Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 1467 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 1467 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 18/10/2023
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
Putignano NOME nato a Putignano (BA) il 26/12/1974
NOMECOGNOME nato a Putignano (BA) il 25/02/1980
NOME NOMECOGNOME nato a Putignano (BA) il 13/05/1958
avverso la sentenza del 03/11/2022 della Corte di appello di Bari;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto dei ricorsi; udito il difensore dei ricorrenti, avv. NOME COGNOME per Campanella e, in sostituzione dell’avv. NOME COGNOME per Putignano e COGNOME, che ha chiesto l’accoglimento dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Decidendo in sede di rinvio, a seguito di annullamento disposto dalla Corte di cassazione in accoglimento dei ricorsi degli imputati, la Corte di appello di Bari, con la sentenza impugnata, ha confermato la condanna di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME per estorsione aggravata, nonché dei primi
due per due episodi di rapina, l’una e gli altri commessi ai danni di NOME COGNOME
La sentenza rescindente della Corte di cassazione (Sez. 2, n. 42850 del 10/09/2019) aveva individuato specifici punti di criticità nella valutazione di attendibilità della testimonianza della persona offesa, sollecitando quindi un supplemento di motivazione in merito:
al periodo ed alle circostanze dell’avvenuta conoscenza, da parte della stessa, dell’identità degli imputati Putignano e Campanella;
all’evidente arrendevolezza del COGNOME in ordine ai tempi e ai modi dell’incontro con gli imputati nonché al contenuto delle richieste a lui formulate in data 18 giugno 2016;
all’esistenza di una telefonata fatta dal COGNOME al COGNOME il successivo 5 luglio, mentre in denuncia il primo aveva riferito di una telefonata – in realtà risultata inesistente – fatta a lui dal COGNOME;
all’esistenza di dieci telefonate tra i due, nel periodo dal 19 al 23 luglio seguenti, quando in denuncia il primo aveva negato alcun suo contatto telefonico con gli imputati;
all’inesistenza, a differenza di quanto rappresentato in denuncia, del contatto telefonico tra gli stessi COGNOME e COGNOME in data 18 luglio, immediatamente dopo, cioè, la scoperta di un furto di attrezzatura in danno del primo;
alla sostanziale reticenza del COGNOME nel riferire della sua frequentazione con la prostituita NOME e del luogo ove la stessa esercitava il meretricio, nonché della relazione di amicizia e complicità instaurata con costei;
all’incongruenza della paura, sempre riferita dal COGNOME, di ritorsioni a danno proprio e della propria amica NOME a seguito di una denuncia dei fatti, in relazione alla circostanza, acclarata in dibattimento, che la donna, al momento della denuncia, fosse stata allontanata già da tempo dalla villa del Damaso (presso la quale si assume esercitasse il meretricio) e, da allora, non avesse più incontrato NOME COGNOME;
alla mancanza di prova ragionevole in ordine all’incontro del 18 luglio, ed a quanto nell’occasione avvenuto, tra quest’ultimo e gli imputati Putignano e Campanella, alla luce delle dichiarazioni rese dalla testimone NOME COGNOME
alla mancanza di prova ragionevole in ordine agli accadimenti del successivo 10 settembre, alla luce delle dichiarazioni rese dai testimoni NOME COGNOME e NOME COGNOME
Il giudice di rinvio ha rinnovato l’esame testimoniale del COGNOME e, pur rilevando come questi non abbia offerto ulteriori specificazioni sui predetti profili critici, ha confermato il giudizio di credibilità del suo narrato, ponendo in risalto alcuni suoi tratti di personalità e comportamentali (spontaneità, imbarazzo, compromissione emotiva, «natura genuina ed elementare»), ritenuti incompatibili con la «strategia comunicativa» di un soggetto mendace, giustificandone le lacune di memoria con il lungo tempo trascorso dai fatti, nonché rilevando la mancanza d’interesse a calunniare dei noti pregiudicati.
Quindi, affrontando gli aspetti evidenziati dalla sentenza rescindente, ne ha fornito una spiegazione o ha escluso la rilevanza delle incongruenze, laddove non ricom poste.
Avverso tale decisione hanno proposto ricorso tutti gli imputati, attraverso i propri difensori, rassegnando una comune doglianza essenziale: quella, cioè, per cui la Corte d’appello non avrebbe ottemperato all’obbligo di motivazione supplementare impostole dalla sentenza di annullamento con rinvio, perciò non colmando i vizi logici della precedente sentenza d’appello.
In particolare, il comune ricorso di Putignano e Damaso evidenzia come la stessa sentenza abbia dato atto della irrilevanza del rinnovato esame testimoniale del Mezzapesa, peraltro caratterizzato da numerosissimi “non ricordo”, ed abbia in sostanza finito per valorizzare semplicemente un commento di costui: «questa è la verità nuda e cruda, io non nascondo». Inoltre rileva come il turbamento psichico, ritenuto significativo dai giudici d’appello, sia in realtà compatibile anche con il mendacio ed il correlato timore che questo venga svelato; e, ancora, dà risalto alla costituzione di parte civile del denunciante e, quindi, alla sua pretesa economica legata alla condanna degli accusati.
Quindi il ricorso ritorna in dettaglio sugli anzidetti profili critici del narrato COGNOME, sostanzialmente ribadendone le incongruenze.
Del tutto analogo è il tenore dell’impugnazione di COGNOME, che evidenzia, in particolare, l’interesse del COGNOME a calunniare gli imputati, per aver allontanato la sua amica NOME dalla villa del Damaso ed aver determinato, di conseguenza, la cessazione del rapporto sentimentale che lo legava a costei.
Quanto agli ulteriori motivi di ricorso, Putignano e Damaso lamentano violazione di legge e vizi di motivazione in relazione al mancato riconoscimento dell’attenuante del danno di speciale tenuità (art. 62, n. 4, cod. pen.), giustificato dalla Corte d’appello anche con riferimento alle condizioni economiche della vittima, le quali, invece, rappresenterebbero un criterio sussidiario e, perciò, da non considerare nel caso di lucro oggettivamente modesto. Inoltre, in caso di una
pluralità di reati in continuazione tra loro, la valutazione del danno dev’essere effettuata in relazione a ciascuno di essi e non complessivamente.
Campanella, invece, denuncia violazione di legge e vizi di motivazione:
con riferimento all’estorsione di cui al capo B) dell’imputazione, in relazione alla quale egli avrebbe preso parte solamente ad uno dei quattro momenti in cui la stessa si sarebbe sviluppata, e cioè esclusivamente alle minacce e percosse del 10 settembre 2016, peraltro non determinate da scopi estorsivi e, comunque, produttive di un profitto di soli venti euro, tale da giustificare la negata attenuante dell’art. 62, n. 4), cit.;
riguardo alla rapina di cui al capo C), essendo indimostrate le reiterate percosse denunciate dal COGNOME, come pure la sottrazione del suo telefono e delle chiavi della sua auto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Nessuno dei ricorsi può essere ammesso.
Quello di Campanella è intempestivo, ai sensi dell’art. 591, comma 1, lett. c), cod. proc. pen..
La sentenza è stata pronunciata, mediante lettura del dispositivo, all’udienza del 3 novembre 2022.
Per il deposito della motivazione la Corte di appello, a norma dell’art. 544, comma 3, cod. proc. pen., si era riservata il termine di novanta giorni, destinato perciò a scadere il 10 febbraio 2023. La motivazione è stata depositata il 13 gennaio precedente, quindi in termini.
A norma dell’art. 585, comma 1, lett. c), e comma 2, lett. c), cod. proc. pen., iI termine per proporre il ricorso era dunque pari a quarantacinque giorni e decorreva dal 1° febbraio: esso, pertanto, scadeva il 18 marzo seguente, che cadeva di sabato.
Il ricorso, invece, è stato depositato nella cancelleria del giudice a quo il lunedì successivo, 20 marzo.
Ciò premesso, deve ribadirsi il principio per cui, in materia di termini processuali, è prorogato per legge unicamente il termine stabilito a giorni che scade il giorno festivo, da individuarsi tra quelli indicati nominativamente come festivi dalla legge e tra cui non è menzionato il sabato (tra altre, Sez. 3, n. 44004 del 27/09/2023, D., Rv. 285308; Sez. 2, n. 13505 del 31/01/2018, Novak, Rv. 272469; Sez. 4, n. 36046 del 09/07/2015, COGNOME, Rv. 264413).
Quanto ai ricorsi di Putignano e Damaso, i motivi attinenti al giudizio di colpevolezza, GLYPH ad GLYPH onta GLYPH dell’enunciazione formale, GLYPH attingono GLYPH in GLYPH realtà esclusivamente la valutazione del materiale probatorio compiuta dalla Corte di appello e non la coerenza logica del relativo percorso argomentativo.
Il compito della Corte di cassazione, però, non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine all’affidabilità delle fonti di prova, ma di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato gli elementi a loro disposizione, se ne abbiano fornito una corretta interpretazione, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (Sez. U, n. 930 del 13/12/1995, Clarke, Rv. 203428, ribadita, in termini analoghi, anche da Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944). Ne consegue che non sono censurabili in sede di legittimità, se non entro gli appena esposti limiti, la valutazione del giudice di merito circa eventuali contrasti testimoniali o la sua scelta tra divergenti versioni e interpretazioni dei fatti (tra moltissime altre: Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, Rv. 271623).
Tanto premesso, è sufficiente rilevare che la Corte d’appello, al cospetto di una sentenza rescindente insolitamente circostanziata sui temi oggetto di nuovo scrutinio e tale da collocarsi al limite di un giudizio di merito, si è specificamente e diffusamente soffermata su ciascuno dei punti indicati dal giudice di legittimità, valutando gli elementi di prova e gli argomenti addotti dalle difese degli imputati e spiegando in modo ragionevole, e perciò qui non censurabile, per quali motivi abbia ritenuto di confermare l’attendibilità delle accuse formulata dalla persona offesa (pagg. 9 – 16, sent.).
Manifestamente infondata, invece, è la censura riguardante il diniego della circostanza attenuante della speciale tenuità del danno economico procurato alla vittima (art. 62, n. 4, cod. pen.).
Si legge in sentenza, e le difese non denunciano un travisamento sul punto, che la richiesta estorsiva formulata dagli imputati è stata di duemila euro e che, comunque, essi sono riusciti ad ottenere dalla vittima il versamento di duecento euro.
Vero è, in proposito, come adducono i ricorrenti, che, ai fini della valutazione della “speciale tenuità” del danno, debba aversi riguardo all’entità oggettiva del medesimo, mentre quello delle condizioni economiche della persona offesa costituisce un criterio sussidiario: ma tale sussidiarietà va intesa nel senso che le precarie condizioni economiche della vittima valgono ad escludere la speciale
tenuità di un danno oggettivamente non rilevante, giammai per svilire la consistenza obiettiva di esso.
Sul punto, è qui sufficiente rammentare, tra molte altre conformi, Sez. 5, n. 34310 del 19/01/2015, COGNOME, Rv. 265669, secondo cui, ai fini della concessione dell’attenuante di cui all’art. 62, primo comma, n. 4), cod. pen. può rilevare anche il criterio sussidiario del riferimento alle condizioni economiche del soggetto passivo, ma solo quando il danno, pur essendo di speciale tenuità oggettiva, possa rappresentare un pregiudizio per la persona offesa, in ragione delle sue disagiate condizioni economiche; nonché Sez. 2, n. 5049 del 22/12/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 280615, secondo cui l’attenuante del danno di speciale tenuità presuppone necessariamente che il pregiudizio cagionato sia lievissimo, ossia di valore economico pressoché irrisorio, avendo riguardo non solo al valore in sé della cosa sottratta, ma anche agli ulteriori effetti pregiudizievoli che la persona offesa abbia subìto in conseguenza del reato, senza che rilevi, invece, la capacità del soggetto passivo di sopportare il danno economico derivante dal reato.
Sulla base di queste premesse, la valutazione compiuta dalla Corte d’appello, fondata sull’entità del danno cagionato al Mezzapesa, obiettivamente non minima, sulle sue condizioni economiche disagiate e sulla configurabilità di un concomitante danno morale, non è manifestamente irragionevole, sottraendosi perciò a censura in questa sede.
5. All’inammissibilità dei ricorsi consegue obbligatoriamente – ai sensi dell’art. 616, cod. proc. pen. – la condanna dei proponenti alle spese del procedimento ed al pagamento di una somma in favore della cassa delle ammende, non ravvisandosi una loro assenza di colpa nella determinazione della causa d’inammissibilità (vds. Corte Cost., sent. n. 186 del 13 giugno 2000). Detta somma, considerando la manifesta carenza di diligenza, va fissata in tremila euro per ciascuno di essi.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 18 ottobre 2023
Il Consig i liere estensore