Credibilità persona offesa: la Cassazione fissa i paletti
Nel processo penale, la testimonianza della vittima assume spesso un ruolo centrale. Ma fino a che punto può essere considerata attendibile? E quali sono i limiti del sindacato della Corte di Cassazione su tale valutazione? Una recente ordinanza offre importanti chiarimenti, ribadendo principi consolidati in materia di valutazione della prova e credibilità persona offesa, specialmente nei reati come la truffa.
I Fatti di Causa
Il caso trae origine dalla condanna di un individuo per il reato di truffa. La difesa dell’imputato, non condividendo la decisione dei giudici di merito, ha presentato ricorso per Cassazione. I motivi del ricorso si concentravano principalmente su due aspetti: la presunta erronea valutazione dell’attendibilità della persona offesa e il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
I Motivi del Ricorso e l’analisi della credibilità persona offesa
La difesa sosteneva che la sentenza impugnata presentasse vizi di motivazione proprio nell’analisi della testimonianza della vittima. Secondo il ricorrente, i giudici non avrebbero considerato adeguatamente alcuni elementi che, a suo dire, minavano la credibilità del racconto della persona offesa.
In secondo luogo, il ricorso lamentava la mancata concessione delle attenuanti generiche e contestava la sussistenza di una specifica aggravante del reato di truffa.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo le censure infondate e meramente ripetitive di argomentazioni già respinte nei precedenti gradi di giudizio. La decisione si fonda su un’analisi chiara e rigorosa.
In merito al primo motivo, relativo alla credibilità persona offesa, i giudici hanno sottolineato che la valutazione compiuta dalla Corte d’Appello era del tutto logica e priva di contraddizioni. Nello specifico, la motivazione della sentenza impugnata si basava su tre pilastri:
1. Assenza di movente calunnioso: La vittima e l’imputato si conoscevano da dieci anni e non vi erano elementi di contrasto pregressi che potessero giustificare una falsa accusa.
2. Lasso temporale: La difficoltà della vittima nel ricordare le esatte parole usate nella querela originale, a distanza di quattro anni e mezzo, è stata giudicata del tutto comprensibile e non un indice di inattendibilità.
3. Riscontri oggettivi: La testimonianza della vittima era pienamente supportata da prove documentali. Gli estratti conto bancari allegati agli atti dimostravano prelievi di somme esattamente corrispondenti a quelle richieste dall’imputato, fornendo un riscontro “serio ed apprezzabile”.
La Corte ha quindi ribadito un principio fondamentale: la valutazione dell’attendibilità di un testimone, inclusa la persona offesa, è una questione di fatto riservata al giudice di merito. La Cassazione può intervenire solo se tale valutazione è inficiata da “manifeste contraddizioni”, vizio non riscontrato nel caso di specie.
Anche il secondo motivo di ricorso è stato respinto. La Corte ha ritenuto corretta l’applicazione dell’aggravante e ha giudicato la motivazione sul diniego delle attenuanti generiche adeguata, ricordando che il giudice non è tenuto a esaminare ogni singolo elemento favorevole o sfavorevole, ma è sufficiente che si concentri su quelli ritenuti decisivi.
Le Conclusioni
L’ordinanza in esame conferma che la credibilità della persona offesa può essere il fondamento di una sentenza di condanna, a condizione che la sua testimonianza sia sottoposta a un rigoroso vaglio critico da parte del giudice. Tale vaglio deve tenere conto della coerenza interna del racconto, dell’assenza di motivi di astio e, soprattutto, della presenza di riscontri esterni oggettivi. La decisione sottolinea inoltre la netta distinzione tra il giudizio di merito, che valuta i fatti e le prove, e il giudizio di legittimità della Cassazione, che ha il compito di verificare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione, senza poter entrare nel merito delle scelte probatorie.
La Corte di Cassazione può riesaminare la credibilità di una vittima?
No, la valutazione della credibilità della persona offesa è una questione di fatto riservata ai giudici di primo e secondo grado. La Corte di Cassazione può intervenire solo se la motivazione della sentenza impugnata presenta manifeste contraddizioni o illogicità, ma non può sostituire la propria valutazione a quella dei giudici di merito.
Quali elementi possono rendere attendibile la testimonianza della persona offesa in un reato di truffa?
Sulla base di questa ordinanza, l’attendibilità è rafforzata da diversi fattori: l’assenza di un valido motivo per cui la vittima dovrebbe mentire (come un rapporto di inimicizia), la coerenza del suo racconto e, soprattutto, la presenza di riscontri oggettivi esterni, come in questo caso gli estratti conto che provavano i prelievi di denaro corrispondenti alle richieste dell’imputato.
Perché un ricorso può essere dichiarato inammissibile se si limita a ripetere le stesse argomentazioni?
Un ricorso viene dichiarato inammissibile quando si risolve nella “pedissequa reiterazione” di motivi già presentati e respinti in appello, senza individuare specifici vizi di violazione di legge o di manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata. Il ricorso in Cassazione non è un terzo grado di giudizio sul fatto, ma un controllo sulla corretta applicazione del diritto.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 8172 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 8172 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 04/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a ALATRI il 07/07/1988
avverso la sentenza del 02/07/2024 della CORTE APPELLO di BRESCIA
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso presentato nell’interesse di NOME COGNOME
considerato che con il primo motivo di ricorso la difesa dell’imputato deduce violazione di legge e vizi di motivazione della sentenza impugnata in relazione all’intervenuta condanna del COGNOME con riguardo al reato di truffa di cui al capo A della rubrica delle imputazioni con particolare riguardo alle valutazioni di attendibilità della persona offesa;
che, detto motivo di ricorso, che contesta la correttezza della motivazione posta a base del giudizio di responsabilità, è indeducibile perché fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla Corte di merito anche attraverso un legittimo richiamo alla sentenza di primo grado (v. pagg. 8 e 9);
che, in particolare, la Corte di merito ha rilevato che: a) la persona offesa non avrebbe avuto alcun valido motivo per calunniare l’imputato, essendo i due legati da un rapporto di conoscenza decennale privo di elementi di contrasto e caratterizzato da incontri e confidenze, ancorché occasionali; b) la circostanza che la persona offesa abbia ricordato le esatte parole da lei usate in querela solo a seguito di formale contestazione appare del tutto comprensibile se si considera il lungo arco temporale intercorso tra la data della querela e quella dell’udienza in cui la contestazione è avvenuta, pari a ben quattro anni e mezzo; c) i prelievi effettuati dalla persona offesa, aventi ad oggetto somme esattamente corrispondenti a quelle richieste dall’odierno ricorrente, risultano pienamente provati dagli estratti conto allegati in atti, e pertant rappresentano un serio ed apprezzabile riscontro rispetto alle dichiarazioni della vittima;
che la valutazione della credibilità della persona offesa dal reato rappresenta una questione di fatto che, come tale, non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice sia incorso in manifeste contraddizioni (Sez. 2, n. 41505 del 24/09/2013, COGNOME, Rv. 257241), vizio non ravvisabile nel caso in esame;
considerato poi che con il secondo motivo di ricorso la difesa dell’imputato si duole del mancato riconoscimento al Mautone delle circostanze attenuanti generiche nonché del riconoscimento della circostanza aggravante di cui all’art. 640, comma 2, n. 2, cod. pen.
che alla luce dei fatti come ricostruiti dai Giudici di merito la configurabili della menzionata circostanza aggravante risulta corretta e che il motivo di ricorso che
contesta la mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche non è consentito in sede di legittimità ed è manifestamente infondato in presenza (si veda pag. 10 della sentenza impugnata) di una motivazione esente da evidenti illogicità, anche considerato il principio affermato da questa Corte, secondo cui non è necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che fac riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione.
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 4 febbraio 2025.