Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 2336 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 2336 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME COGNOME NOME
Data Udienza: 14/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
HOSSAIN SHAMIN
NOME nato in BANGLADESH il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 13/09/2022 della CORTE DI APPELLO DI BRESCIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO generale NOME AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con sentenza del 13 settembre 2022 la Corte di appello di Brescia confermava la sentenza con la quale il Tribunale di Bergamo aveva condannato NOME alla pena di tre anni e otto mesi di reclusione e mille euro di multa per due reati di estorsione, uno consumato e l’altro tentato.
Ha proposto ricorso l’imputato, a mezzo del proprio difensore, chiedendo l’annullamento della sentenza per violazione della legge processuale sotto due distinti profili indicati in altrettanti motivi.
In primo luogo, il decreto che dispone il giudizio non è mai stato notificato all’imputato, in violazione dell’art. 429 cod. proc. pen., essendosi così verificata una nullità assoluta e insanabile.
Inoltre, nonostante l’opposizione del difensore, il primo giudice aveva acquisito il verbale di s.i.t. rese dalla persona offesa nel corso delle indagini preliminari, utilizzate dal pubblico ministero per le contestazioni, in violazione dell’art. 514 del codice di rito.
Si è proceduto alla trattazione scritta del procedimento in cassazione, ai sensi dell’art. 23, comma 8, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito nella legge 18 dicembre 2020, n. 176 (applicabile in forza di quanto disposto dall’art. 94, comma 2, del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, come modificato dal decreto-legge 22 giugno 2023, n. 75, convertito nella legge 10 agosto 2023, n. 112), in mancanza di alcuna richiesta di discussione orale, nei termini ivi previsti; il AVV_NOTAIO generale ha depositato conclusioni scritte.
Il ricorso è inammissibile perché proposto con motivi manifestamente infondati.
4.1. Il decreto ex art. 429 cod. proc. pen. non è stato notificato a NOME in quanto risulta dallo stesso atto che egli fosse “presente” in udienza preliminare, non avendo quindi diritto ad alcuna notifica, dovuta solo all’imputato non presente alla lettura del decreto, ai sensi del comma 4 del suddetto articolo.
L’assenza dell’imputato al momento della lettura del decreto, in contrasto con quanto ivi riportato, è circostanza neppure dedotta dal ricorrente, limitatosi ad eccepire genericamente, per la prima volta in sede di legittimità, che il decreto non era stato notificato.
4.2. Anche la doglianza proposta con il secondo motivo non ha alcun fondamento.
La questione che rileva ai fini di cui si tratta sta non già nell’acquisizione o meno del verbale di s.i.t. rese dalla persona offesa, utilizzato per le contestazioni durante la sua testimonianza, bensì nell’utilizzo che il giudice ha fatto delle dichiarazioni ivi contenute.
La Corte di appello ha espressamente osservato che il Tribunale, così come poi lo stesso giudice di secondo grado, ha utilizzato le dichiarazioni predibattimentali non a fini probatori (“posto che la prova dichiarativa utilizzabile promana direttamente dalle dichiarazioni rese dalla persona offesa davanti al
Tribunale e alla Corte” – pag. 7), ma esclusivamente per la valutazione della credibilità del teste, come espressamente consentito dall’art. 500, comma 2, del codice di rito (Sez. 2, n. 35428 del 08/05/2018, COGNOME, Rv. 273455-01; Sez. 2, n. 13910 del 17/03/2016, COGNOME, Rv. 266445-01; Sez. 3, n. 20388 del 17/02/2015, Q.H., Rv. 264035-01).
Erroneamente, pertanto, il ricorrente ha sostenuto che “il giudice di primo grado ha illegittimamente acquisito la suddetta documentazione , valutandola ai fini della credibilità del teste”.
All’inammissibilità dell’impugnazione proposta segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di euro tremila, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 14/12/2023.