Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 22368 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 22368 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 14/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a Barcellona Pozzo di Gotto il 20/05/1969 (parte civile)
avverso la sentenza della Corte di appello di Reggio Calabria del 28/11/2022 nei confronti di
COGNOME NOMECOGNOME nato a Barcellona Pozzo di Gotto il 18/03/1971;
COGNOME NOMECOGNOME nato a Mazara del Vallo il 23/08/1965;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;
udito il difensore di parte civile, Avv. NOME COGNOME che si è riportato ai motivi di ricorso; letta la memoria del difensore dell’imputato, Avv. NOME COGNOME, presente in udienza in difesa dell’imputato NOME COGNOME ha insistito per il rigetto del ricorso; udito l’avv. NOME COGNOME per l’imputato COGNOME il quale ha insistito per il rigetto del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Reggio Calabria ha riformato la condanna disposta in primo grado ed assolto NOME COGNOME e NOME COGNOME perché il fatto non sussiste – da plurimi reati di estorsione aggravata ai sensi dell’art. 7 d.l. 13 maggio 1991, n. 152, conv. in legge 12 luglio 1991, n. 203, commessi dal febbraio 1998 al settembre 2009 ai danni degli imprenditori edili NOME, NOME e NOME COGNOME titolari dell’impresa RAGIONE_SOCIALE
La sentenza è stata pronunciata all’esito del rinvio ex art. 627 cod. proc. pen. conseguente ad annullamento disposto dalla Seconda Sezione di questa Corte, con sentenza n.12838 del 18 dicembre 2015.
Ha proposto ricorso, ai soli effetti civili, la parte civile NOME COGNOME in cui ha dedotto con un unico motivo, a contenuto complesso, violazione di legge con riferimento all’art. 192, commi 1 e 3, cod. proc. pen., e illogicità manifesta della motivazione, inficiata da travisamento probatorio.
Ha richiamato la sentenza emessa dal Giudice dell’udienza preliminare di Messina n. 258 del 2018, allo stato irrevocabile, che ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di NOME COGNOME per intervenuta prescrizione, in relazione al reato di concorso esterno in associazione mafiosa contestato fino al luglio 2003, senza tuttavia escludere che lo stesso ricorrente ed i suoi familiari fossero sottoposti a pressioni estorsive.
La citata sentenza aveva evidenziato come NOME COGNOME, imprenditore in Barcellona Pozzo di Gotto, fosse stato contiguo al vertice della associazione mafiosa ivi imperante, NOME COGNOME, fino all’epoca dell’arresto di questi, avvenuto nel luglio 2003. Tuttavia, unitamente al padre, NOME COGNOME, e al fratello, NOME COGNOME – suoi soci nella impresa di famiglia – egli aveva sempre corrisposto percentuali sul valore degli appalti che si era aggiudicato, (ancorché in misura inferiore a quella cui erano di norma tenuti gli imprenditori
soggetti ad estorsione), anche se affidati dai comuni limitrofi, in tal caso versandole ai referenti delle famiglie mafiose locali per il tramite dei barcellonesi. Sotto altro profilo, non è provata in alcun modo l’accusa di calunnia che al ricorrente è stata rivolta da NOME COGNOME, da lui denunciato per estorsione, dovendosi considerare che questi aveva tutto l’interesse a delegittimarlo e aveva anche creato false prove a suo carico.
Analogamente, portatore di un interesse contrapposto a quello del ricorrente era COGNOME anch’egli tratto in arresto per estorsione in seguito alle denunce di COGNOME
2.2. Con riferimento ai singoli capi di imputazione, il difensore di parte civile ha dedotto quanto segue.
Capo B)
L’assoluzione di COGNOME e COGNOME è stata frutto di travisamento delle risultanze istruttorie.
NOME e NOME COGNOME hanno dichiarato che per le opere eseguite a Gualtieri Sicaminò la società di famiglia pagò somme a titolo estorsivo, come tutti gli altri imprenditori. NOME COGNOME ha altresì confermato la venuta in cantiere di COGNOME, unitamente al COGNOME.
La Corte di appello, senza negare l’esistenza di un “accordo” sulla percentuale dell’estorsione, ha illogicamente escluso la sussistenza del reato per la sola incertezza sull’entità delle somme corrisposte al gruppo mafioso.
Vi è giudicato di condanna (v. sent. n. 991 del 3 ottobre 2016 del Giudice dell’udienza preliminare di Messina ), nei confronti di NOME COGNOME coimputato di COGNOME, ed erroneamente la sentenza impugnata ha ritenuto tale pronuncia non vincolante, nella parte in cui si sono evinti riscontri alle accuse di COGNOME dalle dichiarazioni di NOME COGNOME senza considerare che il territorio di Gualtieri Sicaminò rientrava nella zona di influenza dei barcellonesi, ma aveva un diverso reggente ( NOME COGNOME) , sicché le modalità estorsive erano analoghe a quelle delle estorsioni effettuate fuori dall’area di influenza dei barcellonesi.
Capo C)
Anche in relazione a tale reato, sono state ritenute poco credibili le dichiarazioni sull'”accordo estorsivo” rese dal ricorrente, benché egli sia incensurato, per non essere stato ricostruito in termini precisi l’importo che la sua impresa avrebbe versato e comunque per essere lo stesso inferiore alla misura del 3%. È una mera deduzione che gli importi che COGNOME prelevava dai COGNOME fossero pretesi, non per effetto di taglieggiamento, ma in ragione di rapporti di contiguità e collusione del ricorrente con l’associazione mafiosa.
Capo D)
Anche in tal caso, la Corte di appello ha ritenuto che l’imprecisione sul contenuto e le modalità delle dazioni e sulla entità dei pagamenti consegnati a Bisognano inferiori al 3°/o del valore dei lavori – renda inverosimile il narrato di NOMECOGNOME senza tener conto di quanto dichiarato dal collaboratore NOME COGNOME
Capo E)
La Corte di appello non ha considerato che la deposizione di NOME COGNOME è stata apprezzata come particolarmente significativa nel riscontrare le accuse di NOME COGNOME e non ne ha tenuto conto; ha pure ignorato che il quadro probatorio tratteggiato dalla persona offesa risulta rafforzato, quanto alla responsabilità di COGNOME, dalle dichiarazioni di NOME COGNOME, che ha iniziato a collaborare nel 2020, e ne ha valutato vago il contenuto, per non avere lo stesso saputo indicare a quali lavori la richiesta estorsiva si riferisse.
A riscontrare le dichiarazioni accusatorie di COGNOME nei confronti di COGNOME vi sono le dichiarazioni di NOME COGNOME rese nel 2012, e le stesse ammissioni di COGNOME di avere portato somme di danaro a titolo di regalo al gruppo di Tortorici.
Capo I)
Nonostante si tratti di una estorsione consumata nel periodo in cui COGNOME era detenuto e il gruppo facente capo a COGNOME avesse assunto la “leadership” nell’associazione, la sentenza ha ritenuto non probanti le convergenti dichiarazioni dei COGNOME padre e figli, che hanno riferito di pagamenti eseguiti in due “tranches” nelle mani di COGNOME stesso, e da questi fatte pervenire a Savoca, sul rilievo che non vi fosse corrispondenza tra la somma pagata e la percentuale del 3% del valore dell’appalto, che era la misura normalmente pretesa dai sodalizi mafiosi a titolo di tangente.
Capo L)
Anche in tal caso, COGNOME era all’epoca detenuto e la Corte ha ritenuto non credibili le accuse di COGNOME perché i pagamenti sarebbero inferiori alla predetta misura del 3% sul valore dell’appalto. Nel caso di specie, tuttavia, è lo stesso COGNOME a riscontrare il narrato della parte civile, là dove ha ammesso di avere intermediato con il sodalizio di Tortorici, rappresentando che l’impresa era “amica” e che avrebbe fatto loro pervenire un “regalo” di 3000,00 euro; somma che non può ritenersi un “obolo spontaneo”, avendo NOME subito irruzioni e furti presso il cantiere fino a quando non si era messo in regola, ed avendo anche sporto denuncia per tali eventi.
Il difensore di COGNOME ha depositato note conclusionali evidenziando che il ricorrente COGNOME ha personalmente assunto, in diverso giudizio, la difesa,
quale abogado, di NOME COGNOME salvo dismettere il mandato ricevuto, quando il Giudice aveva rilevato una situazione di sostanziale incompatibilità.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché oppositivo e proposto per ragioni non consentite.
La Seconda Sezione di questa Corte, in sede rescindente, ha disposto l’annullamento della sentenza assolutoria degli imputati, sul presupposto che, nel riformare la condanna nei loro confronti irrogata dal Giudice dell’udienza preliminare di Messina, la Corte di merito non avesse assolto all’onere della motivazione rafforzata.
Il giudice di appello che riformi totalmente la decisione di primo grado ha l’obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza e non può, invece, limitarsi ad imporre la propria valutazione del compendio probatorio perché preferibile a quella coltivata nel provvedimento impugnato (Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, COGNOME, Rv. 231679 – 01; Sez. 5, n. 8361 del 17/01/2013, COGNOME, Rv. 254638).
La Seconda Sezione di questa Corte ha stimato che la pronuncia di riforma non abbia adempiuto tale onere motivazionale, capovolgendo il giudizio espresso dal primo Giudice senza prendersi cura di confutare gli argomenti da questo svolti a sostegno della affermata responsabilità degli imputati, ed omettendo del tutto la motivazione in ordine ai tentativi di estorsione di cui ai capi G) ed H).
È stata stigmatizzata, in particolare, la valutazione di inattendibilità del COGNOME, cui era stato attribuito un “concreto ruolo mafioso” sulla base delle dichiarazioni degli stessi imputati, enfatizzando il dato che i collaboratori COGNOME e COGNOME lo avessero definito “amico dei Barcellonesi”.
Di contro, la sentenza annullata non aveva operato una adeguata valutazione degli elementi probatori astrattamente idonei a suffragare le dichiarazioni dello stesso ricorrente.
Ritiene la Corte che la sentenza impugnata, che è stata integrata con riferimento alle fattispecie di cui ai capi G) ed H), abbia emendato i rilevati vizi della motivazione, vagliando i fatti ascritti agli imputati con argomentazioni estremamente analitiche, scevre da vizi logici, a confutazione della affermazione di responsabilità del primo giudice.
È stato, anzitutto operato un distinguo tra i due periodi rilevanti.
In quello protrattosi fino al 2003, in cui NOME COGNOME – come risulta dalla sentenza del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Messina del 23 luglio 2018, definita con declaratoria di prescrizione e divenuta irrevocabile – aveva di fatto operato quale concorrente esterno nel sodalizio al cui vertice era NOME (detto NOME COGNOME, intrattenendo con la stessa consorteria un rapporto di natura sinallagmatica con reciprocità di vantaggi, egli era stato partecipe del cartello di imprese che, attraverso una sapiente gestione delle buste contenenti le offerte – ossia, mediante reiterate condotte di turbativa d’asta consentiva l’aggiudicazione degli appalti in capo a quelle contigue al sodalizio o dallo stesso favorite.
I contributi versati alla associazione criminale da parte del ricorrente in questa fase temporale costituivano – secondo lineari, coerenti e logici passaggi argomentativi della pronuncia – la contropartita della protezione dallo stesso imprenditore ricevuta per la propria azienda, che aveva significativamente rafforzato la posizione sul mercato, e non invece il provento di azioni estorsive nei suoi confronti, dalle quali era stato tenuto indenne in virtù dello stretto rapporto personale ed imprenditoriale intrattenuto con COGNOME
Nella fase successiva all’arresto del COGNOME stesso, in cui la reggenza del clan era stata assunta da COGNOME, COGNOME aveva continuato a corrispondere un contributo al sodalizio egemone sul territorio, ma in misura percentuale inferiore rispetto a quella ordinariamente posta a carico di altri imprenditori: un contributo economico, cui doveva riconoscersi la medesima funzione compensativa dei vantaggi correlati alla protezione ricevuta, tra cui quello di poter operare fuori provincia grazie alla mediazione dei barcellonesi, che interagivano con le organizzazioni locali per definire un prezzo congruo della tangente.
Senza porre in discussione l’astratta possibilità che una impresa collusa con la criminalità organizzata di un determinato territorio, o persino “direttamente mafiosa” (in quanto costituisca braccio operativo del sodalizio), possa essere assoggettata ad azioni estorsive, soprattutto quando agisca fuori dal territorio controllato dal medesimo sodalizio, i Giudici di merito hanno linearmente spiegato come il quadro probatorio complessivo non deponga, al di là di ogni ragionevole dubbio, per l’assoggettamento ad estorsione dell’impresa dei COGNOME al clan imperante in Barcellona Pozzo di Gotto, sia prima che dopo l’arresto di NOME COGNOME.
Le dinamiche estorsive della criminalità organizzata nei confronti degli imprenditori operanti dentro e fuori provincia e i rapporti intrattenuti, in particolare, con i COGNOME, sono stati scandagliati nella pronuncia rescissoria, alla luce del propalato dei collaboratori COGNOME COGNOME, Siracusa, sottolineando i plurimi
aspetti di convergenza individualizzante del loro narrato e, di contro, gli elementi di inequivoca smentita di quanto riferito dalle pretese persone offese.
Sono state vagliate le dichiarazioni rese da COGNOME sia agli inquirenti che in giudizio, evidenziandone l’atteggiamento reticente e inizialmente negatorio, quanto ai rapporti con COGNOME e con il clan, da cui egli escludeva di essere stato agevolato, così come escludeva il proprio coinvolgimento nel cartello di imprese che si accaparravano gli appalti; e, solo in seguito, cautamente ammissivo (v. pag. 22 e ss. della sentenza impugnata).
A tali presupposti fattuali è saldamente ancorato il giudizio di complessiva inattendibilità di NOME: la genericità del suo narrato, proprio in relazione alle modalità delle pretese estorsive, è pari alla genericità delle dichiarazioni del padre e del fratello, che risultano implausibili in quanto non permettono di ricostruire l’entità delle singole dazioni – in realtà quasi mai corrispondenti al 3% del valore dei lavori appaltati, ossia alla percentuale more solito pretesa dalla imprese estranee alle dinamiche criminali – nonché modalità e tempistiche dei pagamenti. La richiamata pronuncia ha poi ulteriormente valorizzato il dato logico che gli imputati, una volta divenuti collaboratori di giustizia, si sono autoaccusati di fatti ben più gravi.
Da tutto quanto innanzi, l’inferenza logicamente spiegata che il ricorrente abbia inteso accreditarsi come imprenditore – vittima per sottrarsi al sospetto di collusione con la criminalità organizzata locale, in un momento storico in cui la pressione investigativa sulla mafia barcellonese era altissima.
Non risultano affatto violati – oltre che le direttrici tracciate nell sentenza rescindente – i criteri di apprezzamento della prova dichiarativa.
Deve considerarsi che il sindacato di legittimità sulla valutazione delle chiamate di correo non consente il controllo sul significato concreto di ciascuna dichiarazione e di ciascun elemento di riscontro, perché un tale esame invaderebbe inevitabilmente l’ambito di competenza esclusiva del giudice di merito, potendosi solo verificare la coerenza logica delle argomentazioni con le quali sia stata dimostrata la valenza dei vari elementi di prova, in sé stessi e nel loro reciproco collegamento ( ex mu/tis, Sez. 1 n. 36087 del 13/11/2020, COGNOME, Rv. 280058 – 01).
Il ricorso, nel caso in scrutinio, risulta interamente declinato in fatto e si limita dissentire dalle valutazioni espresse dalla Corte, senza individuare specifici profili di illogicità manifesta, in tal modo volendosi sollecitare una alternativa lettura delle risultanze istruttorie – come detto, non consentita – senza che siano individuati profili di manifesta illogicità o contraddittorietà nell’ordito della pronuncia. A riguardo questa Corte (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, COGNOME, Rv. 207944)
ha consacrato il principio per cui il sindacato ad essa demandato deve essere limitato a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti
della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo
convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali, esulando dai suoi poteri quello di operare una “rilettura” degli elementi di fatto posti a
fondamento della decisione, e di accedere ad un diverso giudizio sulla rilevanza ed attendibilità delle fonti di prova.
Per converso, la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione della regola di giudizio che richiede l’accertamento della sussistenza del reato “al là di ogni
ragionevole dubbio”, la quale implica che, in caso di prospettazione di un’alternativa ricostruzione dei fatti – che è quella che era stata evocata dagli
imputati – siano individuati gli elementi di conferma dell’ipotesi accusatoria e sia motivatamente esclusa – ciò che, invece, non è stato – la plausibilità della tesi
difensiva ( Sez. 6, n. 7329 del 10/10/2024, dep. 21/02/2025, Curatolo; Sez. 6, n.
10093 del 05/12/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275290 – 01).
Alla declaratoria di inammissibilità segue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché al versamento a favore della cassa delle ammende della somma che si valuta equo quantificare nella misura indicata in dispositivo, non vertendosi in ipotesi di assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. n. 186 del 13/06/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così decis – il 14 febbraio 2025
Il Consic
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NOME COGNOME Il Presidente
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