la censura difensiva in ordine ad un condizionamento della memoria e della effettiva riferibilità delle condotte ai ricorrenti, atteso che il COGNOME aveva avuto occasione di incontrare i ricorrenti in diverse occasioni, non solo legate alla consegna delle somme oggetto di richiesta estorsiva e, dunque, a prescindere dalla indicazione nominativa, era assolutamente certo sulla identità fisica dei soggetti rappresentati in fotografia in epoca 2020 (in tal senso anche il giudice di primo grado pag. 6 e seg. e il giudice di appello in senso conforme a pag. 8 e seg.); – il riscontro obiettivamente rilevante in ordine al dato riferito alla COGNOME da parte del COGNOME quanto all’aver incontrato il COGNOME presso un pub ristorante (attesa l’indagine espletata e gli atti acquisiti, che riscontravano la presenza della persona offesa in tale esercizio commerciale, tramite una applicazione elettronica, con verifica che non poteva essere certamente a conoscenza della persona offesa o dalla stessa utilizzata strumentalmente, elemento che trovava conferma anche nei dati riferibili alle celle telefoniche); – il certo coinvolgimento del COGNOME nel cantiere oggetto di attenzione da parte del clan camorristico riferibile ai ricorrenti, a prescindere dalla qualifica specifica allo stesso riferibile quanto alla RAGIONE_SOCIALE o alla tipologia dei lavori svolti (pag. 9 della sentenza di appello e pag. 10 della sentenza di primo grado in senso conforme); – la descrizione della condotta di avvicinamento con modalità tipicamente mafiose al fine di giungere ad una messa a posto del cantiere, con progressiva insistenza della pressione e minaccia al fine del raggiungimento dell’ingiusto profitto. Con tale motivazione il ricorrente non si confronta effettivamente, limitandosi ad una propria diversa ed alternativa proposta di lettura nel merito che rende il ricorso sul punto inammissibile, non ricorrendo all’evidenza una motivazione apparente o manifestamente illogica o contradditoria, nØ alcun travisamento dell’ampio compendio probatorio acquisito al fascicolo per il dibattimento ad esito della scelta di accedere al rito abbreviato. NØ rileva, Ł bene sottolinearlo, l’ulteriore richiamo alla documentazione irritualmente prodotta in vista della discussione, emergendo ancora una volta una serie di elementi a carico del COGNOME, in fase di indagine, e per condotte e contesti non direttamente collegati al presente procedimento, che evidenziano un coinvolgimento dello stesso in dinamiche economiche illecite non riferibili al caso di specie. In tal senso si deve ribadire come la struttura e la funzione del giudizio di cassazione diretto unicamente a verificare la sussistenza nel provvedimento impugnato degli errores in procedendo o in iudicando dedotti dalle parti, nei limiti dettati tassativamente dall’art. 606, comma 1, cod. proc. pen. – impediscano di prendere in considerazione elementi istruttori non presenti nel fascicolo al momento della decisione censurata con il ricorso. Non Ł, dunque, ritualmente valutabile l’ulteriore documentazione indicata dai ricorrenti e ogni altra documentazione non conosciuta dalla Corte di appello (Sez. 2, n. 2347 del 21/12/2023, dep. 2024, Tulliani, non mass.; cfr. anche Sez. 3, n. 5722 del 07/01/2016, COGNOME, Rv. 266390-01, che esclude l’ammissibilità di produzioni
probatorie che comportino un’attività di apprezzamento circa la loro validità formale e la loro efficacia nel contesto delle prove già raccolte e valutate dai giudici di merito). D’altronde, non a caso, l’art. 585, comma 4, cod. proc. pen. consente, nel giudizio di impugnazione, la formulazione di ‘motivi nuovi’, non anche la produzione di ‘documenti nuovi’ (Sez. 2, n. 34 126 del 05/06/2024, COGNOME, Rv. 286921-01, in motivazione, n.m. sul punto Sez. 2, n. 42052 del 19/06/2019, COGNOME, Rv. 277609-01; in termini, Sez. 2, n. 17356 del 28/03/2024, COGNOME, non mass.; Sez. 1, n. 42817 del 06/05/2016, COGNOME, Rv. 267801-01; Sez. 3, n. 5722 del 07/01/2016, COGNOME, Rv. 266390-01; Sez. 2, n. 1417 del 11/10/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 254302-01; Sez. 4, n. 3396 del 06/12/2005, dep. 2006, COGNOME, Rv. 233241-01). Ne consegue l’evidente infondatezza dei motivi aggiunti proposti nell’interesse del ricorrente, sostanzialmente reiterativi delle argomentazioni introdotte con il ricorso principale, e sostenuti da una allegazione non consentita in questa sede attesa la caratterizzazione del giudizio di legittimità.
I motivi proposti dalle difese del COGNOME quanto alla connotazione circostanziale della condotta ascritta e conseguente determinazione della dosimetria della pena (terzo e quarto motivo Avv. COGNOME e terzo, quarto e quinto motivo Avv. COGNOME) non sono consentiti in quanto meramente reiterativi dei motivi di appello, oltre che generici in assenza di effettivo confronto con la motivazione della Corte di appello, resa in senso conforme al giudice di primo grado sul punto.
4.1. Le difese hanno ritenuto che la motivazione resa in ordine al riconoscimento della circostanza aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. sia caratterizzata da ragionamento apodittico e da argomentazione manifestamente illogica e dunque in violazione di legge, atteso il mero richiamo alle caratteristiche del territorio interessato dalla richiesta estorsiva, senza considerare la portata della condotta che poteva essere letta come ostentazione meramente provocatoria e che avrebbe dovuto essere chiarita in relazione al ruolo del ricorrente nell’ambito del clan COGNOME. La censura anche in questo caso si risolve in una proposta di lettura alternativa degli elementi compiutamente valutati dalla Corte di appello, con motivazione che non si presta a censure in questa sede, in senso conforme al giudice di primo grado. La Corte di appello ha motivato in modo logico ed argomentato, in assenza di aporie, quanto alle caratteristiche della condotta per come aggravata, analizzando le caratteristiche della richiesta estorsiva, la progressione della richiesta secondo metodi tipici delle associazioni di stampo mafioso, l’evocazione del contesto di riferimento per la c.d. messa a posto, richiamando le connotazioni della associazioni per delinquere radicate sul territorio di riferimento, ricostruendo in modo chiaro la ricorrenza di una evocazione implicita, ma chiarissima a fine di incutere quello specifico timore conseguente alla immanente presenza e al controllo sul territorio esercitata dalla consorteria criminale di riferimento, accompagnata ad una minaccia invece esplicita quanto alle conseguenze in caso di mancato adempimento alla richiesta estorsiva (pag. 12 della sentenza di appello). La Corte di appello ha dunque riconosciuto, in modo del tutto conforme al giudice di primo grado (pag. 11), le modalità della condotta quale elemento risolutivo, insieme ai contenuti veicolati nei confronti della persona offesa, quanto alla ricorrenza della aggravante contestata, con ciò correttamente applicando il principio di diritto, che qui si intende ribadire, secondo il quale ricorre l’aggravante in questione quando l’evidente contiguità ad una associazione mafiosa si manifesti in relazione diretta e funzionale al fine di creare nella vittima una condizione di assoggettamento, come evidente riflesso del pericolo chiaramente, ma implicitamente prospettato, di trovarsi a fronteggiare le istanze a carattere prevaricatorio di un gruppo criminale a carattere mafioso e non di un criminale comune (Sez.5, n. 14867 del 26/01/2021, COGNOME, Rv. 281027-01; Sez. 2, n. 39424 del 09/09/2019, COGNOME, Rv. 277222-01). L’analisi della terminologia utilizzata, la finalità evocata, le modalità della richiesta, le minacce in ordine alle conseguenze in caso di mancato adempimento alla richiesta di
‘messa a posto’, la chiara evocazione all’esercizio di un potere a Marano, che non trova alcuna legittimazione o base legale quanto alla gestione dei lavori e degli appalti, sono elementi che sono stati considerati dalla Corte di appello, ampiamente riscontrabili e sintomatici delle caratteristiche della minaccia. Con tale motivazione il ricorrente non si confronta effettivamente, limitandosi a reiterare una propria diversa ed alternativa lettura dei dati acquisiti in giudizio non consentita in questa sede.
4.2. Non consentito perchØ reiterativo anche il motivo relativo alla ricorrenza della circostanza aggravante di cui all’art. 629, comma secondo, in relazione all’art. 628, comma terzo, n. 1 cod. pen. proposto nell’ambito del ricorso dell’Avv. COGNOME. La Corte di appello ha motivato in modo logico ed argomentato sul punto (pag. 12), in senso conforme al giudice di primo grado, richiamando specificamente il dictum delle Sez. U COGNOME (Sez. U, n. 21837 del 29/03/2012, COGNOME, Rv. 252518-01), ricostruendo specificamente la condotta posta in essere dai ricorrenti simultaneamente quanto meno al momento dell’incontro e formalizzazione della richiesta estorsiva presso l’agriturismo RAGIONE_SOCIALE, oltre che tenuto del primo accesso presso il cantiere in occasione del quale piø persone contattavano gli addetti al cantiere veicolando, con minaccia evidentemente silente ma chiaramente percepibile, anche attesa la pluralità di soggetti presenti, la necessità dell’ulteriore specifico momento di incontro per gli accordi relativi alla somma da consegnare per la c.d. messa a posto (pag. 12 sentenza di appello, pag. 11 sentenza di primo grado). Il ricorrente non si confronta anche con tale motivazione, limitandosi a sostenere l’errore della Corte di appello, in modo generico, limitandosi ad affermare, in assenza di coerente riscontro con gli atti acquisiti e con le dichiarazioni della persona offesa, che il COGNOME e l’Orlando non sarebbero stati presenti presso l’agriturismo insieme, circostanza smentita dalle emergenze processuali, senza tra l’altro confrontarsi con il complessivo argomentare della Corte di appello e del giudice di primo grado che richiamavano anche la presenza di piø soggetti con valenza intimidatoria, chiaramente rafforzata dal numero di persone, presso il cantiere. ¨ emersa dunque la portata rafforzativa derivante dalla compresenza dei ricorrenti e risulta pienamente rispettato, con motivazione immune da illogicità, il principio secondo il quale la circostanza aggravante speciale delle piø persone riunite richiede la simultanea presenza di non meno di due persone nel luogo ed al momento di realizzazione della violenza o della minaccia (Sez. U, n.21837 del 29/03/2012, COGNOME, Rv. 252518-01; Sez. 2, n. 671 del 23/10/2019, COGNOME, Rv. 277817-01; Sez. 2, n. 27368 del 08/05/2024, COGNOME, n.m. allo stato). La Corte di appello ha in tal senso richiamato la simultanea azione dei ricorrenti, chiaro indice di una unitaria e condivisa progettualità delinquenziale capace di rafforzare il potere intimidatorio azionato.
4.3. Generico, non consentito in quanto reiterativo, oltre che manifestamente infondato, il motivo di ricorso proposto da entrambi i difensori quanto alla mancata concessione al Nuvoletta delle circostanze attenuanti generiche ex art. 62-bis cod. pen. Nella prospettazione della difesa la Corte di appello avrebbe dovuto tener conto dello stato di incensuratezza del Nuvoletta, mentre era stata adottata una mera formula di stile. La censura non coglie nel segno, atteso che la Corte di appello ha specificamente argomentato (evidenziando tra l’altro la genericità del motivo di appello in assenza di qualsiasi allegazione quanto ad elementi positivamente valutabili) richiamando in senso ostativo la gravità delle condotte poste in essere e, dunque, la profonda offensività come elemento dirimente. Con tale argomentazione i ricorsi non si confrontano, così ricadendo in una evidente genericità della allegazione anche in questa sede. La Corte di appello non Ł incorsa dunque nella violazione di legge lamentata, nØ ricorre alcun travisamento o vizio della motivazione anche quanto allo stato di incensuratezza del ricorrente richiamato dalla difesa. In tal senso si deve richiamare il principio di diritto, costantemente affermato da questa Corte, e che qui si intende ribadire, secondo il quale il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può
essere legittimamente motivato dal giudice con l’assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la riforma dell’art. 62-bis, disposta con il d.l. 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente, non Ł piø sufficiente neanche il solo stato di incensuratezza dell’imputato. (Sez. 4, n. 32872 del 08/06/2022, COGNOME, Rv. 283489-01; Sez. 3, n. 24128 del 18/03/2021, De COGNOME, Rv. 281590-01; Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, COGNOME, Rv. 27098601; Sez. 3, n. 44071 del 25/09/2014, COGNOME, Rv. 260610-01; Sez. 3, n. 20664 del 16/12/2022, dep. 2023, Ventimiglia, non mass.).
5. Ricorso Orlando.
5.1. Il primo e il secondo motivo di ricorso – che possono essere trattati congiuntamente, attesa la proposizione di censure quanto alla affermazione di responsabilità ed alla modalità di riconoscimento del ricorrente da diverse prospettive argomentative (e conseguentemente quanto alla credibilità della persona offesa) – sono infondati. Il tema di diritto proposto dalla difesa Ł relativo alle circostanze e modalità con le quali la persona offesa Ł giunta a riconoscere i due odierni ricorrenti. Deve essere in tal senso ribadito quanto già affermato per il ricorrente COGNOME, ovvero la presenza di una motivazione argomentata e logica, del tutto priva di aporie, della Corte di appello, che ha escluso qualsiasi condizionamento della memoria e ritenuto la persona offesa del tutto credibile anche in ordine a tale riconoscimento (nello stesso senso il giudice di primo grado a pag. 9 e seg.). In tal senso la Corte di appello ha esplicitamente richiamato la caratteristiche dei due diversi riconoscimenti, la diversa portata degli stessi, le modalità con le quali sono stati realizzati, rispondendo esplicitamente alle osservazioni della difesa e ricostruendo, anche sulla base di prova logica, la diretta riferibilità allo ricorrente Orlando dell’epiteto ‘o zio’, proprio in relazione al caso concreto, tenuto conto del non contestato rapporto di parentela con il COGNOME (figlio di un suo cugino). La Corte di appello, nell’affrontare specificamente le censure proposte su questo tema, con motivazione del tutto priva di manifesta illogicità, ha chiarito che il riconoscimento dell’Orlando era basato non solo sulle attività correlate alla esibizione di fotografie, ma anche dalla dichiarazione della persona offesa che riferiva di essere stata era stata redarguita dal COGNOME presso l’agriturismo (chiaramente al fine di rafforzare la portata della azione congiunta) che aveva espressamente sottolineato al COGNOME che egli era stato a confronto ed aveva interloquito con il capo del clan, latitante da oltre dieci anni. L’affermazione secondo la quale la complessiva attività di individuazione fotografica appare priva di riscontri, si deve in conclusione considerare del tutto generica, in assenza di confronto con la motivazione della Corte di appello e tenuto conto dei principi già affermati in tema di valutazione e credibilità della persona offesa, applicabili anche in relazione ai motivi sopra richiamati. In conclusione, si deve rilevare come la Corte di appello, anche quanto alla identificazione dell’Orlando, abbia reso una motivazione logica ed articolata (pag. 11) con la quale il ricorrente non si confronta effettivamente, facendo corretta applicazione del principio di diritto, che qui si intende ribadire, secondo il quale il riconoscimento informale dell’imputato operato dal teste, nel casi di specie dalla persona offesa, costituisce un accertamento di fatto, utilizzabile in giudizio in base al principio di non tassatività dei mezzi di prova e del libero convincimento del giudice (Sez. 2, n. 17336 del 29/03/2011, COGNOME, Rv. 250081-01; Sez. 6, n. 12501 del 27/01/2015, COGNOME, Rv. 262908-01). ¨ sempre dunque il principio del libero convincimento del giudice a caratterizzare la valutazione di una prova atipica e sul punto la Corte ha reso una motivazione chiara e convincente, specifica sui diversi punti devoluti (pag. 8 quanto alla mancanza di prova certa in ordine alla apposizione o meno delle generalità sotto le fotografie in epoca 2020) che non si presta a censure in questa sede. NØ appare censurabile la complessiva considerazione della attendibilità della persona offesa quanto alla prova della responsabilità del
ricorrente per la condotta ascritta in concorso con il COGNOME, basata anche su di un successivo e formale riconoscimento, confluito nel fascicolo del dibattimento in considerazione del rito prescelto, nell’ambito di una comparazione con oltre venti fotografie. Questa Corte ha in tema di riconoscimento (confluito direttamente quale atto di Polizia giudiziaria direttamente nel fascicolo del dibattimento in considerazione del rito prescelto) affermato, con principio che qui si intende ribadire, che la polizia giudiziaria può procedere autonomamente ad individuazione fotografica, sia prima che dopo la comunicazione al pubblico ministero della notizia di reato, poichØ gli artt. 55 e 348 cod. proc. pen. sanciscono il principio di atipicità degli atti di indagine della polizia giudiziaria, cui compete, anche in difetto di direttive o formali deleghe del pubblico ministero, il potere-dovere di compiere di propria iniziativa tutte le indagini che ritiene necessarie ai fini dell’accertamento del reato e dell’individuazione dei colpevoli (Sez. 2, n. 34211 del 25/11/2020, COGNOME, Rv. 280236-01; Sez. 5, n. 18997 del 19/02/2014, COGNOME, Rv. 263168-01; Sez. 2, n. 16818 del 27/03/2008, COGNOME, Rv. 239774-01; Sez. 2, n. 35612 del 27/06/2007, COGNOME, Rv. 238081-01). L’esito di tale attività Ł stato adeguatamente considerato dalla Corte di appello e dal giudice di primo grado, in modo approfondito, oltre che confermato dagli ulteriori elementi acquisiti in giudizio e letti dalla Corte di appello in correlazione con le dichiarazioni della persona offesa. Ne consegue all’evidenza come i motivi proposti, in relazione alla complessiva portata probatoria degli elementi acquisiti, con particolare riferimento alle dichiarazioni della persona offesa, si debbano ritenere in effetti finalizzati ad introdurre una lettura alternativa del merito non consentita in questa sede a fronte di una motivazione che esplicitamente affronta i temi proposti dalla difesa sul punto, in assenza di violazione di legge o di vizio della motivazione. Sono difatti stati riscontrati plurimi e concordanti elementi idonei ad affermare l’assoluta attendibilità della individuazione del ricorrente COGNOME
5.2. Il terzo motivo di ricorso Ł manifestamente infondato, oltre generico in mancanza di confronto con la motivazione. La Corte di appello ha specificamente motivato quanto alla congruità del trattamento sanzionatorio, anche quanto alla recidiva applicata ed al regime circostanziale, con tale motivazione il ricorrente non si confronta, semplicemente reiterando gli argomenti già proposti in appello, in presenza di una motivazione specifica quanto alla sussistenza della recidiva ed alla corretta applicazione della stessa da parte del giudice di primo grado. In tal senso Ł bene richiamare anche la specifica motivazione del G.u.p. (pag. 14) che ha analiticamente ricostruito la dosimetria della pena nel pieno rispetto del regime di cui all’art. 63, comma quarto, cod. pen. (Sez. 5, n. 47159 del 17/09/2018, P., Rv. 274181-02;Sez. U, n. 38518 del 27/11/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv.264674-01; Sez. U, n. 25939 del 28/02/2013, COGNOME, Rv. 255347-01). Con tale motivazione, del tutto corretta in diritto, il ricorrente non si confronta effettivamente, richiamando elementi di riflessione (contenuti, tra l’altro, nella sentenza di primo grado) che non rappresentano la ratio decidendi della sentenza impugnata. Manca nella considerazione della dosimetria della pena qualsiasi irragionevolezza o ipotesi di pena illegale. Ricorre in conclusione una motivazione puntuale che ha richiamato la gravità del fatto e valutato il regime circostanziale in assenza di qualsiasi irragionevolezza, illogicità o violazione di legge (Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, COGNOME Rv. 271243-01; Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259142-01).
I ricorsi devono quindi essere rigettati, con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 27/03/2025.
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME