Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 29702 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 29702 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 18/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME nato a Cerianola il 21/040001
avverso la sentenza emessa in data 30/09/2024 dalla Corte di Appello di Bari visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso. udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza del 30/09/2024, la Corte di Appello di Bari ha confermato la decisione del Tribunale di Bari emessa in data 10/01/2023, con la quale l’imputato è stato condannato alla pena di anni quattro e mesi tre di reclusione in relazione al delitto di cui all’art. 609-ter, comma 1, n. 5, 81, cod. pen., per aver costretto la persona offesa a subire atti sessuali consistiti in più rapporti completi, approfittando della comune permanenza con la stessa nella comunità “casa Shalom”, struttura che offriva accoglienza a giovani adolescenti con problematiche socio-familiari.
Ricorre per cassazione l’imputato, a mezzo del proprio difensore, presentando un’impugnazione articolata nelle seguenti doglianze.
3.Nel primo motivo si lamenta l’omessa valutazione, da parte della Corte d’appello, dì alcune “circostanze essenziali” volte a confutare il giudizio di credibilità della persona offesa, costituitasi parte civile, posto a fondamento della condanna di primo grado.
La Corte territoriale non avrebbe considerato l’inverosimiglianza del racconto della donna nella parte in cui aveva collocato le condotte illecite all’interno della struttura della comunità, ovvero in un luogo fisico in cui vi era una contìnua vigilanza dei soggetti ospitati che avrebbe reso impossibile il compimento di qualsiasi condotta anomala e illecita; non avrebbe debitamente preso in considerazione che, nonostante la violenza subita, la donna non aveva preso concreti provvedimenti per evitare il ripetersi di condotte simili; avrebbe, inoltre, trascurato di attribuire il giusto peso ai rapporti tra l’imputato e la vittim e ingiustificatamente omesso di valutare l’ipotesi che tra loro sussistesse una relazione affettiva che avrebbe potuto determinare nel Merlicco la percezione di un consenso, anche putativo, alla consumazione dei rapporti sessuali.
Con il secondo motivo di ricorso, si lamenta la determinazione della Corte d’appello di respingere la richiesta di procedere all’esame dell’imputato ritenendo tale atto istruttorio non necessario.
Ad avviso della difesa, invece, tale ultimo adempimento, poiché non surrogabile dalle spontanee dichiarazioni rese dall’imputato nel corso dell’udienza del 30/09/24, avrebbe consentito dì approfondire, ìn maniera più specifica, la tematica della sussistenza di una relazione affettiva tra il COGNOME e la persona offesa.
Il rigetto della richiesta, conclude la difesa, avrebbe minato la logicità dell’iter motivazionale della Corte territoriale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 primo motivo di ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza.
2.Va ribadito che il compito del giudice di legittimità nel sindacato sui vizi della motivazione non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito, ma quello di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando completa e convincente risposta alle deduzioni delle parti e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello
sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre.
Tralasciando il fatto che le censure appaiono generiche in quanto riproduttive di quelle contenute nell’atto d’appello, la Corte barese, dopo aver compiutamente fatto riferimento alle argomentazioni sviluppate nel dettaglio nella sentenza di primo grado, ha fornito una valutazione analitica, ed autonoma, dei motivi di appello sui punti specificamente indicati dal COGNOME, nell’impugnazione, di talché la motivazione risulta esaustiva ed immune dalle censure proposte.
I giudici, dopo aver passato in rassegna la dinamica dell’accaduto, con argomentazioni coerenti e logicamente ineccepibili, hanno sottolineato come la persona offesa, nel corso dell’incidente probatorio, abbia indicato con precisione il periodo in cui si sono verificate le violenze subite, collocandole prima della vacanza a Polignano del settembre 2019.
Hanno, inoltre, ritenuto comprensibile che durante le indagini preliminari la donna non avesse circoscritto temporalmente gli episodi con la medesima accuratezza, attribuendo tale difficoltà al naturale tentativo di rimuovere dalla memoria un’esperienza profondamente traumatica (pag. 7 decisione impugnata); analogamente, con motivazioni logicamente corrette, hanno evidenziato che, contrariamente a quanto prospettato dalla difesa, la persona offesa aveva manifestato un espresso dissenso alla consumazione dei rapporti sessuali e che le condotte della vittima valorizzate in chiave difensiva, quale ad esempio l’aver consentito l’accesso alla propria camera all’imputato, sono, piuttosto una conferma che la giovane donna si trovava in una totale situazione di soggezione e vulnerabilità nei suoi confronti, rimarcando, in proposito, la forte efficacia intimidatoria della minaccia rivolta dal COGNOME alla donna di raccontare l’accaduto al di lei padre.
Nel complesso ordito argomentativo la Corte, quindi, ha dato adeguatamente conto delle ragioni che hanno condotto al gìudìzìo di colpevolezza, valorizzando, da un lato, le dichiarazioni della persona offesa, ritenuta con ragionamento immune da vizi logici pienamente credibile, dall’altro, la attendibilità estrinseca del racconto poiché confermato dalle dichiarazioni dei testi escussi.
Ad ogni modo deve aggiungersi che, secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, non è censurabile, in sede di legittimità, la sentenza che non motivi espressamente su una specifica deduzione prospettata con il gravame, quando ne risulti il rigetto dalla motivazione della sentenza complessivamente considerata.
Nella motivazione della sentenza il giudice di merito, infatti, non è tenuto a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle partì e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece
sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale dì quelle deduzioni e risultanze, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni che hanno determinato il suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo; nel qual caso devono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (ex plurimis: Sez. 4, n. 5396 del 15/11/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284096 – 01 Sez. 5, n. 6746 del 13/12/2018 (dep. 2019), COGNOME, Rv. 275500- 01; Sez.1, n. 27285 del 22/05/2013, COGNOME, Rv. 256340 – 01).
3.11 secondo motivo di ricorso, in cui si censura la scelta dei giudici d’appello di non disporre il richiesto esame dell’imputato, è manifestamente infondato.
La Corte ha legittimamente omesso tale incombenza processuale ritenendola non necessaria ai fini decisori anche in considerazione del fatto che l’imputato aveva reso spontanee dichiarazioni.
I giudici hanno, dunque, fatto buon governo del principio consolidato di Questa Corte secondo cui «l’esame dell’imputato, risolvendosi in una diversa prospettazione valutativa nell’ambito della normale dialettica tra le differenti tesi processuali, non è un mezzo di prova che può assumere valore decisivo ai finì del giudizio, con la conseguenza che la sua mancata assunzione non costituisce motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. d) cod. proc. pen.» (Sez. 5, n. 17916 del 10/01/2019, COGNOME, Rv. 275909).
Si è altresì, ripetutamente chiarito che il mancato esame dell’imputato, anche se in precedenza ammesso dal giudice del dibattimento, non comportando alcuna limitazione alla facoltà di intervento, di assistenza e di rappresentanza dell’imputato medesimo, non integra alcuna violazione del diritto di difesa, tanto più alla luce della facoltà di rendere in ogni momento spontanee dichiarazioni.
Nella specie, l’imputato, pur non essendosi presentato per rendere esame in primo grado, nel giudizio d’appello ha poi reso spontanee dichiarazioni fornendo la sua versione dei fatti, disattesa dai giudici nel senso precedentemente descritto (Sez. 1, n. 35627 del 18/04/2012, P.G. in proc. COGNOME e altri, Rv. 253459).
4.Per queste ragioni il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente alle spese processuali e alla somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa dell
ammende.
Così deciso in Roma, in data 18/06/2025
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