Credibilità Persona Offesa: Quando la Sua Parola Basta per la Condanna
L’ordinanza in esame offre importanti chiarimenti sulla credibilità persona offesa nel processo penale e sui requisiti procedurali per presentare un ricorso in Cassazione. La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per sostituzione di persona, ribadendo principi fondamentali sia di diritto sostanziale che processuale.
I Fatti di Causa
Il caso riguarda un uomo condannato nei gradi di merito per il delitto di sostituzione di persona, previsto dall’art. 494 del codice penale. L’imputato, al fine di trarne profitto, si era finto un capitano della Guardia di Finanza. In questa veste, aveva esibito un falso tesserino alle persone offese per convincerle a consegnargli somme di denaro. Il pretesto era la necessità di acquistare dei bolli per annullare presunte sanzioni e verbali emessi dall’Agenzia delle Entrate.
La Corte d’Appello di Bologna aveva confermato la sua responsabilità, basando la decisione anche sulle dichiarazioni rese dalle vittime del raggiro.
I Motivi del Ricorso in Cassazione
L’imputato ha presentato ricorso alla Corte di Cassazione lamentando principalmente due aspetti:
1. Violazione di norme processuali: Un vizio procedurale relativo alle prove ammesse nel processo.
2. Mancanza di prova: L’assenza di prove sufficienti a dimostrare la sua colpevolezza e, in particolare, l’insufficienza dei riscontri alle dichiarazioni delle persone offese, considerate uniche fonti di prova a suo carico.
La credibilità della persona offesa secondo la Corte
Il cuore della decisione della Cassazione risiede nella gestione del secondo e terzo motivo di ricorso, entrambi incentrati sulla presunta insufficienza probatoria. La Corte ha ritenuto tali motivi manifestamente infondati, sottolineando come la sentenza d’appello avesse fornito una motivazione lineare e congrua sulla sussistenza di tutti gli elementi del reato.
In particolare, la Suprema Corte ha ribadito un principio consolidato: la valutazione sulla credibilità persona offesa è una questione di fatto, la cui analisi spetta esclusivamente al giudice di merito. In sede di legittimità, tale valutazione non può essere riesaminata, a meno che il giudice non sia incorso in manifeste contraddizioni nel suo ragionamento. Inoltre, viene confermato che le dichiarazioni della persona offesa possono, da sole, costituire una fonte di prova sufficiente per una condanna. Non è sempre necessario che siano corroborate da elementi di riscontro esterni, a condizione che il giudice ne abbia verificato attentamente la credibilità, sia sotto il profilo oggettivo (la coerenza del racconto) sia soggettivo (l’affidabilità del dichiarante).
Le Motivazioni della Decisione
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile per due ragioni distinte.
In primo luogo, il motivo relativo alla violazione di norme processuali (art. 606 lett. c c.p.p.) è stato respinto perché non era stato precedentemente sollevato come motivo di appello. La legge (art. 606, comma 3, c.p.p.) prevede, a pena di inammissibilità, che le questioni procedurali non possano essere presentate per la prima volta in Cassazione se non sono state oggetto di doglianza nel grado precedente.
In secondo luogo, i motivi sulla mancanza di prova sono stati giudicati manifestamente infondati. La Corte ha ritenuto che la sentenza impugnata avesse adeguatamente motivato la colpevolezza dell’imputato, identificando chiaramente gli elementi oggettivi e soggettivi del reato di sostituzione di persona. La critica generica mossa dal ricorrente alla valutazione delle testimonianze delle vittime non è stata ritenuta idonea a scalfire la logicità della decisione di merito.
Conclusioni
Questa ordinanza consolida due importanti principi. Dal punto di vista processuale, sottolinea il rigore con cui devono essere formulate le impugnazioni: le questioni procedurali devono essere sollevate tempestivamente nel giudizio d’appello. Dal punto di vista sostanziale, rafforza il valore probatorio della testimonianza della vittima del reato. La decisione sulla sua attendibilità è rimessa alla valutazione del giudice di merito e, se motivata in modo logico e coerente, è insindacabile in Cassazione. Questo conferma che la parola della persona offesa, se ritenuta credibile, può essere un pilastro fondamentale per l’accertamento della responsabilità penale.
La testimonianza della persona offesa può essere l’unica prova per una condanna?
Sì, la Corte di Cassazione conferma che le dichiarazioni della persona offesa possono essere assunte anche da sole quale fonte di prova, purché il giudice le sottoponga a una rigorosa verifica di credibilità oggettiva e soggettiva, senza che ciò implichi la necessità di riscontri esterni.
È possibile contestare in Cassazione la valutazione della credibilità di un testimone fatta dal giudice di merito?
No, di regola non è possibile. La valutazione della credibilità di un testimone, inclusa la persona offesa, rappresenta una questione di fatto che spetta al giudice di merito. Può essere contestata in Cassazione solo se il ragionamento del giudice presenta vizi logici evidenti, come le “manifeste contraddizioni”.
Cosa succede se un motivo di ricorso non viene presentato in appello?
Se un motivo di ricorso, in particolare una censura di natura procedurale, non viene dedotto con l’atto di appello, non può essere sollevato per la prima volta davanti alla Corte di Cassazione. In tal caso, il motivo sarà dichiarato inammissibile.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 20428 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 20428 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: IMPERIALI COGNOME
Data Udienza: 04/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a SANT’NOME COGNOME il 12/08/1977
avverso la sentenza del 24/09/2024 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di COGNOME NOME;
ritenuto che il primo motivo di ricorso che denuncia la violazione dell’art. 606 lett. c) cod. proc. pen. in relazione all’art. 493 comma 3 cod. proc. pen., n consentito in sede di legittimità perché la censura non risulta essere st previamente dedotta come motivo di appello secondo quanto è prescritto a pena di inammissibilità dall’art. 606 comma 3 cod. proc. pen., come si evince dal riepilogo dei motivi di gravame riportato nella sentenza impugnata (cfr. pag. 1) che l’odierno ricorrente avrebbe dovuto contestare specificamente nell’odierno ricorso, se incompleto o comunque non corretto;
considerato che il secondo e il terzo motivo di ricorso, che lamentano il difetto di prova in ordine all’affermazione di responsabilità per il delitto di cui all’art cod. pen., sono manifestamente infondati a fronte di una lineare e congrua motivazione che analiticamente indica la sussistenza sia dell’elemento oggettivo che dell’elemento soggettivo della fattispecie de qua (cfr. pag. 2 della sentenza impugnata), in virtù dell’esibizione, da parte del ricorrente, di un falso tesse di capitano della Guardia di Finanza, al fine di conseguire la dazione, da parte del persone offese, di somme di denaro indicate come necessarie per l’acquisto di bolli per l’annullamento di sanzioni e verbali redatti dall’Agenzia delle Entrate: c riferimento alla censura in ordine all’asserita insufficienza dei riscontri dichiarazioni delle persone offese, peraltro formulata in termini generici, ribadito che la valutazione della credibilità della persona offesa dal re rappresenta una questione di fatto che, come tale, non può essere rivalutata i sede di legittimità, salvo che il giudice sia incorso in manifeste contraddizio (Sez. 2, n. 41505 del 24/09/2013, COGNOME, Rv. 257241 – 01) e, comunque, le dichiarazioni delle persone offese possono essere assunte anche da sole quale fonte di prova, purché sottoposte ad una verifica di credibilità oggettiva soggettiva, senza peraltro che ciò implichi la necessità di riscontri esterni; Corte di Cassazione – copia non ufficiale rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, il 4 febbraio 2025.