Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 12171 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 12171 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 15/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a COSENZA il 02/03/1966
avverso la sentenza del 11/09/2024 della CORTE APPELLO di CATANZARO
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che COGNOME NOME ricorre avverso la sentenza della Corte di Appello di Catanzaro che ha confermato la pronunzia di primo grado con la quale il ricorrente era stato ritenuto responsabile dei delitti di violenza privata, danneggiamento e minaccia;
Considerato che il primo ed il secondo motivo di ricorso – con cui il ricorrente denuncia la mancanza della motivazione in ordine alla ritenuta attendibilità delle dichiarazioni rese dalla persona offesa in dibattimento relativamente al delitto di violenza privata nonostante la difformità di quest’ultime da quelle rese durante la fase delle indagini preliminari – sono manifestamente infondati poiché il vizio censurabile a norma dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., è quello che emerge dal contrasto dello sviluppo argomentativo della sentenza con le massime di esperienza o con le altre affermazioni contenute nel provvedimento;
Ritenuto che le dichiarazioni della persona offesa, costituita parte civile, possono da sole, senza la necessità di riscontri estrinseci, essere poste a fondamento dell’affermazione di responsabilità penale dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve, in tal caso, essere più penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone (Sez. 5, n. 1666 del 08/07/2014, dep. 2015, Rv. 261730 – 01). Il denunciato vizio di motivazione è pertanto manifestamente infondato, alla stregua della corretta e non illogica argomentazione di cui a pag. 3 della sentenza impugnata;
Considerato che il terzo motivo di ricorso – con cui il ricorrente denunzia l’illogicità della motivazione in ordine alla credibilità delle dichiarazioni rese dalla persona offesa fondata unicamente sul fatto che la stessa non abbia avanzato pretese risarcitorie e il quarto e quinto motivo di ricorso – con cui si censura nuovamente il vizio motivazionale in ordine alla omessa valutazione dell’insussistenza dell’elemento soggettivo del reato contestato -non sono consentiti dalla legge in sede di legittimità perché tendono ad ottenere una inammissibile ricostruzione dei fatti mediante criteri di valutazione diversi da quelli adottati dal giudice di merito, il quale, con motivazione esente da vizi logici e giuridici, ha esplicitato le ragioni del suo convincimento (si vedano, in particolare, pag. 3) ponendo l’accento, per quanto concerne l’attendibilità della persona offesa, sui riscontri tra le dichiarazioni da questa resa e le prove documentali legittimamente acquisite;
Considerato che il sesto e il settimo motivo di ricorso – con cui il ricorrente lamenta la violazione delle norme processuali stabilite a pena di inutilizzabilità per avere il
giudice di merito basato il giudizio di responsabilità dell’imputato per il delitto di danneggiamento solamente sul fascicolo fotografico redatto dalla polizia giudiziaria e acquisito in violazione di legge – sono inammissibili in quanto in sede di legittimità non sono consentite le doglianze che censurano la persuasività, l’adeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento;
Considerato che l’ottavo ed il nono motivo di ricorso – con cui il ricorrente denunzia la mancanza della motivazione in ordine all’effettiva capacità del fascicolo fotografico acquisito in dibattimento a dimostrare la responsabilità dell’imputato per il delitto di danneggiamento e l’omessa considerazione delle doglianze prospettate dalla difesa circa l’inverosimiglianza della ricostruzione dei fatti fornita dalla persona offesa – sono manifestamente infondati in quanto si pongono in contrasto con la consolidata giurisprudenza di legittimità a tenore della quale in tema di motivazione della sentenza, è necessario che il giudice indichi le emergenze processuali determinanti per la formazione del proprio convincimento, così da consentire l’individuazione dell’iter logico-giuridico che ha condotto alla soluzione adottata, essendo irrilevante il silenzio su una specifica deduzione prospettata con il gravame ove essa sia disattesa dalla motivazione complessivamente considerata, posto che non è necessaria l’esplicita confutazione delle specifiche tesi difensive disattese, ma è sufficiente una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione implicita di tale deduzione, senza lasciare spazio a una valida alternativa (Sez. 3, n. 3239 del 04/10/2022, COGNOME, Rv. 284061-01);
Considerato che il decimo e l’undicesimo motivo di ricorso – con i quali si denunzia la mancanza della motivazione in ordine alle doglianze difensive aventi ad oggetto l’effettiva capacità intimidatoria della minaccia – non sono consentiti dalla legge in sede di legittimità perché tendono ad ottenere una inammissibile ricostruzione dei fatti mediante criteri di valutazione diversi da quelli adottati dal giudice di merito, i quale, con motivazione esente da vizi logici e giuridici, ha esplicitato le ragioni del suo convincimento (si vedano, in particolare, pag. 4);
che esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una ‘rilettura’ degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito (per tutte: Sez. U, n. 6402, del 30/4/1997, COGNOME, Rv. 207944);
Ritenuto, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, co condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 15 gennaio 2025.